Una breve panoramica su alcune recenti uscite discografiche candidate al ruolo di affidabili compagnie quotidiane nella transizione stagionale attualmente in corso.
Il quotatissimo chitarrista californiano Julian Lage sembra avere fatto della varietà stilistica il filo conduttore del suo nuovo “Speak to me” (Blue note) : in compagnia dei fidi compagni Jorge Roeder e Dave King (in libera uscita dai The bad plus) con il veterano Patrick Warren alle tastiere e gli ospiti Kris Davis al piano e Levon Henry al sax, ed in viste di produttore il cantautore Joe Henry, Lage attraversa in tredici brani di media durata, le principali coordinate del proprio vocabolario espressivo. Dove convivono lo spirito estroverso e un pò tamarro di “Northern shuffle“, il blues guizzante della title track , un elaborato studio per chitarra acustica (“Myself Around You“), sentori folk in chiave psichedelica (“South Mountain“), numeri più vicini al jazz come ” Two as one” o alle colonne sonore come “Vanishing point” “, in entrambe da ascoltare il contrabbasso di Roeder. Al medesimo filone immaginifico appartiene “As it were“, con la chitarra che dialoga immersa in uno sfondo di archi .
La mano di Henry si avverte chiaramente nelle atmosfere folk chiaroscurali, alimentate dal prevalente uso della chitarra acustica e da arrangiamenti vintage ricercati ed evocativi cui contribuiscono tastiere e fiati. Ascoltate lo shuffle ritmicamente quadrato di “76“, con pianoforte e sax a serrare le fila del corteo capeggiato dalle complesse trame armoniche della chitarra, o la finale “Nothing happens here“, alimentata dagli stessi strumenti ma in chiave di melanconica, ammaliante ballad.
Fra le mie preferite “Omission“, secondo brano in scaletta, un brano da vividi tramonti californiani, e “Tiburon“, melodia la cui bellezza potrebbe indurre ad una compiaciuta ripetizione, e che invece Lage risolve con un piglio sbarazzino, dando spunto ad uno dei migliori soli dell’album.
Da degustare senza fretta, “Speak to me” fornirà più di un motivo di soddisfazione.

Ritroviamo Lage in nobile e nutrita compagnia ( Lisa Fischer, Gretchen Parlato e Becca Stevens al canto, Terence Blanchard alla tromba , Ben Wendel e Dayna Stephens ai saxes , Charles Altura alle chitarre , Maya Kronfeld che affianca il leader alle tastiere, David “DJ” Ginyard e Harish Raghavan ai bassi, Oscar Seaton, Jr. e Kendrick Scott alla batteria, più una sezione archi( Stephanie Yu, Corinne Sobolewski, Mia Barcia-Colombo e Jules Levy), nel nuovo disco del compositore e pianista Taylor Eigsti, “Plot armor” (GroundUp music), originale creazione nella quale il jazz convive con la classica, una particolare forma di progressive e la canzone, seguendo un percorso nelle personali attitudini del titolare, in qualche modo parallelo a quello del quasi coetaneo chitarrista. Il titolo, tratto dal lessico delle fiction, fa riferimento al destino dei personaggi, scritto “perchè la trama possa avere uno sviluppo“. La grande varietà di fonti e la propensione ad un approccio di grandeur strumentale si spiegano forse con la storia del musicista, enfant prodige del pianoforte, sul palco con Dave Brubeck a 13 anni, autore del primo cd a 14 ed insegnante alla Stanford Jazz Workshop a 15. Con una storia così, la tendenza a ragionare in grande è in qualche modo comprensibile.
L’iniziale “Let You Bee”, condotta dalla loquace chitarra di Charles Altura su un tappeto ritmico in ebollizione, con pianoforte e sezione archi a riempire ogni spazio sonoro, e la successiva “Bucket of F’s“, che rivela fra stringenti scansioni ritmiche un saggio dello stile straightforward del leader ed un concitato solo al sax di Ben Wendel, rappresentano una parziale chiave di lettura dell’opera. Che concede spazio anche al versante delle songs con “Look Around You”, dove Becca Stevens è vicina allo stile di Kate Bush, “Fire within”, marcata della sanguigna vena soul di Lisa Fisher, e “Beyond the blue” con Gretchen Parlato teneramente incorniciata dagli archi e dal pianoforte. E propone poi altri esempi del sincretismo musicale di Eigsti nella title track, affollata di chitarre, tastiere ed orchestrazioni, in “Actually“, dove il panorama dipinto da piano e chitarra elettrica si arricchisce ulteriormente con apporti di elettronica, ed in una allusiva “Bewitched, Bothered and Bewildered” con il sax di Dayna Stephens in staffetta con la chitarra di Altura. Anche quando affronta una ballad in trio, “201918” , Eigsti non può esentarsi dall’arricchire il panorama con qualche incursione di elettronica. Il brano di matrice più vicina al jazz risulta la meditativa “Light dream“, affidata alla tromba di Terence Blanchard , mentre la conclusiva “Bad Sport Lobby ” è una sorta di tour de force virtuosistico del pianoforte. Una trama davvero difficile da afferrare per un disco forse eccessivo, dal quale estrapolare alcuni highlights.

Si torna su territori conosciuti, in particolare quella forma di jazz contemporaneo che rappresenta la migliore evoluzione possibile della desueta “fusion”, con il recente cd del sassofonista statunitense Chris Potter, con una stelllare formazione che include Brad Mehldau al pianoforte, John Patitucci al basso e Brian Blade alla batteria. Dall’iniziale “Dream of home“, con le frasi di Potter che echeggiano quelle dell’amato Michael Brecker, ad “Horizon dance” che chiude il disco con vivaci pennellate latin, il programma, caratterizzato da una pulsante vena ritmica, pretende un’immersione totale. Per gustare le invenzioni sempre spiazzanti di uno fra i migliori pianisti del momento, battere idealmente il tempo imposto da una sezione ritmica implacabile e creativa, e seguire le complesse trame congegnate da un sassofono in gran forma nel consueto gioco di equilibrio fra controllo ed emotività. Citiamo “Cloud message” impostata sul gioco di rimandi fra sax e piano, e Blade che sembra contenere a stento l’energia ritmica fra le bacchette, mentre Meldhau e Patitucci si rincorrono nei soli, “Indigo Ildikò” con Potter al clarinetto basso ed ampie sezioni soliste di basso e pianoforte, la spumeggiante dinamicità della title track, con Potter sempre al proscenio, e “Malaga moon” , giro notturno in territori andalusi condotti dalla loquace guida del basso di Patitucci, con sorprese ed incontri (pianoforte e sax) che si susseguono in rapida sequenza. “Eagle’s point” (Edition records) è un esempio di cosa può succedere quando si riuniscono a suonare alcuni giganti dell’attuale scena jazz mondiale.
