Modern Art Trio – Alle origini della ricerca di Franco D’Andrea

Nel corso degli ultimi anni, l’arte al pianoforte di Franco D’Andrea ha assunto, in modo crescente, i connotati di una personale ed unica ricostruzione della storia del jazz, nella quale gli stili, le epoche ed i riferimenti storici del pianista, da Ellington a Coltrane, da Tristano all’imprescindibile Monk, sono tessere di un affresco che si compone sera dopo sera sotto alle mani dell’autore. Nella difficoltà, o impossibilità, di raccogliere tutti i richiami, gli accenni tematici subito occultati, le sfumature stilistiche del disegno complessivo, agli spettatori, rapiti dal gioco delle agilissime mani sulla tastiera, con la sinistra che spesso elabora patterns ritmici che la destra sviluppa o smentisce, viene trasmesso un senso di profonda appartenenza e rispetto per la storia di questa musica. Contemporaneamente, si assiste ad un processo creativo sviluppato tramite un linguaggio del tutto peculiare, che unisce in modo equilibrato tradizione e libertà espressiva, senza mai deviare da un percepibile rigore” .

Raccontavamo, sulla precedente versione di Traccedijazz, con queste parole il concerto in piano solo di Franco D’Andrea tenuto a Borgotaro (PR) nell’estate del 2018, in occasione del Premio intitolato a Giorgio Gaslini. Il ricordo di quel concerto mi è sovvenuto in occasione dell’ascolto del cd del Modern Art Trio, reso gentilmente possibile dalla Gleam Records che ne ha curato la rimasterizzazione e ristampa a partire dai master originali della session del 1970. Si tratta infatti della prima registrazione ufficiale di Franco D’Andrea, insieme al batterista Franco Tonani ed al contrabbassista Bruno Tommaso, ed insieme di un’opera dall’importanza capitale, sia per la personale vicenda artistica del pianista, sviluppata negli anni proprio a partire dalle intuizioni esprese in quella sede, che per l’intera storia del jazz in Italia. Il disco è uscito circa un anno fa, ma in ragione dei motivi di cui sopra, non ci sembra fuori tempo parlarne oggi, a partire dal suo inquadramento storico, fornito dal saggio di Luca Bragalini incluso nel curatissimo booklet.

A Roma nel 1967, il caso porta Franco Tonani, musicista attivo fin dalla seconda metà degli anni cinquanta ed in seguito battersita del quartetto di Giorgio Gaslini e Franco D’Andrea, session man con Nunzio Rotondo, Piero Umiliani e Giorgio Azzolini, a vivere nella stessa via Friggeri. I due condividono un interesse per la musica seriale ed i compositori delle avanguardie europee come Shoenberg e Webern e, dopo un periodo di sperimentazione domestica, decidono di allestire un trio completato da Marcello Melis al contrabbasso, fondatore con Mario Schiano del Gruppo Romano Free Jazz. A Melis presto succede Bruno Tommaso, musicista con esperienze fra la musica sinfonica ed il free jazz, anch’egli membro dei gruppi di Gaslini. Seguiranno alcuni concerti fra il 1969 ed il 1971, nelle sedi allora deputate ad accogliere e diffondere i fermenti della cultura giovanile più vitali ed estremi, e la registrazione di un unico LP nell’arco di tre giorni, dal 17 al 19 aprile 1970, al Soundworkshop studio di Roma. Il disco, stampato allora dall’etichetta Vedette, scomparve presto dal mercato, fino ad un primo ritorno con la ristampa del 1978 ricavata direttamente da un vinile prestato da Arrigo Polillo, con conseguenti rumori meccanici eternati ed un intervento sull’equalizzazione particolarmente invasivo. Quindi nel 2008 la stampa su CD. Quella pubblicata dall’etichetta pugliese Gleam è, dunque, la quarta edizione del disco, che si è giovata però del master originale reperito tramite l’editore Luca Sciacia da Angelo Mastronardi, il quale, oltrechè produttore discografico, è un pianista attivo nel panorama musicale contemporaneo, che alla musica seriale ed alla ricerca di D’Andrea ha dedicato studi e saggi accademici. A lui ci siano rivolti per comprendere meglio le coordinate tecniche dell’operazione, data l’importanza che rappresentano. “L’ interesse per l’opera di D’Andrea mi ha portato ad avvicinarmi ai principi del serialismo applicato all’improvvisazione. L’organizzazione di minime cellule melodiche tramite principi combinatori era stata già praticata da Gaslini in sede compositiva, ma D’Andrea era interessato ad applicare quella ricerca mutuata dal serialismo alla pratica dell’improvvisazione, un’intuizione che si ritrova con un’organizzazione differente dei suoni, anche in alcune pagine di Coltrane . Il disco di Modern Art Trio rappresenta la prima testimonianza di quella ricerca che poi avrebbe accompagnato il pianista lungo i successivi decenni e che ancora oggi, affinata nello studio di quelle che lui definisce aree intervallari, continua a caratterizzare la sua produzione solista o di gruppo“. Il risultato, ascoltabile oggi nella smagliante veste sonora della rimasterizzazione effettuata a New York negli studi Sear Sound, è una musica attraversata da una palpabile, quasi selvaggia, corrente espressionista, canalizzata in forme organizzate, seppur esternamente ai canoni armonici usuali, e momenti di maggiore astrattezza coincidenti con l’entrata in scena di ulteriori strumenti come il sax soprano, il flauto o la tromba. Una fusione fra la razionalità organizzativa e l’ istinto interpretativo che fornisce un esito pressochè unico nel panorama dell’epoca, e che portava l’estensore delle note originali del disco a ritenere restrittiva la definizione di free jazz, a favore di quella più ampia e dai contorni indefiniti di “progressive jazz”.

