IL TEMPO RITROVATO – 2

Nella precedente puntata vi avevo annunziato l’avvistamento di un messaggio in bottiglia: ora è finalmente approdato sulle nostre rive.

Anche questo ci giunge da tempi lontani, dal 1973. Per l’America, è un momento di riflusso e di ripiegamento, soprattutto nel campo delle lotte per i diritti civili. Malcom X, il Reverendo King e Bob Kennedy sono tutti caduti sotto i colpi del solito ‘squilibrato isolato’, come di consueto arrivato indisturbato puntualmente al momento giusto e nel posto giusto: tante grandi speranze sono morte con loro. Si cerca ancora affannosamente una via d’uscita dal pantano vietnamita, ormai diventato “la sporca guerra” per gran parte dell’opinione pubblica americana. Anche il mondo del jazz non se la passa bene: il rock ruba la scena e l’attenzione del pubblico giovanile, mentre gli ultimi fuochi del free jazz storico affievoliscono oscurati dallo sberluccicante dilagare della fusion, che nelle sue manifestazioni più plastificate soffoca il ben più vitale filone del jazz elettrico.

Ma c’è chi resiste, tenacemente e lucidamente, Non solo, ma crea e coagula musica che fa tesoro delle lezioni degli anni ’60, riannodando molti fili sparsi. A mio avviso, nessun personaggio è più rappresentativo di questa tenace e creativa resistenza di lui:

Tolliver l’ho visto ancora così pochi anni fa. Manca solo il badge del Black Panther Party sul revere del giaccone di pelle e l’outfit è completo.

Charles Tolliver, chi era costui?” diranno i quattro lettori meno ageè. Il punto è che anche molti jazzfans della mia era geologica si faranno la stessa domanda. E questa è cosa che fa riflettere alquanto.

Il nostro, nato nel 1942, è cresciuto con la tromba in mano (gliela ha regalata la nonna, lo zio lo svezza con i dischi di Miles Davis e Clifford Brown), ma per lui sembrerebbe schiudersi una carriera nella farmacia. Per fortuna nel tempo libero bazzica strumento alla mano i bar di Harlem, dove viene notato da Jackie McLean: in men che non si dica si ritrova a far da sideman in sue incisioni della solita Blue Note, che lo affianca poi a gente come Herbie Hancock, Roy Haynes, Booker Ervin, Andrew Hill, Bobby Hutcherson. La laurea in farmacia finisce in fondo ad un cassetto. Nel 1966 è sulla West Coast con un raffinato bandleader come Gerald Wilson, e subito dopo viene chiamato da Max Roach nel suo gruppo. Dopo questa brillantissima gavetta, nel 1968 arriva questo:

Un debutto con i fiocchi, come si vede dai compagni di avventura…….

L’album fu pubblicato dalla valorosa Arista Freedom, label desaparecida nonostante il catalogo pullulante di titoli assolutamente imperdibili (uno dei produttori era il giovane Michael Cuscuna). Io gli ho dato la caccia per più di 15 anni, acciuffandolo solo nel 1989 in un fascinoso e polveroso negozio londinese dove dovetti pure contenderlo ad un simpatico topo. Il resto della discografia di Charles richiese altri lunghi anni di setacciamento di negozietti dell’usato, di appostamenti per accaparrarsi rare ristampe semiclandestine destinate a pochi intimi. Il paradosso sta nel fatto che Tolliver è stato uno dei pochi jazzmen profondamente consapevoli della necessità di curare la diffusione della propria produzione al punto di fondare insieme all’amico Stanley Cowell la Strata East, etichetta indipendente e pressocchè autogestita che consentirà a molti musicisti di pubblicare con i propri tempi album che altrove non avrebbero avuto nessuna chance nei primi anni ’70. Anche Strata East ed il suo catalogo ormai sconfinano nel mito: basti dire che il discografico Tolliver fece debuttare un tal Gil Scott Heron con il suo fondamentale, indimenticabile ‘Winter in America’.   

Ma come ogni mito che si rispetti anche Strata East ed i suoi magnifici dischi sono diventati chimere inafferrabili a seguito di vicissitudini di distribuzione, di rare ristampe in CD poco curate, ed infine delle solite elitarie e classiste riedizioni in LP, per giunta sporadiche anche queste. E qui il nostro Charles ce ne ha messo del suo, negli anni più recenti il suo talento discografico ha perso diversi colpi, facendogli mancare diverse occasioni di riproporre con ampiezza i dischi suoi e dei compagni di avventura della Strata (album ben più meritevoli di riscoperta di molte cose più trascurabili riesumate a partire dai primi 2000).

Una delle tante perle Strata East: il quartetto Music Inc. (‘Musica srl’ ) e la grintosissima big band di Tolliver. Date un’occhiata alla formazione…. L’anno con Gerald Wilson a Los Angeles non è passato invano. Dopo un lungo periodo in penombra, all’alba del nuovo millennio Tolliver ritornerà due altri memorabili album per grande organico, “With Love” ed “Emperor March”, entrambi per la solita Blue Note   

Come si sarà capito, l’inossidabile Tolliver ce l’ho nel cuore. E pensare che il mio carnet  di frequentatore di concerti registra solo tre suoi passaggi: 1977, 2007 e 2017, fa concorrenza alla cometa di Halley …. Potete figurarvi la reazione quando settimane fa tra i flutti del web ho avvistato questo, annunziato tra l’altro con scarsi dettagli:

Un dono del cielo, considerato il lungo silenzio discografico che ha circondato Tolliver nei decenni scorsi ed anche negli anni più recenti. In un primo tempo ho addirittura pensato che si trattasse di una riedizione riveduta e risistemata di materiale già pubblicato in altra forma. Ed invece no: è un concerto dal vivo del tutto inedito, registrato ad Edmonton, Canada, nel 1973. Ce lo porta la canadese Reel to Real – Cellar Records, altri meritorii amanuensi del web: in versione digitale è acquistabile su Bandcamp, oltrechè ascoltabile sul ben noto Grande Fratello Svedese (ma in questa sede si svilisce un poco il gran lavoro di restauro audio compiuto sui nastri originali). Per i più ardimentosi (si tratta di sfidare spedizionieri e dogane) si può arrischiare l’acquisto online di un doppio cd o doppio LP: in entrambi i casi il prezzo è consistente per diversi fattori.

