La leggenda del Koln Concert

Sul sito Jazz In Europe pochi giorni fa è uscito questo articolo a firma Andrew Read. La storia del famosissmo concerto di Colonia è stata raccontata già molte volte, anche da appassionati e scrittori italiani in diverse pubblicazioni (a piè pagina alcuni link, raccomando il saggio di Sandro Dandria). Questa volta però si tratta di un documentario a cura di diversi registi francesi coordinati da Vincent Duceau. Vista la straordinaria popolarità dell’album e la sfortunata condizione del suo autore, ho pensato di tradurre il pezzo per una più vasta conoscenza.

ll 1975 fu un anno che vide l’uscita di alcuni degli album più iconici della storia della musica. Questi dischi non solo hanno lasciato il segno nel mondo della musica dal punto di vista artistico, ma sono stati anche alcuni degli album di maggior successo commerciale di tutti i tempi. Prendiamo ad esempio “Born to Run” di Bruce Springsteen, “Physical Graffiti” dei Led Zeppelin, “Blood on the Tracks” di Bob Dylan, “Wish You Were Here” dei Pink Floyd e l’elenco potrebbe continuare. Nel mondo del jazz quell’anno fu pubblicato un solo album che si avvicinava a questi successi commerciali, il leggendario Concerto di Colonia di Keith Jarrett. Con oltre 3,5 milioni di vendite e una storia che ancora oggi pone interrogativi, il fascino di questo album è forte oggi come lo era al momento della sua uscita.

Con l’avvicinarsi del cinquantesimo anniversario dell’album, un gruppo di registi francesi sta attualmente producendo un documentario che risponderà a molte delle domande che circondano questa icona del mondo del jazz. Con il film in gran parte girato, il team ha lanciato una campagna di crowdfunding sulla piattaforma KissKissBankBank per raccogliere fondi per completare il progetto e prepararlo per l’uscita in occasione del cinquantesimo anniversario del concerto di Colonia. Di seguito è riportato il retroscena della realizzazione di “Köln Tracks” – La leggenda del concerto di Colonia di Keith Jarrett.

Alcuni retroscena:

“The Köln Concert” di Keith Jarrett è senza dubbio considerato uno degli album e delle performance più leggendari della storia del jazz. Non solo l’album ha affascinato il pubblico di tutto il mondo per quasi cinquant’anni, ma si è anche rivelato fondamentale nella storia della ECM Records e un momento cruciale nella carriera dello stesso Jarrett. Il fascino di questa registrazione non deriva solo dalla musica che contiene, ma anche dalla storia dietro di essa e dal fatto che questo concerto storico quasi non si è svolto.

Il 24 gennaio 1975, Keith Jarrett avrebbe dovuto esibirsi al Teatro dell’Opera di Colonia, un luogo prestigioso che non aveva mai ospitato prima un concerto jazz. Jarrett, noto per i suoi standard artistici senza compromessi, aveva richiesto un pianoforte a coda Bösendorfer 290 Imperial. Questa è stata una scelta interessante dato che Keith era un fan incallito di Steinway, tuttavia si presume che Keith fosse curioso di provare il pianoforte più grande del mondo in quel momento. Tuttavia il Bösendorfer 290 non era uno strumento ordinario con 97 tasti che coprivano e fornivano una gamma tonale completa di 8 ottave, rispetto a uno strumento standard con 88 tasti e una gamma di 7¼ ottave.

Tuttavia, al suo arrivo, ha avuto una sorpresa scioccante: un pianoforte a coda Bösendorfer più piccolo e spesso mal mantenuto, tipicamente utilizzato per le prove, era stato posizionato sul palco. Un articolo pubblicato su udiscovermusic.com affermava che il pianoforte era “… in pessime condizioni e decisamente stonato”.

Jarrett, frustrato e sofferente di mal di schiena cronico, inizialmente si rifiutò di esibirsi con lo strumento difettoso. Nonostante ore di accordature e aggiustamenti, mentre il pubblico rimaneva in attesa, secondo Jarrett il pianoforte rimaneva scadente con un registro acuto sottile, bassi deboli e pedali malfunzionanti.

