Novembre 1965, aeroporto di Milano Linate. Una piccola folla assiste allo sbarco di un gruppo di jazzististi americani. Tra di loro, quasi inosservato, c’è Lennie Tristano, al braccio del fido amico Lifton. E’ la sua prima tournee europea, sarà anche l’ultima. Tra il comitato di accoglienza italiano c’è un giovane signore, distinto ed elegante. Qualche giorno dopo accompagnerà Tristano in un’inusuale trasferta a Padova, e lo assisterà alla vigilia di un concerto organizzato da altri con non poche pecche. Il pianista non è un uomo facile: un’infanzia ed un’adolescenza colpite da una grave malattia, la cecità sopravvenuta, un’educazione in istituto che rischia di trasformarlo in un minorato psichico hanno fatto di lui un uomo chiuso e di non facile approccio. La musica è la sua ragione di vita, ma i suoi rapporti con il mondo musicale americano e con lo show business in particolare sono a dir poco difficili. Da anni è già ritirato in isolamento monastico nel suo appartamento studio di New York, incontrando solo i suoi allievi. Eppure, durante la cena con il giovane distinto che lo sostiene moralmente si apre e si lascia andare ad una confidenza piena di caldo entusiasmo: è la prima volta che può suonare in pubblico da solo, negli States non se ne parla. Segue un concerto che sovverte tutte le aspettative, testimonianze d’epoca riferiscono di un flusso ininterrotto di improvvisazioni che facevano impallidire le sue pur futuristiche ‘Intuition’ e ‘Digression’ del 1949: purtroppo nessun registratore presente, nemmeno di frodo. Anni dopo, Tristano farà uno strappo all’ancor più rigida clausura monastica accogliendo nel suo esoterico studio il giovane distinto di Padova, che arriva ad un soffio dal convincerlo a rompere il silenzio ed a registrare un nuovo album dandogli carta bianca… ma l’uomo Tristano è ormai uscito dal mondo.

Franco Fayenz a Padova ci è nato nel 1930 : da pochi giorni ha compiuto 90 anni. Questo messaggio in bottiglia (che non so se gli arriverà in qualche modo sulle onde del web) non è solo un augurio, ma un personale ringraziamento di uno che ha imparato ad ascoltare leggendolo (e non sono certo il solo della mia classe).
Il nostro cresce in una famiglia dove circola la musica, ed all’università di Padova (quella di Concetto Marchesi, per intenderci..) già inizia un’intensa attività di organizzazione di concerti, affiancata agli studi di legge. Qualcosa mi dice che se Padova è ancora una delle più vivaci città musicali d’Italia (ci sono persino dei negozi di dischi, e belli pure!), un po’ si deve ai semi gettati in quei lontani anni ’50.
Fayenz ha avuto senz’altro una fortuna, quella di esser in sincronia anagrafica con quella che è stata un’età dell’oro del jazz, nel mondo e persino in Italia. Ma è stato anche un testimone partecipe e lucido che la viveva e la osservava attraverso la lente di una cultura profonda e diversificata, rara nei critici della sua generazione (e nemmeno così frequente anche oggi….).

Quella di Franco è stata una vita piena di mille cose: abbiamo già detto dell’attività concertistica, ma è stato tra i pochi a presentare le rarissime nicchie dedicate al jazz dalla RAI Tv anni ’70 (dopo sono scomparse anche quelle). Nel 1975, all’esordio di quelle che allora si potevano chiamare ‘radio libere’, Fayenz è già ai microfoni di una delle primissime, e così dalla cima di un grattacielo milanese si irradia un’ora notturna di jazz che molti come me ancora ricordano. Negli stessi anni nasce un nuovo e più vasto pubblico giovanile per il jazz, che può contare per la propria autoformazione su di una collana discografica di classici storici che spicca per cura editoriale e tecnica: la sezione jazz di Linea 3 di RCA , manco a dirlo, è diretta e selezionata da Fayenz. Quegli album ce li ho ancora, ed in molti ci sono cose che non si sarebbero riviste nemmeno dopo molti anni a venire.
Ma Fayenz ha soprattutto scritto moltissimo. Ahimè, della sua vasta milizia pubblicistica per tante testate poco o nulla è raggiungibile oggi nel web (ed anche su grandi biblioteche non farei gran conto); essa era in gran parte figlia della sua capillare ed assidua copertura della scena live, in cui era presenza costante ed attenta (sembra poco, ma non si può poi dire di molti….). En passant, su questa sorta di damnatio memoriae che sul web sembra colpire il decennio ’70 qualche volta occorrerà riflettere. E si noti bene, tutta questa attività si fondava su una stretta e lunga frequentazione (che spesso andava ben al di là del rapporto professionale) con molti musicisti che ormai per noi sono aldilà del confine del mito.

