DISCHI D’AUTUNNO – 1 PARTE

Ormai abbiamo alle spalle un’estate veramente rovente, le do l’addio senza troppi rimpianti. Per quanto mi concerne, anche la stagione dei festival è trascorsa senza molte emozioni: le poche ‘buone vibrazioni’ le ho condivise qui con voi su queste pagine.

E’ comprensibile quindi che lo sguardo un poco avido ed ansioso abbia finito per correre sull’orizzonte della discografia, che in questo preludio di autunno si annunzia piuttosto denso di novità interessanti. Avendo alle spalle ascolti rapidi e talvolta solo anticipazioni (i ‘singoli’ che a mò di trailer hanno ricominciato ad annunciare album in uscita), mi limiterò ad offrirvi dei brevi flash che possano orientarvi in una scelta.

Quanto alla reperibilità, in forma liquida sono disponibili sulle ben note piattaforme di streaming, inutile fargli pubblicità. Per quanto concerne invece i supporti fisici, purtroppo la situazione è molto più complicata e problematica, inutile evocare anzitempo l’Impolitico per una delle sue consuete filippiche.

Nella prima puntata è la volta di due pianisti. Uno di fronte all’altro, è proprio il caso di dire: perché più diversi di così non potrebbero essere  

Micah e sullo sfondo il suo mentore Immanuel Wilkins

MICAH THOMAS Reveal – Artwork Records

Micah Thomas, piano; Dean Torrey (basso); Kayvon Gordon (batteria)

Thomas (classe 1997) è quel che si può a ragione definire un giovane jazzista. Ma solo per quanto riguarda l’anagrafe, dato che a due anni aveva già le mani sulla tastiera ed al liceo già vantava ingaggi professionali. Ma più che il consueto cursus honorum accademico vale ad accreditarlo un debutto sulla grande scena a fianco di Immanuel Wilkins e di Walter Smith III. L’anno scorso in Italia avremmo dovuto vederlo anche a fianco di Ambrose Akinmusire. Considerata l’ipercompetitività della scena americana, queste sono referenze che parlano da sole (oltre ad esser indicative di scelte stilistiche già ben definite). Nel tribolato 2020 esce ‘Tide’, il primo album a suo nome che si impone all’attenzione nonostante il momento quantomai sfavorevole.   

Con ‘Reveal’ siamo già alla terza prova, stavolta in trio. Lo definirei un disco aereo, fluido e dinamico; ma nello stesso tempo aperto però all’avventura. La sua musica è forte di una ricca palette di colori sfumati e trasparenti che più che compensa un tocco leggero e la predilezione per dinamiche contenute e sommesse.

Quanto ai materiali, è un lavoro che attraversa atmosfere molto varie, con improvvisi squarci di complessità nella scomposizione dei temi. In apertura si coglie più di un ricordo dell’ultimo Ethan Iverson (‘Little Doctor – take 2’), cui si aggiunge una certa inclinazione per atmosfere sottilmente arcane ed enigmatiche forse ereditata da Immanuel Wilkins.

Insomma un ascolto di sicuro fascino, che facilmente induce a scoprire altri volti di questo musicista già poliedrico.  

‘Little Doctor – Take2’ – Un piccolo campionario di quel che si è detto a proposito dell’album

Uno Shipp molto somigliante a quello dell’album

MATTHEW SHIPPThe Intrinsic Nature of Shipp- Mahakala Music

Matthew Shipp, piano solo

Da un quasi debuttante ad un quasi dimissionario, o per meglio dire un sedicente dimissionario. Sono anni che Shipp (classe 1960) annunzia il suo prossimo album come l’ultimo della sua carriera. Ormai i suoi ‘ultimi album’ fanno concorrenza alle ‘ultime sigarette’ del protagonista della ‘Coscienza di Zeno’ di Svevo. Certo la sua musica così personale e riconoscibile non rimarrà poco documentata: la sua discografia è molto fitta (forse troppo), anche se in parte notevole affidate ad etichette esoteriche, per fortuna altro è sotto insegne più solide e ben caratterizzate (Hat Art, ESP, Thirsty Ear). Al suo debutto a fine anni ’90 ci fu chi vide in lui un lontano discendente di Cecil Taylor, da cui mi sembra aver ereditato soprattutto una certa inclinazione a battere percorsi solitari. Sentieri in cui ha comunque spesso incrociato William Parker, David S.Ware, Daniel Carter (forse la più felice e convincente delle sue collaborazioni con sassofonisti). A mio avviso da ultimo il suo meglio va ricercato nei trii e nel piano solo, come questo ‘The Intrinsic Nature of Shipp’ (titolo sardonico che somiglia molto all’autore).    

Stavolta siamo di fronte ad un disco scuro e notturno, ma di una notte tempestosa. La sua musica è intensamente materica, c’è una mano sinistra che sembra scolpire nella pietra. Ancor più che in altre recenti occasioni, è evidente un senso sicuro e lucido della costruzione, molto raro oggi nella c.d. avanguardia (dato questo che dovrebbe conciliare l’avvicinamento di una più ampia platea di ascoltatori, normalmente lontana da questo tipo di esperienze).

I materiali sono perlopiù contraddistinti da grandi contrasti timbrici che originano chiaroscuri potenti, a volte quasi titanici. Si affacciano rari  momenti di congestione del discorso musicale, che non pregiudicano però la leggibilità di una musica pur complessa. Ugualmente sporadici  i momenti di cantabilità lirica, che valgono a dare un poco di movimento e varietà ad un materiale altrimenti molto omogeneo.  La mia prima impressione è che in questo Shipp più che echi di Cecil Taylor sembra talvolta  di percepire quelli dell’ultimo Mal Waldron, qullo più rigoroso dal fraseggio scabro e ridotto all’essenziale, si direbbe quasi in bianco & nero. Anche questo è un ascolto denso di fascino, soprattutto per la sua lontananza ed estraneità ai modelli dominanti nel pianismo jazz contemporaneo.

Stay tuned, seguono altre novità. Milton56

Il brano d’apertura dell’album di Shipp

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