Cartoline : Kind of Miles

Inizia con un ricordo personale, “Kind of Miles” lo spettacolo scritto ed interpretato da Paolo Fresu , la notizia del decesso di Miles Davis in un ospedale di Santa Monica, a 65 anni, il 28 settembre 1991, appresa dal giornale, in un’ abbagliante mattinata di fine estate in Sardegna. E si conclude con una liberatoria jam finale che rappresenta forse il momento più spontaneo e coinvolgente delle due ore scarse. Fra i due momenti scorre uno spettacolo che ha come filo conduttore il racconto parallelo della vita e dell’arte di Davis e quelle di Paolo Fresu, che riveste il doppio ruolo di narratore, all’inizio un pò dimesso poi man mano più sicuro e convincente, e di leader di un gruppo che crea l’istantanea colonna sonora della trama, composto da Dino Rubino al pianoforte, Marco Bardoscia al contrabbasso, Bebo Ferra alla chitarra , Stefano Bagnoli e Christian Meyer alle batterie, Federico Malaman al basso elettrico e Filippo Vignato al trombone ed effetti elettronici. La regia di Andrea Bernard e la produzione del Teatro Stabile di Bolzano costruiscono una cornice scenica suggestiva che si avvale di un ricco apparato di immagini su Miles, alcune generate dai parametri fisiologici dei musicisti. Nel racconto si incrociano le prime curiosità di Fresu per il jazz, incontrato tramite le cassette fornite da un compagno di banda musicale, e poi ostinatamente praticato con le trascrizioni degli assoli fino ad esasperare familiari e vicini, con le tappe e le svolte principali della carriera di Miles, da “Round Midnight” ai quintetti degli anni sessanta, da “Kind of blue” a “Bitches Brew” , e la musica dal vivo, brani scritti da Fresu per l’occasione ed interpretazioni di classici di Davis ( “Diane”, “Round midnight“, una “My funny Valentine” virata in fusion, un frammento di “Call it anything“, “Time after time” fra le altre ), ripresa dalla scaletta del disco omonimo da poco pubblicato per la Tuk, sottolinea con efficacia i vari capitoli. Essenziali, nell’economia della band, l’apporto del trombone di Vignato che anima il gioco contrappuntistico con la tromba, l’esuberante basso slapping di Federico Malaman, session man reclutato per l’occasione, e la chitarra funky di Bebo Ferra. Le due batterie di Bagnoli e Meyer offrono uno spettacolo a parte culminando un solo con il battito delle mani sulle gambe. Fresu suona nel suo stile usuale degli ultimi tempi, ricorrendo al molto mestiere che possiede, propenso al suo aspetto più lirico e lasciando da parte il fuoco di un tempo. La narrazione, che forse per i jazzofili tende ad irrigidire l’aspetto più strettamente musicale, è ricca di notazioni poetiche ed aneddoti, dalla voce unica di Miles che si ascolta in varie parti, alla passione per la boxe e per le auto, dall’arresto fuori dal Birdland, alle iniziative per la difesa dell’identità afroamericana, fino al mancato incontro ad Umbria jazz, con Fresu in fuga dopo il concerto davanti alla prospettiva di conoscere il proprio mentore propiziata dall’organizzatore. Il più bello è però quello, meno conosciuto, attribuito al sassofonista Ben Webster, a proposito del canto che si cela spesso dietro al suono dei grandi suonatori di strumenti a fiato, come appunto Miles o Chet Baker. Nel bel mezzo di un assolo Ben smette di suonare ed il pianista gli chiede: “Maestro perchè si è fermato?”, e lui : “non mi ricordavo più le parole della canzone“. Alla prima dello spettacolo, ospitata al Teatro della Corte di Genova, inizio di un tour nazionale , grande entusiasmo e sala al completo. Con la speranza che questa “specie di Miles” accenda nuove curiosità ed interessi per la Storia del jazz.

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