Ma poi ci sono i libri…. Tanti, per i tipi di tanti editori diversi, molti purtroppo definitivamente scomparsi, gli altri fuori catalogo, come ogni buon testo jazzistico che si rispetti. Thanks God, c’è l’usato ormai migrato sul web, che però vi priva del piacere di rovistare nelle scomparse bancarelle in cui io gli ho dato la caccia per anni. Sono quasi tutti titoli datati, ma ogni volta che li prendo in mano per consultazione, finisco per passarci le mezzore intere, ben aldilà delle esigenze iniziali di informazione.

Resto convinto che il grande, definitivo ‘Libro del Jazz’ italiano, al pari del Jazzbuch di Berendt, avrebbe potuto scriverlo solo lui. Ma forse in una vita così piena non c’era tempo per troppe ore alla scrivania od in archivi polverosi mentre giorni di tumultuosa cronaca bussavano alla porta.
Nonostante la passione che ha riempito una vita intera, le sue pagine sono sempre caratterizzate da un certo disincanto ed esenti da mitologie ad aneddotica che invece abbondano altrove. Ancor oggi molti suoi giudizi risultano sorprendenti: oltrechè lucidi e netti, talvolta anche un po’ bruschi e taglienti, ’divisivi’, per dirla con detestabile neologismo (del resto la forma è figlia della sostanza…). Un piccolo saggio si trova in questa intervista del 2010, leggere bene sino in fondo:
Ma alle spalle c’era sempre una visione molto precisa e chiara della essenza e direzione di fondo che questa musica ha avuto (quantomeno nei decenni passati); visione tra l’altro maturata tra le sue quinte, mai libresca o di seconda mano.

