Togliamo l’eccesso di zucchero

Nell’immaginario collettivo Imagine di Lennon, di cui ricorre il 40 anniversario delle scomparsa, è diventata una icona, e come tutti i santini che si rispettino ricoperta di strati zuccherosi e alla lunga indigesti . Pochi musicisti, pur nella bontà di molte esecuzioni, si sono sottratti ad una tale inquadratura. Un gruppo a nome A Perfect Circle undici anni fa ha proposto una rilettura completamente diversa dalla retorica imperante. Un cambio di tonalità nella esecuzione, accompagnata da immagini crude (un video che potrete facilmente trovare su YouTube non è condivisibile per la solita bacchettona polizia della rete) che stravolgono il senso della canzone. Più le parole descrivono un mondo idilliaco, futuro ma forse raggiungibile, più le immagini smentiscono, cancellano la speranza illusoria e riportano alla realtà: gerre, fame, razzismo, sfruttamento, terrorismo. Dobbiamo fare i conti con l’oggi, smettere di illuderci, conservare le parole di Lennon come incitamento a perseguire un obiettivo ideale. Ma senza credere che sia dietro l’angolo o che le parole della canzone abbiano ancora quel peso immaginifico. Basta uscire di casa e guardarsi intorno.

“Non voglio entrare nei meriti (o demeriti) artistici della canzone, ben consapevole – per carità, è una mia opinione – che i veri capolavori di John Lennon – artista che amo e ho sempre amato molto – siano da ricercare altrove; e che Imagine, sia come canzone, sia come album, musicalmente non è poi quel granché universalmente riconosciuto. Nel libro sono altre le questioni che affronto e altre le considerazioni che tento di proporre. Ovvio, Imagine è una canzone affascinante, pure io mi sono lasciato ammaliare, negli anni giovanili, dalla sua forza comunicativa, senza mai cedere, però, al canto delle sue sirene. Per rendermi conto, man mano che il tempo è passato, che i suoi versi sono il megafono di quegli anni, di quelle grida che dapprima sottovoce diventano urlo (magari “primordiale”, la terapia psichiatrica che lo stesso Lennon stava seguendo proprio in quel periodo); che la rivoluzione di fine anni sessanta – il peace and love, la cultura beat che poi si (tra)veste di hippie – non è l’inizio ma la conseguenza di un “movimento” che nasce, dapprima oltreoceano, all’indomani del secondo conflitto mondiale

(….) quella proprietà privata che Lennon vorrebbe abolire per poi ritrovarsi ad acquistare l’intero Dakota Building a New York (palazzo elegantissimo che si affaccia sul Central Park); oppure una canzone pubblicata postuma del Lennon “maturo” – quello sì, dopo il 1975, molto interessante da analizzare – nella quale l’artista – che nel frattempo si è avvicinato anche alla religione cristiana – afferma con estrema semplicità che il nostro tempo sulla terra è un intervallo regalatoci da Dio.

Lennon probabilmente aveva capito, e in più interviste non esitò a definire Imagine una sorta di peccato di gioventù. Sarebbe forse il caso che lo capissero anche molti suoi ascoltatori più o meno distratti.”

Fonte: https://www.edizionilavela.it/imagine-john-lennon-e-lincubo-del-presente/

3 Comments

  1. Ma la polizia è scappata? Il video c’è! Se non ci fosse stato, forse non avrei neanche letto l’articolo. Su Imagine neanche commento. Però mi ha fatto venire in mente il libro ripudiato da Borges (La misura della mia speranza) che invece a me è piaciuto tantissimo. E se lo ha pubblicato quella furbacchiona di Adelphi, un motivo ci sarà…
    Frisell rimane molto più “nel solco”. Non sapevo che ne avesse fatto anche lui una versione.
    Ma di che libro parli, uno tuo?
    P. S. L’accostamento “beat-hippie” mi ha fatto rizzare i capelli in testa.

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