LA BELLA ESTATE – 2. SUMMERTIME, ROMA

Continuamo a parlare di quello che ha in serbo l’estate jazzistica nostrana. Stavolta siamo a Roma, nel magnifico parco di Villa Osio, sede della Casa del Jazz: una location pressoché ideale per la musica, protetta dal caos urbano ed insieme immersa un rilassante ambiente naturale.

Il parco di Villa Osio

Anche quest’anno la stagione di Summertime si estende per due mesi interi, dal 7 giugno al 6 agosto. Parlare di Festival è quindi un poco improprio, si tratta di una rassegna che per concentrazione e durata credo che non abbia l’uguale in Italia: manca poco a raggiungere una frequenza giornaliera dei concerti. Considerata la capienza della platea, è evidente che negli anni Casa del Jazz ha ben seminato, creando una partecipazione decisamente molto estesa ed assidua. Il segreto sta anche nella grande varietà delle proposte, che consente di avvicinare anche segmenti di pubblico non specialistici con proposte di più ampia fruibilità, ma sempre senza furbe strizzatine d’occhio.

Ma il cuore del cartellone mira direttamente ai jazzofili hardcore, con occasioni di ascolto spesso esclusive per l’Italia e che puntano i riflettori su angoli della scena jazzistica in cui si sta muovendo qualcosa.

Fermo restando che ognuno potrà abbozzare un suo programma personale attingendo dal corposo programma completo, come di consueto condivido con voi la mia lista dei desideri, stavolta veramente lunga.

Il 18 giugno un appuntamento da incorniciare: il nuovo trio di  Franco d’Andrea, che in una sorta di staffetta tra tre generazioni vede oltre a lui al piano, Roberto Gatto alla batteria e Gabriele Evangelista al basso. Già scorrere questa formazione dà un’idea della raffinatezza della musica che ne viene, documentata da ‘Something Bluesy and More’, uscito da pochi giorni per Parco della Musica. Che dirvi? Mi limito a confessare che da una settimana almeno suona anche più volte al giorno sui miei dispositivi. D’Andrea è instancabile creatore di nuovi organici, ma spero proprio che questo trio duri nel tempo. Prometto che se tutto va bene vi parlerò sia dell’album che del concerto.

Il 19 è di scena il quartetto di Maciej Obara, a cavallo tra Polonia e Scandinavia: una convergenza tra due tradizioni jazzistiche che promette cose fascinose.

Il 22 giugno un corposo ‘double bill’: si comincia con Ada Montellanico che si concede il lusso di un quintetto di gran livello (Falzone alla tromba, Vignato al trombone, Ferrazza al basso e Baron alla batteria), è la prima di una serie di cantanti. Nel secondo set Falzone si metterà alla testa dell’Orchestra Nazionale Jazz Giovani Talenti, come al solito completamente rinnovata con nuove leve di debuttanti: si cimenteranno con le pagine di Duke Ellington, un banco di prova impegnativo per una compagine non stabile. Qui si parrà nobilitate dei nostri giovani leoni e leonesse: una vetrina per nuovi talenti, una palestra per consentirgli di sperimentare la disciplina d’orchestra (occasione altrimenti rarissima per loro, soprattutto se si pensa che qui vengono inquadrati da Paolo Damiani). 

Il 28 incuriosisce la bassista e compositrice Endea Owens: garantiscono per lei il Lincoln Center di Wynton Marsalis che ha nel suo book un brano suo e Ron Carter che l’ha cresciuta.

Il 29 risuonerà altro Ellington (siano benedetti gli anniversari, peccato che ce ne sia bisogno per riascoltare certa musica) per le mani di Enrico Pierannunzi (non gli mancano i talenti pianistici per cimentarsi con Duke), il sound del Roma Jazz Ensemble diretto ed arrangiato da Michele Corcella (diversi bei nomi tra le sue fila) e la voce di Simona Severini.

Il 5 luglio è la volta di Jonathan Blake, basterebbe dire che da anni è il batterista di Kenny Barron, ma ha alle spalle un curriculum fittissimo. Qui guida una sua band dove spiccano tra gli altri Fabian Almazan al piano, Jalel Shaw al sax alto, e soprattutto il dinamicissimo Warren Wolf al vibrafono: musicisti che ho ascoltato individualmente in altri contesti e che mi sento di garantirvi senza riserve.

