8 schegge di Mingus

-8 schegge di Mingus-.

Il 5 gennaio del 1979 fa , a 56 anni, in quel di Guernavaca, in Messico, ci lasciava per sempre il vulcanico, geniale, irascibile, carissimo Charles Mingus (e non chiamatelo Charlie, per carità!). Una leggenda mai chiarita narra che nello stesso giorno 56 balene si arenarono su di una spiaggia messicana. Dopo qualche giorno la vedova Sue Mingus, destinata e perpetuarne e custodire l’opera attraverso i complessi Mingus Dinasty , disperse le ceneri del genio di Nogales sulle rive del Gange, su sua espressa indicazione.

Tracce di Jazz propone oggi 8 schegge mingusiane, citazioni pescate da libri più e meno celebri, piuttosto che da copertine di dischi o rare interviste, con aggiunta di clip musicali o altre rarity…un piccolo bozzetto per avvicinare una personalità unica e inquieta, 8 brevi schegge a volte curiose, a volte poetiche, certamente datate ma colorate e vive, come la musica dell’impareggiabile Mingus.

1) Here Comes The Man.

Ed ecco Charles Mingus, come ve lo siete sempre immaginato. Un tipo nero grasso, ispido, dalla pelle chiara che ha picchiato gente sul palco, interrotto concerti a metà per aver sentito tintinnare un registratore di cassa o perchè un fan o un musicista hanno detto qualcosa che non gli aggradava. E se ha perso abbastanza le staffe è capace di urlarti contro, o di mettersi a dare lezione, o continuare a swingare, o tirare fuori un coltello e puntarlo contro il colpevole, come se fosse la rabbia di Zeus incarnata in 110 chilogrammi.

(Gene Santoro – da Myself When I Am Real)

Mingus al pianoforte, l’anima messa a nudo, Memorabile.

2) Di Spirito e Lotta.

Dalle liner notes di The Clown, due anni dopo aver scritto il capolavoro “Haitian Fight Song” Mingus confida:

“Potrebbe chiamarsi anche Afro-American Fight Song. Ha uno spirito folk, il tipo di musica folk che ho sempre ascoltato. Ha anche un certo feeling di vecchie chiese. Sono stato cresciuto in una chiesa metodista, ma c’era la Holiness Church dietro l’angolo e l’atmosfera della loro musica, più sfrenata, aveva influenzato la nostra.

C’è un senso di sofferenza in quelle musiche sacre (…) Il mio assolo è di quelli che definisco profondamente concentrati. Riesco a suonarlo solamente se mi concentro pensando al pregiudizio, all’odio, alla persecuzione e all’ingiustizia. C’è la tristezza e c’è il pianto, ma c’è anche la determinazione. E normalmente termina con questo mio pensiero: gliel’ho detto! spero che qualcuno mi abbia ascoltato!”

(Nat Hentoff- The Clown – Atlantic1260)

3) Architettura Mingusiana.

“Io compongo su un foglio di carta mentale, e poi spiego le composizioni punto per punto ai musicisti. Disegno la struttura generale al pianoforte, così che i musicisti possano comprendere il senso che voglio dare alla musica e poi le scale e le progressioni di accordi che voglio utilizzare. Lo stile personale di ogni singolo musicista è tenuto in considerazione sia nel collettivo che in assolo. A ciascuno traccio una serie di note da suonare per ciascun accordo, ma tutti sono liberi di suonarli nel proprio stile, tranne quando devo realizzare un particolare clima. Così riesco ad imprimere ai brani la mia impronta di compositore lasciando ai musicisti una grande libertà collettiva e solistica.”

(da un’intervista a Nesuhi Ertegun)

4) Trane su Mingus.

(…) Coltrane lo rispettava ma per qualche motivo non ne era entusiasta. Nel 1961 osservò: “Ora come ora non mi piacerebbe per niente fare un disco con Charlie Mingus, semplicemente perchè la sua musica mi è estranea, e non sono sicuro di comprendere le sue teorie. Non sto dicendo che se

lavorassimo insieme sarebbe un fallimento -anzi, è possibilissimo che il risultato sorprenderebbe entrambi- ma devo dire che l’idea non mi entusiasma, almeno per ora” (Postif). Un anno dopo disse che sarebbe stato “interessante” suonare con Mingus, ma aggiunse: “Il nostro incontro sarebbe sicuramente rischioso, perchè Mingus lavora al di là delle forme e strutture consuete, e io non credo proprio di volermi spingere tanto in là, no, non credo proprio.”

I due non suonarono mai insieme.

(da Blue Trane di Lewis Porter)

5) Dal Vanguard.

Max Gordon, pochi mesi dopo la scomparsa di Mingus conversa con Dannie Richmond, nel locale deserto alle cinque di pomeriggio.

“Una volta tirò fuori un coltello davanti a me” raccontai a Dannie. “non mi feci impressionare: sapevo che non l’avrebbe mai usato!”