Anche qui ci troviamo di fronte ad un frutto della passione: basta sfogliare il corposo booklet (disponibile anche in edizione digitale), che tra l’altro annovera una rara intervista di Jeremy Pelt a Tolliver, che rivela al giovane collega alcuni dei segreti del mestiere che gli consentivano le sue ben note performances al calor bianco. Seguono altri capitoli preziosi su Hicks, il Captain’s Cabin,il momento storico etc.

La formazione di scena nel Captain’s Cabin (un sotterraneo accuratamente mimetizzato sotto una drogheria) non è la famosa Music Inc. con Cowell, Novosel e Hopps o Queen degli album Arista e Strata East, ma la ‘working band’ con cui Tolliver affrontava all’epoca lunghe tourneè: John Hicks al piano, Clint Houston al basso e Cliff Barbaro alla batteria.  

Agli altri due tolliveriani in ascolto (speriamo…) posso garantire che questa band non ha assolutamente nulla da invidiare alla più nota Music Inc. Anzi, alla fine della lunga tourneè approdata ad Edmonton il quartetto si presentava ormai come una macchina da guerra perfettamente rodata.

WARNING!! ECM PEOPLE, DON’T TRY THIS AT HOME!! :-))

Tolliver è colto qui nella sua stagione più felice di leader e di strumentista: la sua tromba rovente e graffiante assalta con le sue linee concitate e spesso seccamente staccate. Il suo procedere è tagliente ed incalzante, anche qui il metronomo ha vita durissima, i tempi staccati sono frenetici e serratissimi.

Tutto questo è possibile solo grazie  al travolgente pianismo di Hicks, il cui dinamismo instancabile è in parte debitore di Tyner. Ma qui c’è una costante energia furibonda, indomabile, una perentorietà che non conosce alcun momento di esitazione. Non manca comunque un suono spesso smagliante e luminoso, che fa contrasto con quello scuro e brunito della tromba, la firma inconfondibile di Tolliver

I due unsung heroes Houston e Barbaro meritano tutta la stima che il leader gli riserva: il basso è elastico e sinuoso (notevoli i soli, spesso in apertura di brano), la batteria fornisce l’infernale propulsione che spinge il gruppo, sempre all’attacco. “Il batterista è tutto, penso sempre prima lui quando scrivo qualcosa” dichiara Tolliver a Pelt.

Il materiale comprende classici tolliveriani come ‘Earl’s World’, ‘Truth’, ‘Impact’ (un titolo che dice già tutto…), ma anche un lungo e non altrimenti noto ‘Black Vibrations’. Non c’è spazio per alcuna concessione a bellurie di sorta, sempre e solo vulcanica essenzialità. I brani arrivano dritti all’ascoltatore come frecce incendiarie, fulminei ed efficaci.  Anche un ‘Compassion” preso su di un tempo un poco più moderato gronda tensione e passione da ogni nota: anche quando ci mostra il suo lato più lirico, Tolliver rimane sempre ardente.

Gli oltre 80 minuti di musica volano, tenendo inchiodato l’ascoltatore dal primo all’ultimo minuto. Insomma, siamo di fronte ad un altro splendido esempio di ‘musica necessaria’, animata da un’urgenza espressiva assoluta, servita da audacie ben calcolate che portano Tolliver ed i suoi ben al di là dell’orizzonte di un pur eccellente hard bop: il nostro Charles ha avuto le orecchie ben tese nel decennio precedente e lo si sente con assoluta evidenza.

In conclusione, un altro piccolo tesoro che va a far compagnia al McCoy Tyner / Henderson di qualche giorno fa: se avete messo quest’ultimo sotto l’albero, infilate anche il Tolliver nella calza della Befana, pesa anche poco :-). Milton56

E dopo tante parole e tante note, facciamo la conoscenza di Tolliver ‘in person’: 1971, studi della francese ORTF (manco a dirlo….), il nostro in compagnia del grande Stanley Cowell qui eccezionalmente all’organo, Wayne Dockery al basso ed il fido Alvin Queen alla batteria

3 Comments

    1. Lieto di aver contribuito alla scoperta, Carlo. Le sfortune di Tolliver si devono anche alla rarefazione delle sue testimonianze discografiche: in un ‘posto catalano’ che credo tu conoscerai sono disponibile 4 riedizioni LP di importanti cose sue, tra cui i due album di ‘Live at Slug’s’, notevolissimi ed a lungo introvabili. Ma proprio ora mi è giunta una notizia: Tolliver avrebbe raggiunto un accordo con l’etihetta Mack Avenue per la riedizione, previa rimasterizzazione, dell’intero catalogo Strata East. Il quale comprende oltre a cose sue, gioiellini come ‘Capra Black’ di Billy Harper e forse anche ‘Brilliant Circles’ di Stanley Cowell: oltre che le prime cose di Gil Scott Heron, Clifford Jordan etc. Speriamo bene, soprattutto in distribuzione ampia e non elitaria. In streaming – dopo lunga eclissi anche lì cominciano a vedersi cose importanti del buon Charles, occhio soprattutto ai lavori orchestrali. Milton56

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