Questo concerto è stato organizzato da Vera Brandes, che all’epoca aveva 17 anni. Vera, che in seguito fondò diverse etichette, era un’appassionata amante del jazz, iniziò a organizzare concerti e tournée all’età di quindici anni e nel 1974 fu responsabile della serie di concerti New Jazz in Colonia. Il concerto del 24 gennaio 1975 con Keith Jarrett fu il quinto concerto di quella serie.

Vera Brandes. Questa foto è stata scattata durante la sua intervista per il documentario.

Nonostante i migliori sforzi di Brandes per correggere la situazione, il destino ha cospirato contro una soluzione agevole. Fece uno sforzo per trovare un pianoforte a coda sostitutivo, tuttavia, l’accordatore, che era arrivato per occuparsi del problematico pianoforte a coda, la avvertì che trasportare un pianoforte a coda di dimensioni normali senza l’attrezzatura adeguata nel bel mezzo di un freddo temporale rischiava di danneggiare irreparabilmente lo strumento. Fu solo dopo la persistente persuasione della giovane promotrice del concerto che Jarrett accettò con riluttanza di salire sul palco.

Nel 1979, Keith raccontò la storia del ‘Concerto di Colonia’ al giornalista Don Heckman: “… avevano tutto pronto. E ho iniziato a pensare: “Lo farò”. Ricordo di aver alzato il pugno in aria mentre uscivo dal backstage. Ho semplicemente guardato Manfred e [ho detto]: “Potere!” o qualcosa di simile. Ciò che accadde con questo pianoforte fu che fui costretto a suonare in quello che all’epoca era un modo nuovo. In qualche modo sentivo che dovevo far emergere qualunque qualità avesse questo strumento”.

Ciò che seguì fu una straordinaria dimostrazione di genio musicale e improvvisazione. Jarrett, evitando i registri più deboli del pianoforte, ha intrapreso un viaggio improvvisato, creando un ipnotizzante arazzo sonoro che ha affascinato il pubblico . Sfidando i vincoli dello strumento, ha esplorato gli idiomi jazz tradizionali, intrecciando intricati “passaggi groove” e vamp, trascorrendo quasi dodici minuti a improvvisare su soli due accordi, Am7 e G, nella prima parte del concerto.

Nonostante le difficoltà, la performance di Jarrett è stata accolta con travolgenti consensi e la registrazione del concerto è diventata un successo commerciale inaspettato, consolidando il suo status di album jazz solista più venduto della storia e di album per pianoforte più venduto di tutti i tempi.

Il documentario

Come accennato in precedenza, il 50° anniversario del Concerto di Colonia si avvicina rapidamente. Per celebrare questo anniversario, il regista e regista Vincent Duceau ha intrapreso una ricerca per approfondire l’enigmatico racconto dietro questo concerto iconico, esplorando le domande che hanno indugiato nelle menti degli appassionati di musica e svelando i misteri che circondano il famigerato pianoforte che quasi ha impedito lo spettacolo.

Il documentario mira a svelare i misteri che circondano il pianoforte che quasi fece deragliare la performance. Attraverso un’indagine accattivante e intima, il film cerca di rispondere alle domande scottanti che persistono da decenni:

  • Quali erano le reali condizioni del pianoforte? Era davvero così pessimo come sosteneva Jarrett?
  • Dov’è adesso questo strumento leggendario e cosa ne è stato dopo quella fatidica notte?

Navigando tra archivi scarsi, testimonianze contraddittorie e la riluttanza delle figure chiave a discutere dell’evento, il documentario promette di far luce su cosa accadde dietro le quinte e sul genio all’opera, rendendo omaggio a uno dei concerti più incredibili della storia della musica.

Guarda il trailer del documentario

L’attrazione di Vincent Duceau per il concerto di Colonia è iniziata alla tenera età di 7 anni, quando ha incontrato per la prima volta il capolavoro di Jarrett sul giradischi dei suoi genitori. Da bambino, è rimasto immediatamente ipnotizzato dal profondo senso di armonia e perfezione dell’album, un’esperienza che avrebbe plasmato la sua sensibilità artistica e acceso una passione per tutta la vita.

