Un libro dentro al jazz.

Rodolfo Cervetto – “I suoni della vita. tre racconti sul jazz” (il canneto ed. 2023)

Quasi tutti hanno avuto la propria chance con il jazz. Quasi tutti, per scelta o per caso, si sono imbattuti in un concerto o un disco, ricavandone impressioni variabili fra la curiosità propositiva, un vago piacere epidermico o il disinteresse. Qualcuno ha denunciato intolleranza, ma non sono emersi puntuali riscontri clinici a conferma. A me è capitato di incontrare il jazz tramite un film, “Round Midnight” di Bertrand Tavernier del 1986, parafrasi della storia di Bud Powell nella Parigi degli anni ’50, interpretato da Dexter Gordon. E da allora, avevo 25 anni, questa musica è diventata compagno di viaggio quasi quotidiano in un tragitto, tuttora in corso, nel tempo e nei luoghi, alla ricerca di storie, personaggi, ed emozioni .”

Chiedo scusa in anticipo per l’autocitazione, ma l’outing di chi scrive queste righe mi è sembrato in particolare sintonia con lo spirito che pervade “I suoni della vita” il libro di Rodolfo “Rudy” Cervetto, affermato batterista jazz da oltre un ventennio, animatore instancabile della scena culturale genovese, dove presiede lo storico club Louisiana, e motore di mille iniziative anche in campo didattico ed educativo. Nel primo dei tre racconti sul jazz che compongono l’opera, illustrata dai suggestivi disegni di Patrizio Colotto ed introdotta da Riccardo Bertoncelli, un padre appassionato di jazz cerca di coinvolgere il figlio recalcitrante con queste parole : “Facciamo che che tu domani ti appassioni ad un musicista e cominci a leggere ed ascoltare tutto di lui. Inevitabilmente, se ti metti a scavare nella sua storia e nella sua musica, troverai tanti collegamenti con altri musicisti. Non solo scoprirai legami con fotografi, giornalisti, ballerini, tecnici del suono, autisti, Questo è il jazz. Una musica che si intreccia con la vita”. Sembra una descrizione della mia, della nostra passione e del viaggio senza fine cui si accennava all’inizio. E’ il racconto di una passione, quindi, che non discrimina fra il ruolo del musicista e quello dell’appassionato, di chi ascolta o magari si spinge al tentativo di raccontare quel mondo: nello sguardo dell’autore chi sta sopra e chi davanti al palco è coinvolto in uno stesso cammino verso la trasmissione delle emozioni, un percorso che può fare anche a meno delle parole e si alimenta di intese trasmesse con uno sguardo od un sorriso. Un “popolo” dotato di un’arma straordinariamente efficace per condividere anche istanze sociali, sentimenti collettivi, reazioni al mondo che ci circonda. Cervetto articola questa visione mescolando realtà e finzione, personaggi reali ed epoche della storia del jazz ed appassionati di fantasia, portatori di quella scintilla di passione che le intenzioni del musicista vorrebbero fare scaturire nell’animo di giovani ed inesperti lettori. E’anche l’intento del batterista Owen che, giunto al termine di una lunga carriera e perso il compagno di una vita, organizza un “ultimo concerto” dedicato alla musica di Art Blackey e dei Jazz Messengers per una audience di ragazzi di età compresa fra i 18 ed i 25 anni. Lanciando un simbolico testimone ad uno di loro per continuarne, a modo suo, la storia. Tutti i tre racconti sono attraversati anche da una vena malinconica che racconta, partendo dal tramonto dei musicisti protagonisti, le difficoltà, le dipendenze, le condizioni spesso precarie ed altalenanti di chi ha scelto di vivere con il jazz. “Birdland 1953” allude ad una ipotetica sliding door per la vita di Charlie Parker, il quale, quasi centenario, viene riscoperto da un vecchio appassionato, sulle orme di un dialogo avviato anni prima da suo padre, che racconta, a sua volta, al figlio le ragioni di quell’amore; “L’ultimo concerto” descrive con vivida efficacia le relazioni sul palco fra i musicisti di una band immaginaria, ma con nomi che richiamano quelli di musicisti reali, e la corrente emotiva che intercorre con la giovane platea; “Una storia da raccontare” è quella del trombettista Red, passato dalla gloria relativa della fila di famose Big Band al revival dello swing, fino ad un destino da busker, sempre accompagnato dalla sua musica. “I suoni della vita” è un libro anomalo nell’ampia produzione contemporanea sul jazz. Anzi è un libro “dentro” al jazz, nel quale il batterista ligure prova a dare forma e spiegazione, usando le parole anzichè le bacchette, a quel sentimento che spesso porta i musicisti o anche il pubblico, a condividere un abbraccio alla fine di un concerto riuscito. Mentre chiudiamo queste righe, sappiamo che Rudy sarà, come molte altre serate, su un palco dietro al rullante della sua Soprano, alla ricerca di quel momento di magia che dilata e cristalliza il tempo, che “può avvenire ed essere percepita solo se la si realizza insieme a un’altra persona, in una dimensione collettiva“. Come quando la band di Owen esegue “I remember Clifford” e la platea è tutta in piedi. Gli auguriamo di cuore che accada.

Rodolfo Cervetto (batteria) con Andrea Paganetto (tromba), Maurizio Brunod(Chitarra ) e Marco Bellafiore (contrabbasso)

1 Comments

  1. “…. coinvolgere il figlio recalcitrante” con il jazz? Per carità, no… non aggiungiamolo alle altre prediche che entrano da un orecchio ed escono dall’altro. E questo succedeva ai miei tempi, ora l’orecchio di entrata è già occupato dall’auricolare del cellulare. Le uniche cose che passano (forse) tra le generazioni sono gli esempi di vita vissuta (veramente e senza pose). Quanto al jazz come ‘cosa che si fa (e si vive) insieme ‘, nessuno più d’accordo di me: la forza di questa musica è il suo popolo, che la vive come una visione del mondo e della vita. Buttandosi alle spalle inveterate tare e vizi nazionali. Il jazz è e deve rimanere una cosa da ‘amateurs’, anche quando per accidente diventa un mestiere. My five cents. Milton56

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