ERROLL GARNER – The Most Happy Piano – Essential Jazz Classics
“The Most Happy Piano” (Columbia) non è solo il titolo di uno dei tre LP riproposti in questo doppio cd, che sfrutta fino all’ultimo secondo il supporto fisico con ulteriori 7 bonus-track e propone tutte le liner notes originali nel booklet, ma anche il titolo della rara e corposa biografia scritta da James M. Doran, e ripubblicata nel centenario dalla nascita, una vera miniera in cui trova posto una serie di interviste ad Erroll Garner, the most happy piano, per l’appunto, il genio autodidatta che non sapeva leggere la musica, ma sapeva crearla e darle forma come ben pochi altri han saputo fare, sia prima che dopo di lui. In tempi recenti si sono viste diverse operazioni di recupero del materiale inciso dal pianista di Pittsburgh, speriamo che sia arrivata la fine di un corposo periodo di buio dove in ambito critico lo si è relegato per decenni in secondo piano, citato da certuni, anche della nostra stampa specializzata, come esempio di jazzista primitivo, se non kitsch tout court, e vabbè, il tempo spesso rende giustizia e riporta a galla l’olio buono, in questo caso eccelso.
“Non sono stato influenzato da alcun altro pianista, per il semplice motivo che amavo le big band. Penso che sia da qui che provenga parte del mio stile, perché amo la pienezza del pianoforte. Voglio che suoni come una big band, se posso. Non sono stato influenzato da nessun pianista, perché quando sono arrivato non ne ho sentiti molti. Avevamo posti come l’Apollo Theatre dove potevi andare ad ascoltare le big band. Venivano a Pittsburgh e suonavano allo Stanley Theatre. Ho visto tutte le grandi band. Però conoscevo Mary Lou Williams (anch’ella di Pittsburgh-nda), da bambino. Quando poi arrivò Fats Waller una sera, il pianoforte era così mal messo che suonò l’organo. Non dimenticherò mai come ha preso quell’organo, si è unito alla band e come l’ha fatto suonare . Quel suono era una cosa fantastica! Ho pensato, “oh mio Dio, come può farlo?” Questo era qualcosa di nuovo per me! Amo Jimmy Lunceford e amo Duke. Jimmy Lunceford e Count Basie mi hanno insegnato a tenere il tempo. Quelle due band me lo hanno davvero insegnato, ed è stato emozionante. Penso che [il chitarrista di Basie] Freddie Green sia uno dei più grandi cronometristi del mondo.…”
Tornando a quest’opera, gli altri due album riversati con cura dai catalani di EJC, anch’essi completi di relative liner notes ed a prezzo molto interessante (si veda l’intera proposta commerciale qui) , sono l’EP “He’s here! He’s Gone! He’s Garner!” (Columbia) e “Garner Encores in Hi-Fi” (Columbia) a documentare, per l’ennesima volta e sotto insegne ancora una volta diverse, un’annata di straordinaria vena.
Se, giusto per dirne una, dovete fare un viaggetto e la vostra auto dispone ancora, e grazie al cielo, di un buon lettore cd, ecco che queste due ore e mezzo di musica potrebbero fare per voi. Potreste sorprendervi a sorridere serafici anche davanti a lunghe code al casello se dal vostro impianto risuona l’inconfondibile Garner-style che nel 1956, anno dell’incisione delle due sessions, qui riproposte non come uscite sui LP dell’epoca ma nell’ordine esatto di registrazione in studio, era all’apice della sua carriera ed aveva appena pubblicato il suo “Concert by the sea”, destinato a diventare uno dei dischi jazz più venduti d’ogni tempo.
Mano sinistra stabile come una roccia (Freddie Green-style?), mano destra capace di voli pindarici portentosi, rigogliosi fiumi di accordi e note singole poste con tempi in grado di generare swing puro come acqua di fonte. Il trattamento garneriano riservato a standards già all’epoca piuttosto battuti (“But Not For Me”, “Time On My Hands”, “The Man I Love”…) ci sorprende ed emoziona ancora, non solo per la proverbiale capacità d’impadronirsi del materiale tematico per interpretarlo e rileggerlo in modo unico, ma anche per ricchezza d’idee, freschezza, umorismo, aderenza. Limpidi riflessi stride illuminano a giorno brani oggi decisamente meno celebri (“Alexander’s Ragtime Band” “Full Moon and Empty Arms”) o antiche ballads d’anodina bellezza che finiscono per svelare i loro micidiali risvolti blues (“Crème de Menthe”, “Fancy”).
A fianco del genio sorridente è doveroso segnalare una ritmica flessibile e di una certa modernità, con due quarantenni assai ferrati e totalmente al servizio del leader, ovvero il batterista Specs Powell, gloria della 52ma strada, già al servizio di Billie Holiday, Red Norvo e John Kirby, ed il versatile, inappuntabile bassista Al Hall, che compare in decine e decine di registrazioni con Mary Lou Williams, Teddy Wilson e Benny Goodman, tra gli altri.
(Courtesy of Audioreview)

Non vorrei sbagliare, ma mi sembra di ricordare che Garner non abbia mai VOLUTO imparare a leggere sul pentagramma, convinto che questo avrebbe inevitabilmente appannato il suo stile. Del resto era assistito da una memoria prodigiosa…. Milton56
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diciamo che di certo non se ne è mai fatto un cruccio, come del resto Wes Montgomery, tanto per rimanere in un ristretto empireo di giganti.
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Dopo aver letto il nome dell’etichetta Essential Jazz Classics, ho qualche perplessità non sul contenuto artistico, ma sull’aspetto squisitamente tecnico.
Ho anch’io qualcosa di questo cosiddetto grey market da parte delle public domain labels e ho saggiato come lavorano, spesso male, pubblicando materiale proveniente non da fonti originali.
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Ahimè hai ragione, Roberto. Quanto al profilo diritti, direi che più di ‘grey’ dovremmo parlare di ‘black market’. Certo queste label sono piuttosto discutibili sotto il profilo tecnico, ma bisogna riconoscere che fanno un lavoro di salvataggio e conservazione di materiali che le major discografiche ‘legittime titolari’ non si sognano nemmeno di affrontare, pur avendo mezzi tecnici e risorse adeguate. Che viceversa non vengono risparmiate per le continue riedizioni destinate al collezionismo rock. Milton56
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Sono d’accordo sostanzialmente, per quanto anche nell’ambito di quel mercato più nero che grigio, c’è chi lavora un po’ meno peggio di altri: a mio parere è il caso di quell’etichetta che ha pubblicato l’album di Errol Garner o di American Jazz Classics e State of Art. Nel “libro nero” ci metto sicuramente Avid Records, Not Now, Poll Winners.
Va anche detto che, per gli artisti sotto contratto ad esempio con Columbia/Sony, Verve-Impulse!/Universal con i maestri che tutti conosciamo, non mancano le riedizioni di qualità, a volte di stampa giapponese, certamente più costose, ma sicuramente tratte da fonti originali.
È chiaro che qui si aprono diversi scenari per l’appassionato.
Per quanto mi riguarda, preferisco una discoteca più ridotta e contenuta, ma meglio curata sotto il profilo del suono.
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non posso che convenire, analisi perfetta. diciamo che sono cd molto comodi, con costi assai contenuti…consentono di mettere in auto o sul piatto dischi che abbiamo già in altri formati o edizioni ed abbiamo già consumato in versioni “originali” e preferiamo conservare . Le ultime infornate di Essential Jazz Classics sono decisamente migliorate rispetto al passato, sia come suono che come packaging e liner notes.
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