CARLA BLEY 1936 -2023

New York, estate 1956

“Andai al Birdland e lì, accanto alla porta che portava sul retro del locale, dove di solito mi mettevo io, vidi una ragazza alta, magrissima, che indossava una gonna corta e vendeva sigarette da una cassettina sorretta da una fascia che le passava dietro al collo.

Sembrava molto a disagio. Per come mi sentivo (era un momento di particolare euforia per Paul Bley, N.d.R.) pensai che fosse mio dovere parlarle. Dopo tutto non avevo una sola preoccupazione al mondo, perchè per lei avrebbe dovuto essere diverso?

“Qualcosa non va?”

Avrei fatto meglio a non chiederlo, perché la lista era molto lunga: faceva quel lavoro da poco, il padrone allungava le mani dandole dei pizzicotti ecc. ecc.. Si chiamava Karen Borg.

“Beh, la soluzione è molto semplice” le dissi. “non devi far altro che metter giù la cassetta delle sigarette, uscire da quella porta e andare avanti con la tua vita”.

Lei posò la cassetta e ce ne andammo insieme.

Faceva molto caldo, così il giorno dopo prendemmo la metropolitana per andare a fare il bagno a Coney Island. Karen, che preferiva esser chiamata Carla, veniva dalla California ed era un tipo decisamente ruspante. Non aveva un costume da bagno, per cui si fabbricò una specie di top con due foulard ed entrammo in acqua. Quei foulard, senza che me ne rendessi conto, dovevano avere un colore irresistibile, perchè da quel momento in poi la nostra relazione non fu più la stessa.

Non sapevo niente di lei, nè sospettavo che avesse qualcosa a che fare con la musica, per quanto il fatto che lavorasse al Birdland potesse essere un indizio. In realtà suo padre era un insegnante di musica svedese che viveva da qualche parte nelle foreste della California. Carla mi raccontò che sua madre le era morta tra le braccia, e di come ad un certo punto si era ritrovata a vivere sulla spiaggia molto prima che diventasse di moda. Era arrivata ad Est dopo un rocambolesco viaggio con il suo ragazzo. Lui la aveva portata a casa da sua madre, ma la donna, fuori di sé, l’aveva cacciata di casa. Alla fine era riuscita ad arrivare a New York e in qualche modo si era ritrovata al Birdland. Tutto questo lo scoprii con il tempo. In seguito mi mostrò alcune foto di lei che suonava il pianoforte e cantava in un club della Marina di San Diego.”

Una vita jazz sin dagli esordi: da Karen Borg nasce Carla Bley, insieme ad un raro sodalizio musicale che lascerà un segno. E’ Paul Bley a parlare, nel suo splendido ‘Liberare il Tempo’ pubblicato da Quodlibet (ve ne abbiamo parlato poco fa).

Segue un breve allontanamento e poi un ‘matrimonio al Messico’, deciso d’impulso, su due piedi: passo impegnativo per due nomadi della musica.

Ancora New York, siamo negli anni ’60. Il menage si è consolidato. Bley ha in repertorio molti brani composti da Carla. Con il fiuto che lo contraddistingueva, accetta una scrittura con Gary Peacock, Albert Ayler e Sunny Murray. Le prove non promettono niente di buono. Murray non suona a tempo, mentre i brani di Carla sono tutti su tempo regolare.

Andati in fondo alla prima sera di prove, io e Carla andammo a casa.

Carla veniva sempre con me quando lavoravo. La musica era il suo chiodo fisso. Mi faceva sentire uno dei suoi brani ed io dicevo: “Bene, domani lo facciamo”. Ci metteva un grande impegno, Se eravamo a casa tutti e due il pianoforte non lo vedevo nemmeno di sfuggita, perché lei si alzava, faceva colazione e si metteva direttamente alla tastiera. Se non stava parlando con qualcuno perché avevamo visite, allora stava scrivendo. Era instancabile, lavorava su ogni pezzo finchè non era perfetto, che è uno dei motivi per cui nella sua musica tutto sembra necessario. Succedeva spesso che trovasse lo spunto per un nuovo pezzo in concerto, mentre stava lavorando da qualche parte. Questo rendeva la sua musica priva di forzature, perché la scrittura nasceva dall’improvvisazione e l’improvvisazione dalla scrittura.

