Mutuando da Orson Welles e Rava/Bollani, “The third man” della pattuglia di Tdj affronta il racconto dell’ultima giornata del Festival vissuto da neofita dell’iniziativa : premetto subito il vivo apprezzamento per una proposta originale ed aperta sotto il profilo delle scelte artistiche, e sapientemente integrata con il contesto culturale e sociale della città. Merito anche dei vent’anni di organizzazione, oggi Novara Jazz si presenta come una realtà che attira un folto e curioso pubblico con un cartellone ispirato alla più integerrima espressività creativa, popola piazze e vie del centro di giovani ed agguerrite band alle prese con i classici del jazz, ed offre una vetrina dei punti di forza del territorio anche sotto il profilo storico, architettonico e gastronomico. Venendo alla musica, domenica 11 si è aperta con il concerto più bello ed avvincente che il sottoscritto ha avuto modo di seguire nella due giorni novarese. Alla piccola chiesa del Carmine, oggi consacrata al culto ortodosso, il sassofonista John McPhee, classe 1939, primo disco nel 1967, un veterano dell’avanguardia jazz, ha rapito la platea con un solo di sax e voce in grado di ripercorrere, nell’arco di poco meno di un’ora, un intero catalogo di espressività jazz; partito da una sorta di recitativo preaching dedicato alla morte di John Coltrane, sviluppato su una lunga sezione costruita sull’ampia gamma di emissioni sonore di cui McPhee dispone – dall’urlo al soffio, dal suono pieno e corposo al sussurro – per concedere ad un fraseggio blues il lungo struggente brano seguente. Chiusura con ben due encores che hanno messo a dura prova la capacità fisica di questo artista vero, il cui approccio all’improvvisazione trova alla base un radicato e percepibile senso che interpella valori, principi e lotte della storia di un’intera comunità .

Il senso è, invece, a mio avviso, proprio quello che è mancato all’esibizione seguente, al Palazzo della Sovrintendenza, quella del trio composto dal trombettista Gabriele Mitelli, dal bassista Ingebrigt Håker Flaten e dal batterista Miikel Patrick Avery.

Un progetto nato per l’occasione, data la presenza dei due ospiti nell’orchestra di Rob Mazurek, che ha evidenziato tutti i limiti dell’estemporaneità, riducendosi a tre quarti d’ora di puro noise senza alcun costrutto, con Mitelli alternato fra tromba ed elettronica, e basso e batteria liberamente impegnati a produrre percorsi autonomi all’insegna del maggior volume possibile. Non è qui in dubbio la qualità tecnica e la capacità creativa altrove dimostrata dai musicisti, ma un concerto basato solo sul gesto improvvisativo non risulta in grado di coinvolgere una platea. Che infatti si è risvegliata solo per il rituale applauso finale.
Tutt’altra tempra aveva la musica del Chicago Sao Paulo Underground del concerto serale alla Canonica del Duomo con Mazurek, Chad Taylor alla batteria e Mauricio Takara alle percussioni ed elettronica.

Il progetto di Mazurek ad ogni cambio di formazione si reincarna in una creatura nuova, ricca di stimoli e suggestioni inedite. Stavolta l’enfasi, anzichè sull’elettronica di altre versioni, è sul ritmo ipnotico ed incalzante costruito dalle percussioni, la batteria poliritmica e granitica di Taylor ed i mille aggeggi agiti da Takara, con i quali dialoga la tromba dal suono naturale di Mazurek, a suggerire un’idea di moderna tribalità accentuata dall’uso dei vocalizzi del leader. Avviato con una fase “esplorativa”, il set si è poi sviluppato attraverso una estesa cavalcata percussiva sulla quale Mazurek collocava le sue frasi parossistiche, seguita da una sezione dai toni ancestrali suggeriti dall’elettronica con Mazurek impegnato anche al flauto di canna; quindi un nuovo start ritmico, prima con un ostinato della batteria che animava un ritmo di danza per le angolari frasi della tromba, quindi su una base vagamente “motorik” , in cui entravano in gioco, oltre agli strumenti suonati dal vivo, campionamenti di frammenti creati pochi minuti prima. La fase finale ha assunto toni da vero e proprio festival percussivo, con un incandescente climax animato dai continui scambi fra Taylor e Takara e Mazurek a declamare le proprie invocazioni vocali o con lo strumento. Liberatorio ed esplosivo l’apprezzamento del pubblico, che ha trovato nell’esibizione un ideale viatico per la conclusione del festival all’insegna della danza, al Broletto, con il Bantu Continua Uhuru Consciousness da Soweto. Ma al racconto di Tdj su Novara XX manca ancora un pezzo, forse quello più importante della sera precedente, e qui entra di nuovo in gioco la penna di Milton.
