I remember Benny

All’età di 95 anni due giorni fa si è spento a Filadelfia il musicista, compositore e arrangiator Benny Golson.

Benny Golson è stato un compositore dal marchio inconfondibile, in particolare per le sue tipiche progressioni armoniche. Il sassofonista è invece molto vario nella scelta degli stili, spazia infatti ballad all’hard bop, dai ritmi funky alle sonorità caraibiche.

Mentre era nella high school a Filadelfia ebbe l’opportunità di suonare con promettenti giovani musicisti, come  John Coltrane, Red Garland, Jimmy Heath, Percy Heath,Philly Joe Jones e Red Rodney.

Dopo gli studi, suonò con la band rhythm and blues di Bull Moose Jackson; a quel tempo il pianista del gruppo era Tadd Dameron il quale ebbe grande influenza nello stile musicale e compositivo di Benny Golson. Dal 1953  al 1959 si esibisce con i gruppi diTadd Dameron, Lionel Hampton, Jhonny Hodges, Earl Bostic, Dizzy Gillespie, eArt Blakey con i suoi Jazz Messangers.

Golson fu particolarmente colpito dalla scomparsa, in un incidente automobilistico, del giovane trobettista Clifford Brown. A seguito di ciò compose in sua memoria il toccante  standard “I Remember Clifford”.

I Remember Clifford  fu inciso per la prima volta nel gennaio 1957 da Donald Byrd e Gigi Gryce  nell’LP Jazz Lab .

Nonostante il brano sia un tributo per l’amico scomparso, il pezzo non esprime disperazione, la musica è ispirata al ricordo, più che all’assenza. Malgrado la sofisticata costruzione armonica, la melodia risulta sempre naturale, il tema principale sembra proprio esprimere un ricordo che è dentro di noi e riaffiora quando meno ce lo aspettiamo

«I know he’ll never be forgotten
He was a king uncrowned
I know I’ll always remember
The warmth of his sound»

(Jon Hendricks, I Remember Clifford,1957)

«So che non sarà mai dimenticato
Era un re senza corona
So che per sempre ricorderò
Il calore del suo suono»

Nel 1957 Jon Hendricks compose un testo in cui esprime la sua ammirazione per il grande talento del trombettista. Lo stesso anno Dinah Washington incise il brano, nel 1962 fu ripreso da Carmen McRae, nel 1978 fu la volta di Sarah Vaughan, nel 1985 dal gruppo vocale The Manhattan Transfer ed in seguito da altri vocalisti.

Dal 1959 al 1962 Golson collaborò con Art Farmer: in seguito lasciò il jazz per concentrarsi sullo studio e sulla composizione orchestrale. In questo periodo compose musica per le colonne sonore di spettacoli televisivi come Ironside, MASH, e L’uomo da sei milioni di dollari. Negli anni settanta Golson tornò in attività nell’ambiente del jazz.

Riferendosi alle non comuni capacità compositive di Golson, è stato detto di lui “Benny non scrive brani, scrive standard. Tra i numerosi brani da lui composti, e che hanno avuto grande notorietà, oltre al citato “I Remember Clifford”, si ricordano “Stable Mates”, “Blues March”, “Killer Joe”, “Whisper Not”, “Along Came Betty” e diversi altri.

Nel 2004 Golson interpreta sé stesso, nel film The Terminal di Steven Spielberg, in un importante cameo  durante il quale si esibisce nella sua Killer Joe.

Nel film “The Terminal” di Steven Spielberg, del 2004, Tom Hanks è Viktor Navorski, cittadino di un’immaginaria nazione dell’Est europeo che finisce “prigioniero” , per ragioni politico-burocratiche, dell’aeroporto John Fitzgerald Kennedy di New York. Ma che cosa ha spinto Viktor a fare quel viaggio? Suo padre, appassionato di jazz, trova un giorno su un quotidiano ungherese una fotografia che immortala 57 musicisti in strada a Harlem e nei quarant’anni successivi si impegna a collezionare gli autografi di ciascuno di loro. Solo uno, al momento della sua morte, manca all’appello, quello di Benny Golson.

La “missione” di Viktor è proprio recuperare quell’ultima firma per dare corpo al sogno di suo padre, solo quando l’avrà portata a termine, dopo aver assistito a un concerto di Benny Golson – che si vede veramente suonare qualche nota di “Killer Joe” – potrà finalmente tornare “a casa”. Quella fotografia, scattata da Art Kane (1925-1995) è probabilmente lo “scatto” più famoso sul mondo del jazz. Era il 12 agosto del 1958 quando i musicisti si riunirono per posare per la rivista “Esquire”: da New Orleans passando per Chicago, dallo Swing al Bebop, erano rappresentati tutti gli stili e le generazioni. Da Luckey Roberts, pianista di Harlem, 71 anni, al giovane Sonny Rollins, che ne aveva 27. Dovevano essere in 58, poi Willie “The Lion” Smith, stanco dell’attesa di quel clic, si spostò rinunciando così a entrare nella storia. «Quando scoprii che ci sarebbe stata questa grande riunione» ebbe modo di raccontare tempo dopo Dizzy Gillespie, uno dei padri del Bebop, «dissi a me stesso “Ecco l’occasione per vedere tutti questi musicisti senza andare a un funerale”».

Da sinistra; Benny Golson, Sonny Rollins, Thelonious Monk. “Ci fu uno shooting insolito per una fotografia per Esquire Magazine e mi avevano invitato a farne parte. Non potevo crederci! Nessuno mi conosceva davvero così bene all’inizio della mia carriera. Ma ecco, ero lì nella data prevista. Quando sono arrivato, c’erano tutti i miei eroi” – Benny Golson – foto Art Kane

La storia raccontata da Spielberg nel film, la cui molla nascosta è la passione per il jazz, mette insieme tre elementi – la musica, quella musica, il cinema e la fotografia – in un intreccio che è il paradigma dell’influenza che il jazz seppe esercitare nei confronti delle altre espressioni artistiche.

Per questo breve e non esaustivo ricordo ho preso liberamente dalla rete parole di Leo Ravera e Paolo Battifora che ringrazio.

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