La notizia (si fa per dire) di questi giorni viene dalla Finlandia: per evitare che i giovani occupino le spiagge sporcandole, i gestori mettono musica classica dagli altoparlanti, e pare che lo stratagemma funzioni, e i ragazzi si tengano alla larga.
Nulla di nuovo, già qualche anno fa a Berlino in aree della città a rischio spaccio, si sparava dell’ ottimo free jazz, che notoriamente è indigesto per qualsiasi attività illegale.
Verrebbe da pensare che nelle recenti elezioni europee, i seggi abbiano visto la presenza di un elettore su due a causa della musica di Derek Bailey e Peter Brotzmann proditoriamente programmata da qualche sabotatore anarchico travestito da scrutatore.
Anche i festival jazz, che come consuetudine fioccano numerosi nei mesi estivi, pare abbiano trovato la soluzione di ogni problema: toni trionfalistici degli addetti stampa e programmi talmente sbiaditi, bolsi e ruffiani che si stenta a credere siano veri.
Lasciamo perdere Umbria Jazz, ormai la caricatura fantozziana di quello che è stato un tempo un festival jazz, ma anche la buona parte delle altre rassegne ha imboccato una china che spesso sfida il ridicolo, con nomi che al massimo vanno bene al Festival di Sanremo.
Poi ci sono i festival a misura di assessore, come lucidamente ironizzava Jacopo Tomatis su Il Giornale della Musica. Si tratta cioè di rassegne in cui ricorrono i soliti nomi, italiani ma anche americani, quelli più abusati ma anche quelli che fanno il pieno di pubblico. E qui , per me anziano trinarciuto jazzofilo, si alza un lamento a metà tra lo sghignazzo e l’ ululato: leggo spessissimo sui social commenti estasiati , manco ci fossero redivivi Miles e Trane, per la millesima (e spesso vuota) esibizione degli stanchi eroi, mentre nei programmi vengono assolutamente ignorati giovani e meno giovani musicisti che magari avrebbero molte più idee, freschezza e qualità.

Colpa di un pubblico pigro, ma soprattutto di un esercito di direttori artistici senza coraggio, con poca conoscenza jazzistica e troppe conoscenze di altro tipo. Leggo nomi incredibili , dove il confine del ridicolo è decisamente scomparso, e non aggiungo altro solo per via dell’ acidità di stomaco che già questi mi procurano.
Tutti teniamo famiglia, si sa, e solo pochi outsider che nulla contano si permettono di rompere le uova nel paniere. Ma per fortuna nessuno da loro retta, e così ecco che la grande stagione dei festival jazz ha inizio.

E gli appassionati di lunga data sono costretti a guardare ai pochi festival degni di attenzione, più numerosi all’estero che nel nostro paese. Ma ormai il pubblico che affolla buona parte dei festival italiani è cambiato, sembra, ad un osservatore esterno, decisamente poco informato, più incline allo star sistem che alla qualità, predilige orride cover simil jazzate di cantanti e cantautori, accorre a prescindere in base al nome e non alla sostanza, si arrende facilmente e ignora tutto ciò che non rientra nel prevedibile e nel deja entendu. Dio è morto, cantava Guccini, e anche il jazz non se la passa troppo bene.

Sulla musica, spesso scadente, sparata a tutto volume sulle spiagge italiane si potrebbe scrivere un capitolo. Pare sia richiesta dai più giovani, ma di sicuro allontana tutti coloro che la ritengono cosa seria. Evitare villaggi e spiagge con Radio DeeJay è una prerogativa di ogni mio soggiorno al mare. E poi, perché? Perché sovrapporre al rumore del mare testi sgrammaticati, intonazioni precarie, musiche da scuola materna?
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