Il Jazz Club Ferrara ha inaugurato la nuova stagione, la cui prima parte si chiuderà poco prima della pausa natalizia. Il programma è già definito e ci ritorneremo più tardi.
Nel primo weekend il Torrione ha già piazzato una di quelle sue proposte originali e di raro (ma forse sarebbe meglio dire unico) ascolto in Italia. Se devo esser sincero, sulle prime la maggiore attrattiva della data è stata per me la formazione di gran livello: Ohad Talmor al sax tenore, Joel Ross al vibrafono, Chris Tordini al basso ed Eric McPherson al basso.
Ma un piccolo approfondimento sui materiali del concerto ha aggiunto ulteriori motivi di interesse.
Sgombrare la casa di una persona scomparsa è sempre faccenda triste, e spesso comporta anche sorprese a volte sconcertanti e spiazzanti. Ma nel caso di Talmor alle prese con le cose lasciate da Lee Konitz non è stato così: sono stati trovati dei nastri DAT, registrazioni digitali databili intorno alla seconda metà degii anni ’90 quando questa tecnologia era ancora in uso, che contengono jams domestiche in cui Konitz, Ornette Coleman, Charlie Haden e Billy Higgins si esercitano su quelli che sono risultati inediti di Ornette. Alcuni nastri contengono anche sessioni su brani di Dewey Redman.
Talmor è un musicista di origini israeliane, ma cresciuto in Svizzera, che può vantare una formazione musicale molto diversificata e cosmopolita, con spiccate competenze in materia di composizione, arrangiamento e musicologia. Se aggiungiamo che nella sua lunga carriera negli States Ohad ha avuto modo anche di collaborare con Konitz come direttore musicale di un suo nonetto, se ne conclude che i nastri non potevano finire in mani migliori.
Talmor si è subito messo al lavoro su questi materiali, trascrivendoli ed arrangiandoli per un complesso organico in cui figurano jazzmen di varia estrazione e spesso di notevole individualità: è imminente l’uscita per la svizzera Intakt di un doppio album la cui copertina racconta già parecchio della complessità ed articolazione del progetto.

Tra l’altro si intuisce che il quartetto di scena a Ferrara rappresenta un po’ il nocciolo duro del progetto, la working band destinata a portarlo in giro per il mondo.
Il materiale è articolato in una fluida continuità, dal quale emergono gradatamente come isole di un arcipelago celebri temi colemaniani: ho riconosciuto un ‘Broken Shadows’ ed un ‘Turnaround’, ma hanno baluginato anche schegge di citazioni eterogenee (è parso di afferrare qualcosa del Rollins dell’inquieto periodo Impulse). In ogni caso è l’Ornette compositore ad esser evocato qui, non lo strumentista e nemmeno il leader di piccole formazioni.
Talmor è leader discreto, capace di fare un passo indietro rispetto al resto della sua formazione: è un musicista introverso e meditativo, con un suono duttile e morbido, dalle dinamiche contenute e dal fraseggio orizzontale ed ‘a lunga gittata’, che sulle prime sembra rammentare quello di Konitz, ma con fratture, pause e discontinuità lontane dalla poetica konitziana
Joel Ross è il suo deuteragonista, un vero contraltare del leader, sino a coagulare intorno a sé un polo autonomo e distinto rispetto a quello di Talmor, donando al gruppo una bella dialettica. E’ ormai imbarazzante parlare di Ross: se ne è già detto tutto il bene possibile (soprattutto su queste pagine ed in tempi non sospetti, consentitecelo), ma ogni volta ci si trova a doverne dire ancora di più. Ross guida il ‘lato tagliente’ del gruppo: fraseggio nitido, incisivo, dai toni forse meno saturi che in altre occasioni, ma molto netti, trasparenti e luminosi. In una parola, il perfetto contraltare al suono pastoso, morbido, tutto nuances e penombra di Talmor. Ross è collaboratore di gran classe e duttilità (belle le sottili pennellate di colore con cui accompagna il sax del leader), ma suo malgrado comincia ad essere un sideman alquanto ingombrante (vedi le esplosioni di entusiasmo del pubblico del Torrione alla fine delle sue turbinose sortite in solo).
Sempre sul lato affilato ed incisivo del quartetto troviamo Chris Tordini, con il suo basso potente, pieno, asciutto e nitido nell’articolazione, con una cavata che ricorda a momenti quella di Charlie Haden, ma senza quella punta di pathos tipica di quest’ultimo. Più che meritati gli ampii spazi solistici concessigli, essenziale il suo sostegno alle concentrate elaborazioni di Ross.
Sul versante in penombra del gruppo troviamo il drumming di Eric McPherson: è esponente di una piccola generazione di batteristi che in tante altre occasioni si vorrebbe sentire più spesso. Batterismo sottile, ricco di colore e trovate, aereo e febbrile nell’accompagnamento sui piatti, ma capace anche di interventi più decisi e d’impatto nei momenti solistici. Un compagno ideale per il morbido sax di Talmor.
Due set densi ed intensi (forse un filo più disteso il secondo) hanno molto beneficiato dell’atmosfera calda del club: il suo pubblico sperimentato ha dato un bel contributo di attenzione e coinvolgimento che è palpabilmente arrivato sul palco. Un bell’esordio di stagione.
Stagione che prosegue con questo programma. Come al solito, mi permetto di indicare qualche preferenza personale: l’1 novembre Jim Snidero in quartetto, il 5 novembre i ‘nuovi’ Bad Plus in quartetto (con le reclute Chris Speed al sax e Ben Monder alla chitarra), il 10 novembre il quartetto di Joey Calderazzo con quel fuoriclasse del sax alto che è Miguel Zenon, il 25 novembre il formidabile solo piano di Sullivan Fortner (ve ne abbiamo già parlato tempo fa). A dicembre sono di scena dei raffinati gruppi italiani che vi consiglio caldamente (non è facile sentirli altrove, tra l’altro): l’1 dicembre Simone Alessandrini ed i suoi Storytellers, il 2 lo smagliante quintetto di Alessandro Presti (Alessandro Lanzoni al piano, Daniele Tittarelli al sax, Gabriele Evagelista al basso ed Enrico Morello alla batteria: in una parola, la ‘meglio gioventù’ del jazz italiano); il 9 Roberto Gatto ed il suo omaggio al Tony Williams elettrico di Lifetime (spero finalmente di acciuffare questo set molto intrigante); il 15 il trio di Marco Frattini. Infine il 16 mi farò un bel regalo di Natale con il trio di Alexander Hawkins, che mi sembra una prima italiana. Come al solito sono scelte mie, c’è molto altro ancora. Buone vibrazioni. Milton56
Ed ecco Ohad Talmor ed il quartetto con Ross qualche mese fa a New York…. Suono un po’ così, aguzzate l’orecchio..
