Intorno a “Round Midnight”

Herbie (Hancock) aveva tutti i motivi per preoccuparsi, in quanto direttore musicale del film. Avevo deciso, infatti, che tutta la musica della pellicola sarebbe stata registrata dal vivo , senza alcun uso di playback, la prima volta in assoluto per un film non documentaristico. Ma con le certezze fornite dallo scenografo Alexandre Trauner , responsabile dei set di molti classici del cinema francese ed americano, i dubbi furono fugati. E quando uscirono i primi giornalieri, Herbie fu talmente entusiasta del suono, da augurarsi che la stessa qualità acustica si potesse trovare in ogni jazz club”.

Mi è ricapitato fra le mani quasi per caso, in una sera piena di cose da fare e nessuna fatta, il film di Bertrand Tavernier, autore delle parole sopra riportate, che nel 1986 ottenne un grande successo fino a conquistare l’Oscar per la migliore colonna sonora originale. Per me quel film costituì la porta di accesso al mondo del jazz, e allora, un pò per ripasso personale, un pò come viatico per chi non conosca la storia e le storie che stanno dietro a questo formidabile film dentro al jazz, ecco qualche nota di sintesi.

Questo progetto anomalo – continua Tavernier nelle righe di accompagnamento della colonna sonora, nacque come risultato di un lungo periodo passato a tentare di concepire un film libero e senza compromessi che potesse testimoniare il mio amore per il jazz, specie il bebop. Quando io e Irwin Winkler riuscimmo ad avere il via libera dalla Warner, il coinvolgimento di Herbie Hancock fu un decisivo passo avanti per realizzare quel sogno. Da subito con Herbie concordammo di evitare una mera riproposizione della musica degli anni ’50, per quello sarebbero stati sufficienti i dischi della Blue Note, mentre noi volevamo evitare un approccio troppo scolastico allo stile musicale. Filmare la musica dal vivo fu una vera sfida per tutti, i musicisti, lo staff e me stesso, perchè potevano esserci enormi differenze fra due diverse takes, ma questo rese l’avventura più coinvolgente e stimolante e grazie alla ferma e conciliante mano di Herbie si trovarono soluzioni a tutti i problemi.”

Oltre alla scelta di porre in risalto la musica come elemento centrale del film, l’altra grande idea fu quella di concentrare nel personaggio fittizio del sassofonista Dale Turner due reali personalità della storia del jazz come Bud Powell e Lester Young, con alcuni aspetti personali e biografici del primo ed i tic gergali (Dale chiama tutti con il prefisso “Lady“) e di immagine del secondo. Ed affidare il personaggio all’interpretazione, ma sarebbe meglio dire immedesimazione, di Dexter Gordon, che rende viva e credibile una figura fragile, inafferrabile, totalmente immersa nel proprio mondo musicale, capace di suscitare sentimenti estremi: la rabbia di chi deve governarlo, il cinismo di chi vuole sfruttarlo e l’amore di chi è rapito dal suono del suo sax. Fra gli ultimi figura l’altro personaggio principale del film, Francis, un appassionato parigino, disegnatore squattrinato che per ascoltare le esibizioni di Dale al Blue Note trascura figlia e lavoro, fino a riuscire a fare la sua conoscenza e diventarne una sorta di angelo custode, pronto a raccoglierlo da serate finite all’ospedale o fra le braccia dei poliziotti, fino ad accompagnarlo nel ritorno a New York. Qui Turner incontrerà il manager senza scrupoli Goodley (un cameo di Martin Scorsese) ed altri personaggi pronti a farlo ricadere nella trappola dei vizi che di lì a pochi mesi lo porterà alla morte.

Francis Borier (l’attore Francois Cluzet), come Powell e Young , è un personaggio realmente esistito, vero cognome Paudras, musicista ed autore francese, che fu veramente a fianco del proprio idolo Bud Powell nella Parigi di fine anni ’50, una storia e raccontata in seguito nel libro pubblicato nel 1989 dallo stesso Paudras, “La danza degli infedeli”.

