Il recente incontro casuale con un quadro futurista in un museo parigino mi ha condotto all’ascolto di un disco che, altrettanto casualmente, era giunto tempo fa sul mio pc. Le opere, pittorica e musicale, condividono lo stesso titolo , “UDNIE” , termine che, di per sè, rappresenta un elemento di curiosità ed invoglia a qualche ricerca a cui mi sono accinto assecondando le circostanze occorse. Ebbene, il quadro che vedete sotto riportato è opera del pittore Francis Picabia, dipinta nel 1913 ispirandosi alla danza di una ballerina osservata a bordo della nave che lo trasportava verso gli Stati Uniti. Un movimento centrifugo di forme astratte rivolto a rappresentare le dinamiche e la mutevolezza degli stati d’animo, l’opera viene presentata come un possibile omaggio al musicologo e compositore francese Jean d’Udine (1870 – 1938) studioso delle relazioni sensoriali e dei rapporti fra arte e dimensione gestuale.

Si può ipotizzare che “Udnie” il disco, (el Negocito records), opera del bassista e compositore genovese trapiantato negli Stati Uniti, Giacomo Merega, condivida, oltrechè il titolo, le medesime fonti ispirative del dipinto. Per certo è comune la dimensione astratta fra il quadro, una passione fin dall’adolescenza, e queste nove composizioni di Merega, protagonista della scena di improvvisazione e sperimentazione newyorkese da oltre un decennio e collaboratore di produzioni di Joe Morris, Anthony Coleman, Steve Swallow, Kip Hanrahan, Mat Maneri, Nate Wooley e Tyshawn Sorey, Dopo due brani caratterizzati dalle avvolgenti spire del basso elettrico solista, ed un terzo solo per basso acustcio (“Il sonno nelle campane “) il materiale seguente, commissionato per accompagnare una piece di danza della coreografa taiwanese Chi- Ying Kao e quindi elaborato per la produzione autonoma, si sviluppa in una dimensione onirica e minimalista, distillando cellule melodiche e variazioni timbriche attraverso il dialogo fra la voce wordless ed il synth di Rema Hasumi, la chitarra elettrica di Todd Neufeld ed il basso di Merega. Musica che, stando alle note di presentazione, trova la propria collocazione ideale in spiccoli spazi interni, da qui il nome dell’ensemble Camera con Camera, ed il cui rarefatto sviluppo richiede all’ascoltatore un approccio concentrato ed attento. Ci sono momenti caratterizzati da una espressività melodica accessibile e gentile (l’incipit di “Forest” ), sezioni dai torni sferzanti e secchi (“The Dziga Vertov Complex“), brani aperti ad esplorazioni psichedeliche (“Viola sleeping“, “How we like to sing along“), ed una alternanza di climi fra tensione e rilascio che attraversa tutta l’opera fino ai dieci minuti conclusivi di “A mask is but a sum of lines“, aperta da una intensa e pressante linea del basso che gradatamente si decompone per poi riaggregarsi nelle corde della chitarra in sovrapposizione ai vocalizzi di Hasumi. Consigliato perdersi negli abissi di questa musica contemplando il quadro di Picabia.

Splendidi Picabia e Merega!
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