Germano Zenga – “Gato!”

Basterebbero il titolo del brano conclusivo e l’inserto vocale di Gato Barbieri a chiudere qui questa recensione e le molte altre che tenteranno di spiegare questo disco di Germano Zenga sassofonista milanese spesso apparso alla testa di un suo quartetto – con questa ragione sociale i dischi “Tide of Dreams” (2010) e “Changin’ Balance” (2014) – ma anche membro dell’Artchipel Orchestra di Ferdinando Faraò, qui titolare di tutte le percussioni : “La musica non se puede explicar, es una cosa magica“.

Ci proviamo ugualmente a raccontare questo “Gato!” (Caligola records), perchè sarebbe un peccato se un lavoro di questa qualità non trovasse adeguata diffusione, non solo presso gli appassionati del sassofonista argentino, ma per chiunque apprezzi la musica fatta con ragione e sentimento. Un’ equilibrata ed efficace organizzazione dell’organico, con una sezione ritmica non convenzionale ad edificare strutture per la voce del sassofono, ed il vibrafono di Luca Gusella, anch’ egli nell’organico di Artchipel, ad ampliare spazi e respiro delle esecuzioni, è ascrivibile alla prima. La scelta di omaggiare il periodo più politico della carriera di Gato Barbieri, quello a cavallo fra la fine degli anni ’60 ed i ’70 con opere quali “The third world”, “Bolivia ” ed i tre “Chapter” , scegliendo però un registro personale, aggiornato nelle sonorità che valorizzano il groove delle composizioni originali e contemplano una tonalità più rilassata e meditativa delle frasi del sax, risponde al secondo. E sotto la medesima voce citerei la presenza, in tre episodi, del flicorno di Enrico Rava, per il ruolo di testimone diretto di tante avventure dagli anni sessanta in poi, a fianco di Gato . Si parte da “Bolivia” con il pezzo che apriva nel 1973 quel famoso disco, “Merceditas“, e gli elementi che convergono per la riuscita di questa operazione sono subito evidenti: viene valorizzato il refrain del contrabbasso e le percussioni creano un fitto ed avvolgente tappeto sonoro per la declamazione del tema da parte del sax, ripreso poi nel finale dopo un break in cui compare la bass balalaika di Danilo Gallo. Si replica con il secondo brano “Antonio das Mortes” tratta da “The third world”, che riprende l’ascesi dell’originale declinandola nel dialogo fra il sax ed il ficcante flicorno di Enrico Rava : un brano che si sviluppa prendendo forma dalla intro iniziale nell’irresistibile ritmo latino che porta all’apertura del tema condotto all’unisono dai due fiati. Uno dei momenti più suggestivi di un disco che vanta molte altre pagine di rilievo: dalla ballad “Hamba Khale” di Abdullah Ibrahim, dolcemente adagiata sulla culla delle risonanze del vibrafono, ad una “El Gato” divisa fra il tema incalzante e momenti di libera improvvisazione, da “El Pampero“, dove agli elementi fin qui messi in gioco si aggiungono gli aromi etnici portati dalle voci, dalle percussioni e dal flauto di Danilo Gallo, a “Tupac Amaru“, con il sax di Zenga che inquadra il tema in tutte le angolature possibili, supportato da un fitto tessuto ordito dalle percussioni di Faraò.

Ci sono poi le tre composizioni originali: “Lost tango” scritta da Zenga e Faraò, interpretata ancora in quintetto con un Rava particolarmente incline all’esplorazione, ricca di suggestioni e rimandi alla famosa colonna sonora del film di Bertolucci, la lirica e delicata “Mimi’s dream” duetto fra sax e vibrafono e l’estesa “Sombra de Gato” , dal passo melodico raffinato ed avvolgente, che sboccia in esito ad uno sviluppo inizialmente astratto e resta sorretto, nelle parti soliste del sax e del vibrafono, da un mirabile meccanismo percussivo alla Paul Motian .

Un disco coraggioso ed originale, “Gato!” che riesce ad aprire una prospettiva nuova sulle note pagine del sassofonista argentino.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.