Evviva, finalmente un po’ di chiarezza e di nitida scelta di campo in un settore dove tuttora impera ecumenico doroteismo italico. Per questo sarei tentato di attribuirgli ‘honoris causa’ la tessera n.1 del club degli Impolitici, riconoscendogli il ruolo di precursore… come vedete, qui scarseggeranno molte cose, ma non certo la faccia tosta.
Quindi, a Franco auguri di tanti anni di musica ancora inedita e che possa stupirlo…. Difficile, ma una bella sfida da raccogliere. Milton56
Un rarissimo ‘incunabolo’: 1976, studio RAI (!!!) Fayenz intervista Don Cherry… niente ‘parlarsi addosso’, idee chiare ed essenziali. Archivi RAI? Ma quando mai….. canale YouTube sudamericano su cui troverete l’intero concerto…..
Molto interessante. Grazie!
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Grande vecio! Franco a Padova negli anni’60 con il “Centro D’Arte” aveva portato, oltre a Lennie Tristano,anche Modern Jazz Quartet e Thelonious Monk.
E ha poi mantenuto un rapporto di collaborazione e grande affetto con noi,suoi umili “eredi” in qualche modo negli anni ‘70 e ‘80.Ugo Fadini,Roberto “Teddy” Di Pietro,Maria Teresa Biasio,il sottoscritto,poi Massimo De Carlo,Veniero Rizzardi.Con la sua grande esperienza,i suoi fondamentali consigli,la sua immensa preparazione,la sua impagabile ironia.
Va sottolineata anche la sua importante attività di agente per molti anni.In archivio al “Centro d’Arte” dovrebbero ancora esserci i suoi ciclostilati con le proposte di artisti e gruppi che inviava agli organizzatori come noi.Ne ricordo uno relativo al trio di Keith Jarrett con Charlie Haden e Paul Motian.1971/72,credo.Cachet richiesto 500.000 lire + hotel e cena.
Lunga vita al vecio!❤️
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Grazie del contributo, Luciano. Che conferma ulteriormente l’immagine di Fayenz come ‘uomo del jazz a 360°’. Tra l’altro tu potrai confermare che fare l’organizzatore di concerti negli anni ’70 era un affare da funamboli per via dei noti problemi di gestione del pubblico dell’epoca. In seguito ha continuato ad esserlo in alcuni casi sul versante del rapporto con alcuni musicisti….. Milton56
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Bellissimo articolo, Milton. Amo molto Tristano, ma ovviamente “Lennie Tristano. Il profeta incompreso. Con CD Audio” di Riccardo Brazzale e Franco Fayenz su Amazon non è disponibile. Proverò altre strade (c’è qualcosa su AbeBooks), altrimenti magari sceglierò Anatomia elementare, che per il mio livello dovrebbe essere adeguato (a meno che il titolo non sia ingannevole).
Sembra invece disponibile “Il nuovo jazz anni ’40 – Young/ Parker/ Tristano”, per esempio, ma non c’è neanche il prezzo, quindi non ne sono sicura.
Scrollando scrollando, ho riconosciuto la copertina di “Lenny Tristano” di Stampa Alternativa, e scartabellando scartabellando l’ho trovato in casa, comprato un bel po’ di anni fa, perché la mia folgorazione è stata precoce.
Ho visto che Fayenz ha scritto diversi articoli su IL FOGLIO e li ho messi da parte. Anche su Il Giornale (gulp), ma gli ultimi pezzi risalgono a 3 anni fa.
P. S. “Ma poi ci sono i libri…. Tanti, per i tipi di tanti editori diversi, molti purtroppo definitivamente scomparsi, gli altri fuori catalogo, come ogni buon testo” che si rispetti.
Il discorso vale per tanti “prodotti” di grande valore, per l’appunto anche e soprattutto per i libri, tutti: fuori catalogo o non disponibili, spesso neanche nell’usato
😦
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Ben trovata, Fa Minore. Grazie, ma i complimenti fateli a Fayenz, viene facile scrivere cose che coinvolgono su personaggi così. Ma veniamo al dunque. ‘Il Nuovo Jazz degli Anni ‘40’ si trova per una manciata di euro su piattaforme che si occupano di libri usati d’epoca (anche quella citata da te), nonostante si tratti di volume del 1982 di editore che ha avuto una vita da meteora anche all’epoca (Lato Side): era specializzato in testi musicali ed all’epoca fece lavoro interessante, nonostante che il settore fosse alquanto affollato, al contrario di oggi. Il libro ha circa 130 pagine e non è un semplice assemblaggio di saggi biografici, ma in realtà disegna implicitamente (ma forse nemmeno tanto…) una ben precisa linea evolutiva della musica afroamericana che Fayenz ha sempre ha sviluppato con originalità e che è a tutt’oggi fuori da ogni ‘consensus’ mainstream (ammesso che ce ne sia uno nel litigioso mondo jazzistico italiano). Il saggio su Lester Young è di grande interesse. Quanto a quello su Tristano, la data di pubblicazione ha consentito all’autore di fare un bilancio finale dell’intera parabola umana ed artistica del grande pianista, con il quale Fayenz ha avuto un intenso rapporto personale sino agli ultimi anni del musicista: privilegio pressocchè unico, considerata l’introversione dell’ultimo Tristano. Del resto, il nostro Lennie potrebbe essere un affascinante personaggio bell’e pronto per la penna di un grande romanziere: ma purtroppo Cortazar è morto troppo presto e Dyer è stato folgorato sulla via del Trendy ed ora ha occhi solo per discoteche techno e pillolette allegate. Prevengo polemiche: lo so benissimo che tra il primo ed il secondo c’è un bello scalino (in discesa…), ma si tratta dei pochissimi narratori contemporanei che si siano accostati al mondo del jazz con adesione e partecipazione, e non sfruttandolo solo come ambientazione pittoresca (e talvolta morbosa e decadente). Il Tristano musicista è stato un grande eretico, capace di generare una sotterranea onda lunga che è giunta sino ai nostri giorni; non mitizzerei però l’uomo, che porta una certa responsabiltà per la sua emarginazione e soprattutto che alla fine della sua vita si è affidato ad eredi mediocri, che gli hanno reso pure cattivi servizi postumi. Milton56
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Ah, sono contenta dello “scalino in discesa” perché non conosco Dyer! Però c’è una bella differenza, credo, tra il “personaggio” di racconto di Cortázar e Lennie Tristano. Credo…, per l’appunto. Tranquillo, non mitizzo l’uomo, amo la sua musica, già da quando di jazz ero poco pratica. A proposito di eredi, ho ricevuto un suo album in eredità da un amico… Ciao F.
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* del racconto
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Non vorrei esser frainteso. ‘Natura morta con custodia di sax’ è un gran bel libro, totalmente indefinibile, direi di biografia romanzata. Ha reso un grande servizio alla musica jazz, soprattutto nel momento in cui è comparso in Italia nella pregevole edizione di Ishtar, se non sbaglio. Mesi fa è apparsa una nuova traduzione, che in parte si deve ad un musicista del calibro di Riccardo Brazzale. Resta il fatto che Dyer non è certo nè uno studioso di jazz, nè oggi come oggi un ‘jazz guy’, come dicono dalle sue parti. Anzi, tempo fa una sua sbarazzina intervista mi risultò decisamente molesta (dovrebbe esser ancora rintracciabile nel nostro archivio il pezzo di rappresaglia che ne seguì). Invece Cortazar è uno che il jazz ce lo ha nella penna, anzi nei cromosomi: ‘Il Persecutore’ (anch’esso recentemente ritradotto) è solo la punta dell’iceberg. Milton56
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Grazie per le cose che hai scritto su mio padre. Claudia Fayenz
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…era il minimo che potessi fare. Milton56
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