Postcard from Saalfelden

Torno per la quarta volta nella splendida cittadina austriaca, incastonata tra cime che solleticano il mio spirito alpinistico. Dalla prima lontana volta il festival è molto cambiato: abbandonato il grande tendone da circo, un vero supplizio di giorno per il caldo, la rassegna è approdata nel salotto buono, tra spazi sempre nuovi (una stamperia, una officina, un alpeggio, il parco lungo il fiume e altri che ancora non abbiamo scoperto) e l’ormai consolidato auditorium in centro.

Il primo giorno, dopo il lungo viaggio, ci concede solo antipasti e spizzichi di quello che ci attende. Nel pomeriggio il quintetto Melting Pot a trazione femminile (4 su 5) sciorina un free un po’ datato ma efficace pur senza grandi sussulti. In serata il parco è animato da una grande partecipazione per un quintetto, Takeshi’s Cashew, che fa ballare e divertire all’insegna del “funky psichedelic sufi rock”, come si definiscono senza tema di smentita . Ascoltato in particolare un brano per due elettroniche che univa Terry Riley a musica di ispirazione balcanica, ovviamente semplificato  il giusto per far muovere più il corpo che la mente.

Cosmic Brothers

Ma il festival vero e proprio inizia il venerdì con tre concerti consecutivi nel pomeriggio. Il primo è dei Cosmic Brothers, un quintetto che vede Leo Genovese al pianoforte, Luis Vicente tromba, Joao Pedro Brandao flauto e sax, Demian Cabauld basso e Alfred Vogel batteria. Un lungo brano che occupa tutto il set all’insegna di un post free energico e ottimamente calibrato tra le parti. La sensazione però è che manchi quel quid che trasforma una buona performance in un grande concerto. Forse la mancanza di un tema o comunque di un riff riconoscibile penalizzano un po’ le mie aspettative.

Tutt’altro discorso per il magnifico duo a seguire, Myra Melford al pianoforte e Hamid Drake batteria. Cinque brani più il bis che esplorano ognuno diversi aspetti degli strumenti: astratto il primo, percussivo il secondo, con aperture melodiche il terzo, un riassunto di tutti gli elementi il quarto, fino ad arrivare al meraviglioso quinto brano, un grappolo di note liriche e ieratiche sostenute, spinte, aggredite e sottolineate dal potente drumming di Drake. Un concerto di rara bellezza, credo non sarà facile raggiungere vette così alte nel prosieguo.

Melford & Drake

Dojo & Ingebrigt Haken Flaten riempiono una officina con i loro suoni sorprendenti. Michiyo Yagi al koto, filtrato da elettroniche, rimane lontana da facili suggestioni esotiche e per buona parte del concerto viene accompagnata e sospinta dal poderoso contrabbasso del musicista norvegese, unitamente alla batteria, invero un po’ invadente, di Tamaya Honda. Nella parte finale il koto assume le sembianze di una chitarra elettrica distorta e la musica vira verso un rock energico e divertente ma risaputo. Un po’ troppo ridondante, ma aspetto con curiosità la Yagi nel duo con Hamid Drake.

Michiyo Yagi

La palma del concerto più noioso e vacuo, sperando di non dover aggiornare la classifica, spetta indubbiamente a Luca’s Koenig Sound Hazard, che pure vanta buone individualità quali Luke Stewart al contrabbasso e Pat Thomas tastiere. Poco più di un ora che mi è parsa una intera settimana, quasi come essere seduti sulla poltrona del dentista. Una prima parte in cui l’ego del leader batterista ha coperto gli altri quattro, relegati a effetti rumoristici, poi la seconda parte in cui è rimasto solo il rumore. Nessuna idea, niente di niente. Ottima scelta quella dei due pensionati austriaci, miei coetanei e vicini di sedia, nelle braccia di Morfeo per tutta un ora. Inutile

Sono solo le 20 e ancora ci sono tre concerti. Per ora passo e chiudo e spero di sopravvivere alla abbuffata…

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