ISTANTANEE – ETHAN IVERSON TRIO A FERRARA

Con tutta la simpatia per la piccola Instamatic, questa istantanea merita la macchina che è stata di Cartier-Bresson, di Bob Capa e di Mario Dondero: la Leica M….

Premetto che stimo parecchio Ethan Iverson, al punto di inseguirlo in alcune delle sue date dal vivo degli ultimi anni. Ma in tutta franchezza, il suo ultimo album ‘Technically Acceptable’ non mi ha convinto granchè (di alcuni pezzi in particolare si potrebbe dire di peggio). Da sedi ben più autorevoli ho visto reazioni analoghe.

Perché quindi fare 200 km per andare a sentire a Ferrara il trio (quello con Thomas Morgan al basso e Kush Abadey alla batteria, due partner di gran livello) che è protagonista di buona parte dell’album? Primo perché ritengo che si debba sempre offrire una seconda chance a musicisti che ritengo interessanti. Secondo, perché penso che in questa prova d’appello il palco sia decisivo.

…eccolo il trio

E devo proprio dire che stavolta la costanza è stata premiata con due sets veramente memorabili.

Il trio si è presentato subito in gran forma; ha colpito la scelta si accantonare in gran parte i materiali dell’ultimo album, attingendo invece ad un repertorio di standards perlopiù moderni, una scaletta raffinata e ben impaginata.

Sin dal primo momento si è notata grande trasparenza e pulizia sia nel suono che nella trama di gruppo.

Il pianismo di Iverson anche questa volta ha rivelato una predilezione per le dinamiche contenute, ma a più riprese si è notata una tendenza a inseguire il tono sfumato e smorzato del grande Tristano.

L’ombra del Maestro Oscuro è affiorata anche nell’intricatissimo ed imprevedibile sviluppo dei temi, così come nelle magmatiche e spesso allucinate introduzioni da cui Iverson faceva emergere d’improvviso la prima enunciazione dei temi degli standard. Impressionante un ‘All the things you are’, dove il tema galleggia in frammenti tra lenti vortici, anch’essi di ascendenza tristaniana.

Ma questa componente di intelletto non è andata minimamente a detrimento di una scioltezza elegante e sempre swingante (e questo è netto punto di superiorità rispetto all’album).

Questo risultato di leggerezza e fluidità si deve molto al magnifico sostegno offerto sia da Morgan al basso che da Abadey alla batteria.

Il bassista (vero coprotagonista della performance) si è distinto per un suono pieno e nitido e per un fraseggio spesso irruente ed estroso: i suoi soli arrembanti ed appassionati hanno immediatamente conquistato il pubblico.

Anche Abadey si è distinto per un drumming a maglie larghe, di grande limpidezza sonora, punteggiato da accenti e pennellate dal timing perfetto e che sempre sono riusciti essenziali alla espressione del piccolo combo.

Il concerto ha conosciuto una progressione di momenti alti: da un ‘Song fo my Father’ di Horace Silver, a ‘Good Bait’ di Tadd Dameron. Ma il mio momento top è venuto con un ‘Fire Waltz’ di raffinato slancio e fluidità: Iverson lo ha dedicato a  Mal Waldron, sua insospettata fonte di ispirazione. Ma non sarebbe stato male rammentare un altro musicista cui il brano appartiene indissolubilmente, come si può vedere qui sotto:

Qui è in campo l’altro padre del magico ‘Fire Waltz’: Eric Dolphy, in un memorabile live del 1961 al Five Spot

Ma questa miracolosa rimonta ha anche un altro protagonista, impossibile non parlarne: il pubblico del Torrione. Molto diverso da quello di tante altre platee jazzistiche: un mix di ‘teste grige’ con molta musica in testa, di ragazzi dell’università e del Conservatorio, di pattuglie di ragazze sole, finalmente non trascinate in catene al martirio da mariti, fidanzati e cavalier serventi. Iverson ed i suoi già erano intrigati da precedenti passaggi nella Torre, ma quando hanno sentito un pubblico che ad ogni loro scelta di temi, ad ogni loro invenzione improvvisativa partecipava con misurati, ma evidenti segnali di approvazione e stupore, hanno perso ogni traccia di quell’aplomb ‘bostoniano’ che spesso si percepisce su disco. Nel secondo set Iverson e Morgan sembravano letteralmente tarantolati, solo Abadey manteneva la testa un po’ più fredda (ma giusto un pochino…). I ‘wonderful venue!’ ed i ‘great time!’ si  sono sprecati. Una serata che entrerà nel mio piccolo album dei ricordi migliori.

Un solo rimpianto: questo avrebbe potuto esser il disco…… Milton56

Curiosi dell’ “All the things you are”? Eccolo qualche sera prima, credo a Vienna…

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