Per avere un’idea sugli esiti della strategia esecutiva del Modern Art Trio, propongo di partire dall’unico standard presente fra i sei brani del disco. E’una notissima composizione di George Gerswhin tratta da “Porgy and Bess”, “It ain’t necessarily so“, scelta proprio perchè basata su una modalità compositiva affine al metodo delle cellule melodiche. Ecco la versione Modern Art Trio messa a confronto con una versione canonica dell’originale .

La stessa energia febbrile che anima questa rilettura, culminante nei soli della batteria e del contrabbasso, si ritrova lungo tutti i sette minuti dell’iniziale “URW“, dal tema obliquo e colemaniano . Consacrata alla eterogenità è invece “Un posto al sole“, che abbina una prima metà totalmente astratta con tromba e soprano ad esplorare scenari inquietanti ad una breve sezione affidata al piano elettrico (a posteriori prodromo delle vicende Perigeo), che introduce un tribale bordone ritmico sul quale si riaffaciano i fiati in un clima allucinato, Il tema declamato nel finale è il medesimo del precedente “Frammento“, unico episodio dotato di riferimenti armonici tradizionali, ma incardinato in una diversa scansione ritmica. Una ballad alla maniera del Modern Art Trio. “Echi” costruisce e smonta un tortuoso percorso innervato di blues fino a giungere all’essenzialità del battito affidato ai soli tamburi, mentre la conclusiva “Beatwitz” tende a smentire nel suo svolgimento l’avvio swingante e lo squillante tema per avventurarsi in algide stanze popolate dalle vibrazioni delle corde del contrabbasso toccate con l’archetto, dal flauto timbricamente irrequieto di Tonani, dal sax suonato da D’Andrea che improvvisa nel rispetto del canone autodeterminato. In termini generali, l’impressione di un ascolto scevro da considerazioni tecniche riferisce di una musica che si differenzia in modo abbastanza marcato da altri esempi di free jazz , proprio in virtù delle percepibili, ma difficilmente inquadrabili, dinamiche innescate dal fraseggio degli strumenti che danno vita a quel “contrappunto complessivo” di cui parla lo stesso D’Andrea. Troviamo questo termine nella spiegazione circa le basi del proprio metodo fornita a Marcello Piras per la rubrica “Dentro le note ” della rivista Musica Jazz del gennaio 1989, che qui riportiamo integralmente per chi voglia approfondire una “inner view” di questo mirabile capitolo della storia del jazz in Italia.

1 Comment

  1. Ho comprato l’album all’uscita: mi ha colpito subito la cura editoriale, si vede che è un disco fatto con amore, cosa rara di questi tempi. Sarebbe bello vedere riapparire così altro jazz italiano della fine anni ’60 inizio ’70, ora completamente dimenticato ed irraggiungibile. Ma questo è un sogno ad occhi aperti, considerate le attusli condizioni del mercato discografico. Milton56

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