Quella sera, dopo le prove con Sunny Murray, le dissi: “Carla, i tuoi brani non vengono. E’ per via di Sunny Murray, non riesco a farlo suonare a tempo! Domani ci toccherà preparare un repertorio completamente diverso. Dobbiamo lasciar perdere i brani a tempo e rimpiazzarli con altri a tempo libero”.

Carla rimase in piedi tutta la notte e riscrisse l’intero repertorio. La sera successiva riprendemmo in mano i pezzi e Sunny andò alla grande”

Ed eccola la Carla ‘artigiana della musica’: siamo nel 1970, e questo raro filmato la sorprende nelle prove per ‘Escalator over the Hill’ in compagnia di John McLaughlin e Jack Bruce (naufraghi dalla temporanea smobilitazione dei Lifettime di Tony Williams). Alla batteria Paul Motian. Purtroppo il documentario completo da cui proviene la clip sembra del tutto irraggiungibile.

Ma anche in questa fuggevole ‘istantanea’ non può mancare un ricordo della Carla Bley bandleader: quella della musica per grande organico era una grande sfida creativa ed organizzativa nei ribollenti anni ’70. Ancora una volta siamo fortunati: in genere non inserisco mai clips molto lunghe, e quella che segue dura ben 21 minuti. Ritagliatevi un momento per guardarla tutta, ne vale la pena,credetemi:   una splendida regia video (chissà chi era il regista, un vero asso…) ci mostra in tutta la sua originalità la conduzione di Carla in  un concerto ad Umbria Jazz 1978 (forse l’ultima ‘edizione barbarica’ 😉 ). Consiglio di affrettare la visione, prima che qualche burocrate faccia affondare anche questo prezioso reperto sopravvissuto nel disastro degli archivi musicali RAI. Con l’occasione, un pensiero anche per Angelo Guglielmi che con le ‘Schegge’ della sua RaiTre fece riemergere tante piccole gemme di una stagione irripetibile: per poco purtroppo, provate a cercarle ora là dove sarebbe più logico trovarle…. Ma ora taccio, non è momento di intemerate. Milton56

3 Comments

  1. In quel periodo Carla Bley e Mike Mantler mi chiamarono per partecipare a un paio di sedute d’incisione per il disco Escalator Over the Hill. Un’opera monumentale, su un libretto di Paul Haines, con musiche di Carla, iniziata nel 1968 e terminata nel ’72, con la partecipazione di moltissimi musicisti e cantanti, da Linda Ronstadt a Jack Bruce, da John McLaughlin a Don Cherry.

    Nelle sedute a cui partecipai c’erano, tra gli altri, Dewey Redman, Gato [Barbieri], Jimmy Lyons, Roswell Rudd, Charlie Haden e Paul Motian. Le registrazioni si facevano al Public Theatre, nell’East Village, in Lafayette Street. Carla dirigeva l’orchestra. Era difficilissimo concentrarsi sulla musica perché Carla era veramente bellissima a quei tempi.

    Aveva più o meno una trentina d’anni, e lunghi capelli biondi. Era alta più di un metro e ottanta e, tanto per renderci la vita difficile, indossava (se così si può dire) una minigonna microscopica che metteva in mostra le sue gambe perfette e lunghissime. Come se non bastasse, aveva una camicetta trasparente, la classica see-through, e non portava reggiseno.

    Ogni volta che alzava le braccia per dare l’attacco di un pezzo rimanevamo paralizzati dallo spettacolo. Abbiamo fatto parecchie entrate sbagliate prima di abituarci.

    Enrico Rava, dal libro Incontri con musicisti straordinari

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  2. Eh, un libro straordinario anche lui… e non sono il solo a pensarlo. Il volume è naturalmente ‘fuori catalogo” ed una copia usata è quotata oltre i 100 (cento!!) euro. Ristamparlo in edizione economica nooo, vero? Tra l’altro si scopre un Cav.Rava affabulatore ironico ed affascinante, che narra con nonchalance ed autoironia una vita anch’essa straordinaria. Ci vorrebbe un seguito….
    Vedere per credere:

    ..

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