“Lo ricordo ancora come un momento di perfezione e una sensazione di completa armonia durante quella quasi un’ora di massima improvvisazione”, ricorda Duceau. “È stato seguito da dozzine, centinaia e forse anche più ascolti in una vana, ma piacevole ricerca della sorpresa di quella prima volta.”

Questa esperienza estetica non è stata semplicemente personale; ha coinvolto milioni di ascoltatori in tutto il mondo. Il concerto di Colonia, pubblicato appena un mese prima del Natale del 1975, sembrò un regalo di Natale dal cielo e il suo impatto fu profondo. Con oltre 3,5 milioni di copie vendute, rimane l’album per pianoforte solo più venduto fino ad oggi, a testimonianza del suo fascino duraturo e dell’aura che lo circonda.

Al di là del suo successo commerciale, è il mito e lo status di culto che circonda il concerto di Colonia ad affascinare l’immaginazione di Duceau. Numerose narrazioni parallele e testimonianze contraddittorie hanno plasmato la sua leggenda nel corso degli anni, dall’organizzazione caotica al quasi esaurimento di Keith Jarrett, passando per i paradossi di un pianoforte presumibilmente inutilizzabile che produceva un suono di qualità sconcertante, e di un creatore che quasi rinnega il suo universalmente acclamato capolavoro.

“Nel corso degli anni ho sviluppato una passione per tutte queste storie e leggende”, spiega Duceau. “Questa fascinazione si è gradualmente trasformata in una sfida: risolvere il mistero del Concerto di Colonia.”

Spinto da questa sfida, Duceau decise di ricominciare l’indagine da zero, rivisitando le varie scene della trama, incontrando protagonisti dimenticati, parlando con esperti e altri appassionati di Colonia e rintracciando il famigerato pianoforte fantasma che quasi fece deragliare la performance.

Vincenzo Duceau

“Questa ricerca è ciò che voglio raccontare in questo film”, afferma Duceau. “Ma certamente non è destinato solo ai fan di Keith e agli appassionati di jazz. Scava più ampiamente nel dietro le quinte della creazione artistica.

La motivazione di Duceau va oltre la semplice curiosità o il desiderio di risolvere un mistero. Cerca di esplorare l’essenza della creazione artistica, la ricerca della perfezione e la moltitudine di incontri, battute d’arresto, colpi di scena del destino e caos inspiegabile che alla fine portano a quei magici momenti di brillantezza.

Il documentario di Vincent Duceau sul concerto di Colonia promette di essere un’esplorazione accattivante del processo creativo, intrecciando due narrazioni distinte che si completano a vicenda nel corso del film. Parlando della struttura del film, Duceau ha spiegato che il principio narrativo sarà quello della doppia narrazione, intrecciando la storia del concerto stesso e la propria indagine per comprendere cosa ha reso questa serata un momento mitico nella storia del jazz.

Il direttore della fotografia del film Arnaud Nouvel ha dichiarato: “Vincent è la forza trainante di questa storia, ma avevamo ancora bisogno di narrarla e illustrarla. Ma la domanda è: come farlo? È importante capire che nulla della storia dietro questo concerto, a parte la registrazione audio, è ufficialmente documentato e conosciuto fino ad oggi!” Ha continuato: “Sembrava un vicolo cieco. È diventato evidente che bisognava spostare le montagne e aprire le porte del passato una dopo l’altra, con tutta la complessità che ciò comporta. Ora, cinquant’anni dopo, dobbiamo iniziare la nostra storia. Quello che ognuno di noi ha in un angolo della mente: il sogno o il desiderio di un progetto straordinario, un po’ folle, che diventa viscerale e ci guida. È questa follia che mi ha convinto a seguire questo amico, il bambino di 7 anni, ora quarantenne, originario del Centro (Francia, ndr) per il quale le riprese di questo progetto fanno diventare realtà il suo sogno.