Senza il contributo di Dexter – continua Tavernier – non sarebbe stato possibile girare questo film in quattordici settimane come un vero atto d’amore per il jazz. Un affermato regista mi disse che sembrava un attore consumato, uno che avesse alle spalle centinaia di film, vedendo il totale controllo del personaggio. E nessun attore professionista avrebbe potuto interpretare Dale come un vero jazzman. Alla fine, negli ultimi giorni di lavoro la sue ultime parole costituirono il di riassunto tutto lo spirito di quest’avventura: “Lady Bertrand, quanto ci vorrà a finire questo film? “

Gli altri protagonisti sono, naturalmente, i musicisti, la band stellare allestita da Herbie Hancock che suona nel film venti standards e composizioni originali, dodici dei quali compaiono sul disco della colonna sonora. Aperta e chiusa da due particolari versioni del brano di Monk che intitola il film, la prima con il tema affidato ai vocalizzi di Bobby Mc Ferrin, la seconda live al Village Vanguard nel 1977 con Gordon, Woody Shaw alla tromba, Ronnie Mathews al piano, Staffard James e Louis Haynes alla ritmica – la scaletta del disco vede sfilare le tre formazioni che compaiono nel film agli ordini di Herbie Hancock , quella del Blue note di Parigi con Billy Higgins (batteria), Palle Mikkelborg (tromba), Wayne Shorter (sax soprano), Pierre Michelot (basso)e John Mc Laughlin (chitarra), quella di Lione con Cheikh Fall (percussioni), Michel Perez (chitarra), Wayne Shorter (sax soprano), Mads Vinding (basso)e Tony Williams (batteria) e quella del Birdland con Ron Carter (basso), Freddie Hubbard (tromba), Cedar Walton (piano)e Tony Williams (batteria).

Tanti i brani da incorniciare, da “Body and soul” ad una fragilissima “Fair weather” con la voce di Chet Baker, dalla poesia del sax soprano e del pianoforte di Hancock in “The Peacocks” alla gershwiniana “How long has this been going on?” affidata alla cantante Darcey Leigh (un personaggio che evoca la storia fra Young e Billie Holiday, qui interpretata dalla cantante Lonette Mc Kee), da una “Rhythm -a – ning swingante e ripulita da spigoli con Hubbard, Cedar Walton, Ron Carter e Tony Williams, al duetto Hancock – Hutcherson di “Minuit aux Champs – Elysèes“.

Chan’s song” in chiusura , dedicata alla figlia di Dale , è un evocativo tema scritto da Hancock a quattro mani con Stevie Wonder e “cantato” da Bobby Mc Ferrin.

Un’altra porzione dei brani eseguiti per il film con gli stessi musicisti uscì più o meno in contemporanea per la Blue Note nell’ultimo album pubblicato a nome di Dexter Gordon dal titolo ” The Other Side of Round Midnight” , anch’esso riportante due versioni del celebre brano di Monk insieme a standards come “What is this thing called love” , “As time goes by” e “It’s only a paper moon” .

Il film non è oggi facilmente reperibile in dvd in versione italiana, ma un’eventuale ricerca, mi auguro attivata da queste righe, consentirà di entrare nel mondo del jazz da un accesso privilegiato. E magari decidere di restarci.

1 Comment

  1. Qualche dritta pratica, innnazitutto. E’ vero, già ai tempi il film di Tavernier è stato maltrattato dal mercato home video (io ho comprato il dvd a sangue di papa anni fa). Comunuqe mi sembra che possa esser recuperato sulle piattforme di Prime Video di Amazon ed anche su Netflix; per quanto stiamo parlando di cinema cinema, che andrebbe goduto altrimenti. Spesso ai jazzofili viene chiesto: “Mi fai capire cos’è il jazz?”. Per me la miglior risposta sarebbe far vedere questo film. Infine una curiosità: Hancock non era nuovo ad un incontro con il cinema, anzi con il grande cinema. Era sua anche questa colonna che è vera protagonista di un capolavoro:

    https://youtu.be/VGyFLf6z_nE?si=yvpIFqyrlWqgH3mH

    Ah, anche il secondo album, quello Blue Note, è stupendo, non sono avanzi. Milton56

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