“Perchè…soldi, immagino.” disse Dannie.

“Aveva bisogno di soldi, una certa somma in contanti. Gli misi in mano un rotolo di biglietti di banca. Non erano la cifra che voleva, per cui lanciò in aria l’intero malloppo e tirò fuori di tasca un coltello.”

“Me lo ricordo benissimo!” disse Dannie, “io da bravo bambino mi misi a raccogliere una a una le banconote sparse per terra.”

“E la notte che scardinò la porta principale” ricordai “perchè nel manifesto appeso fuori non c’erano le parole Jazz Workshop? “E devi mettere Charles, non Charlie!” mi urlò dall’alto dei gradini. Voleva che la gente lo conoscesse come “Charles” e non “Charlie” Mingus. Non feci mai più quell’errore.”

Poi domandai a Dannie: “Come hai fatto a sopportarlo per vent’anni?”

“E’ stato per via della musica che componeva. Non conosco una ballata jazz più grande di Good Bye Porkpie Hat che scrisse quando morì Lester Young.

Tu hai mai sentito qualcosa di meglio?”

(Max Gordon, Dal Vivo al Vanguard)

6) Miles su Mingus

(…) Più o meno in quel periodo (1946) feci un album con Mingus, Baron Mingus and His Symphonic Airs Mingus era un tipo davvero brillante, totalmente pazzo, e io non sono mai riuscito a capire cosa diavolo intendesse dire con quel titolo. Ha provato a spiegarmelo, una volta, ma io credo che nemmeno lui sapesse esattamente cosa intendesse dire. Ma Mingus non faceva le cose a metà. Se decideva di fare qualche cazzata da solo l’avrebbe fatta meglio di qualsiasi altra persona. (…) Mingus era sicuramente pazzo, ma era altrettanto sicuramente molto avanti rispetto ai suoi tempi.E’ stato uno dei più grandi bassisti che io abbia mai sentito. Era anche un gran figlio di puttana che non accettava stronzate da nessuno e io ho molto apprezzato questo suo atteggiamento. (…) Nel 1946, dopo che Lucky Thompson abbandonò la città, Mingus divenne il mio più grande amico a Los Angeles. Provavamo insieme in ogni occasione, parlavamo continuamente di musica.

(Miles L’autobiografia di un mito del jazz – Miles Davis con Quincy Troupe)

7) Giovanni Tommaso su Mingus

Mingus, avendo vissuto da protagonista la nascita del bebop conosce, e si sente, tutta la storia del jazz. Una componente del concetto di swing (così profondo e complesso) la definirei “elasticità”. A questa componente, secondo me, Mingus viene meno perchè la sua concezione ritmica è sì aggressiva e trascinante, ma anche rigida. Direi che Mingus suona sul tempo e non nel tempo. Non

sono mai riuscito a capire se ciò derivava dalla sua lunga militanza con Max Roach, batterista che pulsa troppo simmetricamente, oppure è frutto della sua particolare concezione. Sta di fatto che anche dopo nei suoi gruppi con Dannie Richmond ha sempre fornito ai solisti una ritmica molto solida e di gran supporto, ma anche un po’ rigida, che finiva per condizionarne il fraseggio. Se questa può essere una mia modesta critica al contrabbassista va comunque ribadito che il leader e il compositore avevano la forza di risultare in qualsiasi momento all’avanguardia, pur rimanendo rigorosamente fedeli alla propria vena.

(Eric J. Hobsbawm – Storia Sociale del Jazz)

Pescara 1972 – (Ph: Lucio Fumo) – con Yusef Lateef, Kenny Drew e N.H.O.P.

8) Joni e la sedia nel cielo.

1979 – Joni Mitchell pubblica “Mingus”, l’ultimo segno lasciato da un uomo pressochè morente, confinato su di una sedia rotelle ma non vinto, non arreso. L’album, molto apprezzato in ambito rock e molto meno in ambito jazz è forse più importante dal punto di vista emotivo che non sotto il profilo musicale e raggruppa comunque attorno alla cantautrice canadese jazzmen del calibro di Jaco Pastorius, Herbie Hancock, Wayne Shorter, Peter Erskine…

Paralizzato e incapace di parlare Mingus si espresse attraverso la parola e la voce di Joni Mitchell.

“Inizialmente mi diede solo le melodie e il mio lavoro consisteva nel metter loro i versi. Gli chiesi che significato gli suggerisse il mood di ogni brano. Mi rispose che il primo ad esempio riguardava “le cose che avrebbe perduto”.

In quel momento c’era qualche piccola speranza che potesse sopravvivere ma era molto, molto remota.

In verità Mingus si stava preparando a morire ed era in un profondo stato di riflessione, su se stesso, sul suo passato e il suo futuro imminente.