Attraverso l’obiettivo di Vera Brandes, l’organizzatrice del concerto di Colonia, il film riporterà gli spettatori indietro a quella serata leggendaria, ora dopo ora, come se fossero presenti a quell’incredibile esperienza. Brandes racconta dettagliatamente gli eventi di quella notte, rivelandone i segreti meglio custoditi e offrendo uno sguardo intimo al dramma dietro le quinte.

Vincent Duceau con il giornalista jazz francese Alex Dutilh

A complemento della narrazione del concerto c’è l’indagine del regista, un viaggio per svelare i misteri che circondano il famigerato pianoforte fantasma . Questa narrazione metterà in mostra l’incessante ricerca di risposte di Duceau, mentre cerca protagonisti, esperti e appassionati di Colonia dimenticati, rintracciando il luogo in cui si trova lo strumento .

Per intrecciare insieme le narrazioni, Duceau ha riunito un cast straordinario di individui, ognuno dei quali offre una prospettiva e una visione unica del Concerto di Colonia e della sua eredità duratura. Eva Bauer, che ha progettato la registrazione insieme a suo padre, svelerà fotografie inedite e condividerà storie dietro le quinte. Inoltre il film conterrà anche interviste con addetti ai lavori che condivideranno aneddoti sul tempo trascorso lavorando con Keith mentre Alex Dutilh, critico musicale e conduttore radiofonico, offrirà competenze sulle influenze musicali all’opera al concerto di Colonia.

Attraverso una cinematografia mozzafiato e una narrazione intima, questo documentario mira a portare gli spettatori in un viaggio avvincente che svela il mito che circonda il concerto di Colonia, celebrando una performance che ha sfidato le aspettative per diventare un risultato musicale monumentale. Trascendendo un mero resoconto fattuale, il film farà un tuffo nel cuore enigmatico della creazione artistica stessa. In che modo una serata prevista come un disastro si è trasformata in un capolavoro che ha affascinato il pubblico di tutto il mondo? Il Concerto di Colonia rappresenta una potente testimonianza della resilienza dei veri artisti, della loro capacità di improvvisare, superare i limiti e creare opere straordinarie contro ogni previsione.

«Cosí, quel che doveva avvenire, avvenne. Nella hall la melodia percussiva della campanella avvertí che il concerto stava per iniziare. Tra il pubblico c’erano molti giovani. Quasi tutti vestivano come lui. Un paio di jeans, una maglietta. Non si era mai vista una cosa del genere nella hall dell’Opera di Colonia. Quale musica sarebbe uscita dai tasti di quel piccolo piano? A Keith non restò che compiere l’ultimo passo di quel lunghissimo viaggio iniziato nel mattino di Losanna: cominciare a suonare. Molti, disse lui stesso, gli raccontarono che per iniziare quel primo movimento, quel Part 1, si era aggrappato proprio al suono della campanella. Quella notte anche a Colonia, cosí come a Praga, un uomo si mise seduto a lavorare dopo una lunghissima insonnia e finí per creare un altro mondo. Un mondo che forse non sarebbe mai arrivato fin lí, se non ci fosse stato un viaggio interminabile, la privazione del sonno, la colpa, la mancata innocenza. Un mondo che non sarebbe mai giunto, se non ci fosse stato quel piano stranissimo uscito da un incubo. Infine quel desiderio di lasciarsi andare, improvvisare non qualcosa che sarebbe arrivato da un flusso inconsapevole, ma qualcosa che era la somma di tutte le note cercate a lungo, delle frasi musicali, delle percussioni ritmiche, delle soluzioni armoniche che per molto tempo Jarrett aveva cercato tra i tasti di un piano».

(Federico Pace, Controvento, Einaudi)

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Su Controvento di Federico Pace, libro pubblicato da Einaudi, la storia del viaggio che nel 1975 Keith Jarrett, dopo un’interminabile notte insonne, compì a bordo della R4 con il suo amico Manfred Eicher, fondatore della mitica Ecm per arrivare in tempo al teatro dell’opera di Colonia e realizzare il più rinomato dei suoi concerti. Insieme a altre straordinarie storie.

https://sandrodandria.com/the-koln-concert-di-keith-jarret/

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