Umbria Jazz festeggia l’edizione dei record. L’atmosfera trionfale e spumeggiante era nell’aria da giorni ma a renderla ufficiale sono arrivati i numeri, svelati ieri nella tradizionale conferenza di bilancio. Il festival mette così a segno il primato assoluto con oltre 42mila biglietti venduti (record nella storia) e un incasso lordo di 2 milioni e 400mila euro, di poco inferiore a quello del 2023 per i 50 anni (ma raggiunto e probabilmente superato con gli incassi dell’ultima serata). E poi 250 eventi, per la maggior parte gratuiti, nell’arco di dieci giorni, 12 diverse location, 87 band in cartellone con quasi 600 musicisti e 400 ore di musica.
“E ancora più dei numeri parla il clima che si respirava nelle vie e nelle piazze dell’acropoli, con quel mix di festa, qualità della vita, musica che la città offre a perugini e turisti durante Umbria Jazz” ha sottolineato con orgoglio il presidente Gian Luca Laurenzi, affiancato dal direttore artistico Carlo Pagnotta, dal nuovo general manager Roberto Piccinelli e dalle istituzioni, con la sindaca Vittoria Ferdinandi e la presidente della Regione Donatella Tesei. “In città – prosegue Laurenzi – non si sono mai visti così tanti visitatori durante la manifestazione”. E di pari passo c’è il successo dal punto di vista musicale con i grandi nomi all’Arena Santa Giuliana, il jazz più ortodosso al Morlacchi che registra oltre 5mila paganti, i concerti alla Sala Podiani della Galleria Nazionale (oltre 2mila biglietti) e l’altissimo gradimento per la nuova location della Terrazza del Mercato Coperto.
Fonte: La Nazione
Pagnotta: “Charles Lloyd è stato il miglior concerto. Alla faccia di chi ci dice che siamo Umbria Rock”
Fonte: Perugia Today

Come d’abitudine al termine del festival scorrono fiumi di parole, tutte a senso unico, e cioè auto elogiative, al di sopra di critiche e anche di evidenze macroscopiche. Se, come dice Pagnotta (il sovrano perugino direttore artistico a vita), il miglior concerto è stato quello di un gruppo jazz, non si capisce perché il cartellone è prevalentemente orientato al rock, al pop e alla riesumazione di zombie di provenienze disparate. O meglio, il motivo lo si capisce perfettamente, ed è pecunia non olet, albergatori, ristoratori e commercianti ringraziano sentitamente. Per loro Lloyd o i Toto sono solo nomi di nessun altro significato se non rapportato ai numeri che ognuno di loro è in grado di apportare all’ economia della città. E i media, i critici musicali, le riviste di settore, i siti web dedicati, muti. Chi per manifesta incompetenza chi per tornaconti di varia natura.
Non solo Biden dovrebbe, dopo attenta analisi, gettare la spugna.
Poi, a essere precisi, se guardiamo ai numeri, qualche breve considerazione non sfugge ad una analisi attenta. Su 42 mila biglietti venduti quelli relativi ai concerti jazz sono solo 5 mila, ai quali sommare i 2 mila della Sala Podiani e quelli relativi al quartetto di Chris Potter. Ne esce un quadro che avvalora perfettamente la definizione di Umbria Rock, tra l’altro piuttosto passatista, antiquato o modaiolo nelle scelte. L’ aggravante per musicisti e appassionati jazzofili è poi l’ orario e la location dei concerti (“il jazz più ortodosso” nella definizione de La Nazione, come se ce ne fosse altro in programma). Lloyd alle 17 del pomeriggio in un teatro piccolo e senza aria condizionata è un supplizio più che un grande evento musicale, salvato solo dalla grande professionalità dei musicisti
Il dato più eclatante ed evidente è la marginalizzazione della musica jazz, sopportata più che supportata, e la sostituzione etnica del pubblico pagante. I jazzofili sono ormai confinati in riserve indiane. Per il momento senza coperte infette di vaiolo (come invece nel far west americano), ma, vista l’ età media, si conta su una estinzione a medio/breve termine. Così poi finalmente a Perugia ci sarà spazio per Jovanotti e Arisa.
