A distanza di tre anni dall’inizio, continuano a giungere testimonianze del modo in cui l’umanità ha affrontato il periodo della pandemia. E sappiamo che la musica, dai cori sui terrazzi ai concerti in camera trasmessi in streaming, ha avuto un ruolo centrale nelle strategie di sopravvivenza ad un evento inedito che ha colto tutti impreparati e disorientati, facendo deviare, per qualche tempo, la traiettoria della nostra storia.
Roy Nathanson è un sassofonista settantenne di Brooklyn, ha studiato con Jimmy Heath ed è stato membro dei Lounge Lizards di John Lurie e leader con il trombonista Curtis Fowlkes, dell’orchestra Jazz Passengers, un ensemble dalla vasta discografia noto anche per le collaborazioni con cantanti pop quali Deborah Harry, Elvis Costello e Jeff Buckley. Ha un suo quartetto, recita in films, ed ha creato un programma didattico per avvicinare i ragazzi alla musica.
Alle ore 17 del 2 aprile 2020, a pochi giorni dall’inizio del lockdown per l’emergenza coronavirus negli Stati Uniti , Roy è uscito sulla veranda di casa ed ha intonato al sax “Amazing Grace“, cercando di sovrastare il rumore delle sirene delle ambulanze. Ha continuato a farlo ogni giorno fino al 21 giugno 2020 per 82 giorni, durante i quali i concerti sulla veranda sono diventati un ‘abitudine che, con l’ allentarsi delle misure di isolamento, ha iniziato ad attrarre altri musicisti vicini e lontani, qualcuno che arrivava con lo strumento da casa, altri pronti a prestare la propria voce, fra loro Isaiah Barr (fondatore dell’Onyx Collecive) e Nick Hakim.
Il video sotto è un frammento di uno di quegli 82 giorni e restituisce in modao adeguato l’atmosfera di quelle caotche, improvvisate ma vitalissime jam sessions.
Nel cd che Enja ha tratto dalle esibizioni , il sax di Nathanson guida le danze destreggianosi fra brani in solo come “Go down Moses” e la monkiana “Green Chimneys”, rielaborazioni di evergreen di epoche diverse come una “Smile” dai ritmi latini, “Ain’t no sunshine” di Bill Whiters in duo con la tromba ed i fltri elettronici del figlio Gabe, o un frammento di “Bridge over troubled water“. Ci sono inni della tradizione statunitense come “Tennesse waltz ” e l’ “Amazing Grace” che ha dato inizio al progetto, incuneati fra composizioni originali come l’accorata “Bend in the night” o la conclusiva ballad da ore piccole “Something’s different“, cantata da Cleo Reed, oltre a quello che a mio parere è il brano più riuscito: “All the bones have names” , basso wave, voci gospel, tablas, piano elettrico e l’alto di Nathason a creare un flusso magnetico di blues psichedelico.
Mischiando jazz, blues, gospel e pop, “82 days” restituisce un’immagine vivida di un triste periodo e diventa testimonianza del potere salvifico del linguaggo musicale.