Il 7 luglio la poliedrica Meshell Ndegeocello, polistrumentista e cantante darà il suo unico concerto italiano. Facciamo la sua conoscenza con un brano tratta dal suo recente album per Blue Note:

Voce ed ancora fortissimamente voce: l’8 luglio con la sofisticata Cecile McLorin Salvant (occhio al suo fido pianista Sullivan Fortner) e il 10 con Dee Dee Bridgewater alla testa di un suo trio e della Medit Orchestra. Gli appassionati della vocalità jazz e black più in generale non si possono proprio lamentare.

In mezzo, il 9 luglio, i Fearless Five di Enrico Rava: anche qui calda raccomandazione, un gruppo giovane, ma già rodato, anche qui ennesima creatura di un rabdomante del talento che non manca mai un colpo.

E siamo al 12 luglio. Chissà perché alcuni musicisti non sono quasi mai oggetto di omaggi e rivisitazioni: forse creano soggezione? Credo che questo sia il caso di McCoy Tyner, scomparso nel 2020 senza strepiti mediatici riservati a figure molto meno influenti e determinanti di lui, schivo ed alieno da divismi. Per fortuna rimediano Chico Freeman al sax ed Antonio Faraò al piano (ci vuole il suo ‘manico’ per evocare uno come McCoy..), che si giocano la carta di una ritmica tyneriana DOCG, Avery Sharpe al basso e Ronnie Burrage alla batteria.

E nel cuore di luglio parte quello che nel gergo del biliardo si chiamerebbe un ‘filotto’. Il 13 luglio altro doppio concerto: il primo set è per il quartetto di Walter Smith III, un jazzmen che non riscuote da noi la stima che negli States lo ha portato a fianco di Roy Haynes, Maria Schneider, Jason Moran, Ambrose Akinmusire, Christian McBride; e ciò per tacere del fatto che è responsabile del dipartimento fiati della Berklee School di Boston. Un breve intervallo, ed ecco seguire il chitarrista Kurt Rosenwinkel con Mark Turner al sax (!), Ben Street al basso e Jeff Ballard alla batteria.

Il 14 altra proposta veramente rara nel panorama italiano: gli Irreversible Entanglements con la poetessa Moor Mother. Il video che segue (pregevole anche sotto il profilo visuale) vi dà un’idea di cosa stiamo parlando: una musica tutta immersa nel nostro problematico presente

A seguire nel secondo set l’inossidabile Marc Ribot con il suo organ trio. Un fine serata all’insegna dell’energia.

Il 15 altra perla rara: Darcy James Argue e la sua Secret Society, una corposa big band che mesi fa ha sfornato un album di grande creatività e raffinatezza. Un bello sforzo produttivo ed un’ulteriore scommessa sul jazz orchestrale che quasi nessuno tenta alle nostre latitudini. Basta quest’assaggio a capire che ci troviamo di fronte ad un autentico must:

Ed a concludere degnamente questo vero ‘strike’ di mezzo luglio il 16 arriva il travolgente Chris Potter al sax, con Brad Mehldau al piano (una punta di diamante del piano jazz contemporaneo che si presta come sideman: parecchi avrebbero da imparare da lui…), John Patitucci al basso ed il citato Jonathan Blake alla batteria.

Tocca accelerare per non abusare della vostra attenzione: il 19 luglio il duo Dave Holland e John Scofield, inutile ogni presentazione. Il 26 luglio Hamid Drake ritorna con la sua articolata formazione dedicata a Turyia, Alice Coltrane: un ricordo tutt’altro che rituale, Drake deve molto della sua vocazione musicale all’incoraggiamento dell’ultima compagna di Trane.

Il 31 luglio salirà sul palco Abdullah Ibrahim, già Dollar Brand: anche qui inutili troppe parole per un pianista che ha attraversato quasi sessant’anni di musica afroamericana. Il 4 agosto l’astro nascente della chitarra Matteo Mancuso.

Una parola di più merita la serata del 27 luglio: ad onta di alcuni nasini arricciati, la direzione artistica della Casa del Jazz insiste nel documentare la scena inglese odierna nelle sue molte sfaccettature. Alabaster Deplume è figura quantomai versatile, e di originalità tale da aver attirato l’attenzione dell’etichetta chicagoana International Anthem, gente molto selettiva e dall’occhio lungo. Azzecatissimo l’accoppiamento nella stessa serata con Alfa Mist, un tastierista letteralmente cresciuto da solo nelle strade di South London consumando dischi di jazz ed approdando ad una musica di vasto e complesso respiro orchestrale. Una proposta sofisticata che punta in modo non banale alle menti ed ai cuori di un pubblico giovane curioso ed aperto.

Beati i romani….. Milton56

…e siccome credo di aver suscitato qualche curiosità, non posso negarvi un piccolo ‘prossimamente’ dell’intenso album di D’Andrea. Stay tuned….

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