Blewitt – “Exploring new boundaries”

Ecco una bella occasione per capire cosa sia e dove stia andando una parte del jazz oggi, in Italia. Blewitt, nemmeno 100 anni in tre, sono Stefano Proietti al pianoforte, Oscar Cherici al basso elettrico e Gian Marco De Nisi alla batteria. Solidissima preparazione accademica alle spalle, maturata in diversi Conservatori del Lazio , qualche riconoscimento ufficiale già sugli scaffali, collaborazioni ad ampio raggio fra il mondo del jazz e quello della canzone, il loro autodichiarato intento è coniugare la musica classica al jazz , ma specificano anche di “volere fondere la letteratura pianistica della tradizionae con ritmi contemporanei, dal Neo Soul alla musica etnica Mediterranea, dall’avanguardia al jazz tradizionale” . Detta così non aiuta molto a chiarire cosa aspettarsi da questo “Exploring New Boundaries”, pubblicato da Neuklang e ADA Music (Warner Music Group) loro disco d’ esordio registrato, presso i Bauer Studios di Ludwigsburg in Germania, a seguire l’ Ep “Overture” del 2022. L’ascolto delle 12 tracce, dieci originali e due riletture – “Footprints” di Wayne Shorter e “Passion dance” di Mc Coy Tyner – è invece molto più esplicativo di una formula in piano trio declinata con vigore creativo, grande sinergia e voglia di esplorare, come dice il titolo, confini, se non del tutto nuovi , quantomeno incrociati in modo originale. Le due componenti principali dell’incontro che propugnano sono l’impostazione classica ed il rigore esecutivo del pianoforte da un lato, ed il basso elettrico orientato al groove ed al ruolo solista e la propulsione ritmica molto incisiva della batteria dall’altro. Per affinità stilistiche ed attitudine a scavalcare i generi mi ricordano, in qualche misura, l’Esbjorn Svensson Trio, ma i ragazzi non nascondono ascendenze più strettamente in campo jazz, come dimostrano le scelte delle due cover o questa versione di un classico di Chick Corea, e non mancano spunti indicativi di una identità originale in costruzione.

Nel disco la formula è declinata in dodici composizioni per quasi ottanta minuti di musica: tanto, forse troppo, con inevitabili effetti di sovrabbondanza dovuti forse all’entusiasmo di “voler dire tutto” nell’esordio. Quando le cose funzionano al meglio, comunque, i motivi di interesse e di apprezzamento non mancano. E’ il caso di “Verso l’Atman” una mini sinfonia che parte da una introduzione giocata sulla serialità, si apre in una bella sezione swingante per raggiungere, infine, nel motivo conclusivo che richiama i toni di un bolero, sponde orientali. Oppure delle sferzate perentorie che in “Embrace your destinty” si alternano a momenti di sereno movimento. O ancora di “Arcturus” , che deve gran parte del suo fascino immaginifico all’alternarsi di diversi piani narrativi e soluzioni armoniche.

Altri brani come “Red sun“, o “Pace nel Mediterraneo” , si sviluppano a partire da una evidente cellula melodica , per poi espandersi, sull’onda dei serrati fraseggi del pianoforte, in drammatici crescendo collettivi nei quali il trio sembra mettere in gioco una delle proprie caratteristiche migliori, ovvero la capacità di costruire nell’esecuzione, trovando consonanze e percorsi comuni che indirizzano i brani verso svolte inattese e territori da esplorare: succede oltrechè nei brani citati, in “Bach to the future“, uno dei brani con le più marcate ascendenza classiche, che nel finale si coagula in un travolgente riff .

Footprints” inizia in tono dimesso con una citazione in minore del tema di Shorter, per evolvere gradualmente, sotto la guida del basso, in una dimensione ritmicamente swingante attraversata dalle escursioni del pianoforte, e proseguire con un’ ampia sezione in piano solo prima del vertiginoso pieno finale.

Chiude il disco una micro versione di un minuto e mezzo del brano di Mc Coy Tyner, espulsa a velocità turbo dal pianeta Blewitt. Dal quale, per tornare all’incipit, arrivano notizie ottime sotto il profilo tecnico, ed ancora più interessanti, sotto quello della personalità creativa, ne sono attese nei prossimi tempi.

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