Per una sera lo storico Louisiana Jazz Club di Genova, incastonato in due salette al centro della città, sembrava davvero il Village Vanguard. Non solo per le esigue dimensioni e l’effetto vagamente claustrofobico della discesa della stretta scaletta che porta al locale inferiore, ma per la musica ascoltata, da parte di uno sfavillante Bobby Watson Quintet che apriva qui domenica 17 marzo, una breve tourneè italiana con tappe successive a San Lazzaro di Saveno (Bologna), Bergamo e Ferrara. Tre veterani, il leader, il bassista Curtis Lundy, a lungo nella band di Betty Carter ed il batterista Victor Jones, alle spalle militanze nei gruppi di Lou Donaldson, Stan Getz e con Petrucciani, Gillespie, Moody, e due rising star, a conferma del ruolo di talent scout di Watson, come il pianista Jordan Williams, solida formazione fra gospel e classica, e Wallace Roney jr. il figlio venticnquenne dell’omonimo trombettista scomparso nel 2020 nelle prime fasi della pandemia, e della pianista Geri Allen. Già dopo il primo brano, una composizione originale di Watson dal titolo “Sweet dreams“, con il tema declamato all’unisono dalla tromba di Roney ed il sax alto di Watson, si è capito che sarebbe stato un grande concerto, ed il pubblico ha reagito di conseguenza, con boati ed incitamenti a sottolineare i singoli assoli e la forza di una musica che in un club come questo, con i musicisti a mezzo metro dagli spettatori, sembra trovare la dimensione ideale. La miccia innescata dal primo brano è diventata incendio con “Condition blue ” di Jackie McLean, accesa da un’ introduzione di Watson che ha caricato il quintetto in una performace di alta intensità culminata in un pirotecnico assolo di Jones, batterista in grado di bilanciare veemenza e raffinatezza con grande maestria, garantendo un apporto funzionale al discorso collettivo che diventa trama a parte, da seguire ad occhi e orecchie ben spalancati.

Watson pare affrontare con estrema leggerezza e naturalezza qualsiasi situazione ed “In a sentimental mood” è dominata dal suo sax con un governo dei tempi esemplare ed un solo che conclude con una piccola citazione da Burt Bacharach. Dopo la pausa “…we got several request….” e si riparte da un omaggio alla Red Records con “Appointment in Milano“, introdotta da un elaborato solo del contrabbasso, caratterizzato da un particolare suono brunito, che sfocia nella cellula ritmica essenziale sulla quale si innesta il tagliente unisono dei fiati: parti soliste di Roney, prodigo di buone premesse per il mantenimento della linea ereditaria, e di Williams, un pianista interessante, dall’approccio aperto ed inventivo. A chiusura del set, la sincopata melodia in chiave latin di “Karita”, dedicata alla cognata di Watson , trombonista, ed una interpretazione del classico “Soul eyes” di Mal Waldron, affrontato da Watson con esemplare ricchezza di sfumature . Tutti a casa alle 23.30, dopo quasi due ore di musica che risuonerà a lungo fra i muri del Louisiana e nelle orecchie dei presenti.