A un certo punto sua moglie si girò verso di lui e gli disse :”Oh, Charlie, tu sai che hai fatto tutto ciò che volevi”. Lui mi guardò e in quello sguardo capii che per quanto tu abbia realizzato delle cose nella tua vita, quando ti confronti con la fine che sopraggiunge capisci che ci sono milioni di cose che senti di aver lasciato incompiute. Mi sono immedesimata in lui ed ho scritto le cose che avrebbe perduto”.

A CHAIR IN THE SKY

The rain slammed hard as bars

It caught me-by surprise

Mutts of the planet

And shook me down for alibis

I’m waiting

For the keeper to release me

Debating this sentence

Biding my time

In memories

Of old friends of mine …

In daydreams of Birdland

I see my soul on fire

Burning up the bandstand

Next time

I’ll be bigger!

I’ll be better than ever!

I’ll be happily attached

To my cold hard cash!

But now Manhattan holds me

To a chair in the sky

With the bird in my ears

And boats in my eyes

Going by

There are things I wish I’d done

Some friends I’m gonna miss

Beautiful lovers

I never got the chance to kiss…

Daydreamin’ drugs the pain of living

Processions of missing

Lovers and friends

Fade in and they fade out again

In these daydreams of rebirth

I see myself in style

Raking in what I’m worth

Next time

I’ll be bigger!

I’ll be better than ever!

I’ll be resurrected royal!

I’ll be rich as standard oil!

But now-Manhattan holds me

To a chair in the sky

With the bird in my ears

And boats in my eyes

Going by

UNA SEDIA IN CIELO

La pioggia batteva forte

Mi colse di sorpresa

Mondo ottuso

E mi lasciò senz’alibi.

Attendo

Che il guardiano mi liberi

Pronunciando la mia sentenza

E arrivi il mio momento

Nei ricordi

Dei miei vecchi amici…

Nei sogni ad occhi aperti del Birdland

Vedo la mia anima infuocarsi

Dar fuoco al palco

La prossima volta sarò più grande!

Sarò meglio che mai!

Sarò felicemente attaccato

Ai miei sudati quattrini!

Ma ora Manhattan mi incatena

Ad una sedia nel cielo

Con uccelli nelle mie orecchie

E barche nei miei occhi

Che passano.

Ci sono cose che vorrei aver fatto

Alcuni amici che mi mancheranno

Amanti bellissime

Che non ho mai avuto occasione di baciare…

Sognare ad occhi aperti narcotizza il male di vivere

Processioni di

Amori ed amici che se ne sono andati

Appaiono e svaniscono nuovamente

Quando fantastico di rinascere

Mi vedo come un uomo di classe

Apprezzato per il suo valore

La prossima volta sarò più grande!

Sarò meglio che mai!

Risorgerò regale!

Sarò ricco come l’azienda dei petroli!

Ma ora Manhattan mi incatena

Ad una sedia nel cielo

Con uccelli nelle mie orecchie

E barche nei miei occhi

Che passano.

(traduzione di Alessia Obino)

5 Comments

  1. Mingus che collabora con Miles o con Trane? Mmmh….. il primo sin dagli albori della sua carriera non ha fatto mai il sideman per nessuno (eccezione solo per Adderley a testimonianza della grande stima che ne aveva). Il metodo di lavoro ‘aperto’ di Miles in studio sarebbe entrato in rotta di collisione con la sindrome di controllo di Mingus, che si concepiva in primis come compositore. E considerati i caratteri, dopo la collisione lo spargimento di sangue sarebbe stato garantito. Quanto a Trane, anche qui la torrenzialità e l’estatica eloquenza del suo sax avrebbero urtato contro il marcato senso della forma e della struttura di Mingus. Una volta guadagnato un suo posto sulla scena, l’uomo di Nogales in sostanza non ha mai più affrontato collaborazioni alla pari, reclamando per sè la guida degli ensemble: la sofferta e tesa sessione di registrazione di ‘Money Jungle’ sta lì a dimostrarlo, solo la diplomazia ed il savoir faire di Elllington riuscirono a venire a capo degli attriti Mingus-Roach… Quanto agli ‘head arragements’ di Mingus, essi risultavano quantomai faticosi per i musicisti: Don Pullen, la stella dello stupendo quintetto dei ‘Changes’, visse come una liberazione l’abbandono del gruppo. Milton56

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    1. ottima dissertazione. Ci resta soprattutto quel “Blue Moods” a nome di Miles del ’55 inciso per la Debut di Mingus, forse per motivi legati al dollaro…e all’amicizia. Si dice che Miles fosse messo malissimo e che Mingus finì per buttargli una sorta di salvagente con l’allestimento di una session per la sua eretica label, un ensemble diciamo “eterogeneo” con elementi davvero difficili da assemblare, da Elvin Jones al glorioso ellingtoniano trombonista Britt Woodman e quindi Teddy Charles al vibrafono….un disco-miracolo spesso evitato nella discografia di entrambi i giganti e a che invece a distanza di tanti anni suona molto ma molto più che egregiamente, con tanto jazz futuribile che volendo si può apprezzare in filigrana, ecc. ecc.

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