Genova isolata dal giogo delle autostrade in perenne manutenzione, fuori dal giro dei grandi eventi musicali per mancanza di spazi o di capacità organizzative, aggrappata, per quanto riguarda il jazz, alla lodevole ma sproporzionata programmazione di due clubs cittadini e poco più, per una volta si è presa una rivincita. Sede della prima ed unica data in Italia, giovedì 14 novembre, del trio Thumbscrew, ovvero Michael Formanek, Mary Halvorson e Tomas Fujiwara, una delle formazioni più note, autorevoli ed originali del jazz contemporaneo, ospitata sul palco de La Claque in chiusura della stagione autunnale del festival Gezmataz. Un centinaio di persone la platea, che ha avuto pienamente ragione della serata climaticamente non invogliante l’uscita. Dal vivo le peculiarità del trio già conosciute attraverso gli otto dischi pubblicati insieme, risaltano in modo ancora più vivido. L’impressione è di avere di fronte tre solisti che, per un gioco del caso, sono riusciti a trovare i giusti incastri per fare convivere i propri strumenti, un basso che scolpisce le note o le accarezza con estrema dolcezza, la chitarra agilissima che talvolta devia della realtà per seguire percorsi immaginari (a me ricorda sempre , con quelle scivolate di toni, gli orologi molli di Dalì), la batteria che vola libera, spesso indipendente dal ruolo di supporto ritmico.
La scaletta, dopo un paio di brani di riscoladamento tratti dal repertorio passato, si è concentrata sul più recente “Wingbeats” pubblicato dalla Cuneiform records qualche mese fa, qui riproposto per il formato in trio senza l’ausilio del vibrafono. La chitarra obliqua della Halvorson, una sorta di impossibile mix fra Bill Frisell ed Anthony Braxton, ha spesso il ruolo principale nell’a’ esposizione degli angolari temi composti dal trio, alternandosi al poderoso contrabbasso di Formanek , quando quest’ultimo, abbandonando il supporto ritmico, espone il suo intenso e lirico canto. Fujiwara spicca per agilità e fantasia coloristica, donando alla musica di Thumbscrew un pervasivo moto circolare. Pagine scritte ed improvvisazione si sono alternate in pari misura, con uno spazio ovviamente prevalente della seconda rispetto alle registrazioni, come accade nella rilettura di “Orange was the colour of her dress, then silk blue” di Mingus, presentato come un omaggio alla musica amata dai tre ed occasione anche per un ricordo dei grandi nomi di recente scomparsi dall’elenco dei jazzisti in vita, come Quincy Jones o Roy Haynes. L’ora e mezza in compagnia dei Thumbscrew si è conclusa con grande soddisfazione del pubblico accorso ad ascoltare una musica forse anche più immediata del previsto, con la cover di “The Peacock” di Jimmy Rowles, condotta impeccabilmente e “sporcata” nel finale da uno scarabocchio elettronico della Halvorson.
