Avevo appena finito di annunziarvi la rinascita della storica label creata da Charles Tolliver e Stanley Cowell, che già si registrano al presente notevoli sviluppi.
Pochi giorni fa gli abbonati ‘premium’ a Spotify hanno visto apparire nella vetrina delle novità della loro homepage questo:
Si tratta dell’antologia dell’intero programma di ristampe del catalogo Strata che sarebbe dovuta apparire a fine aprile, ed invece ha anticipato la sua comparsa di quasi due mesi. La compilation è anche disponibile su BandCamp, in download digitale al prezzo di UsDoll.36,00.

Il prezzo può lì per lì destare qualche perplessità, ma solo finchè non si prendono le misure del prodotto offerto: ben 33 brani (credo uno per ogni album che verrà ripubblicato), per una durata complessiva di oltre 4 ore di ascolto. Insomma, una piccola discoteca, l’equivalente digitale dei boxes che una volta le grandi casi discografiche pubblicavano sotto le feste per sistematizzare e riepilogare interi segmenti dell’opera di un leader o di una formazione ormai di riconosciuto rilievo storico.
Ma c’è una soluzione anche per i curiosi che senza impegno vogliano semplicemente farsi un’idea di quello che contiene questo forziere che sta per dischiudersi dopo oltre 50 anni: su YouTube troverete nel canale Mack Avenue la playlist completa, da cui ho attinto le clips che punteggiano questo articolo. Evidentemente anche dalle parti di Mack Avenue si è sensibili ad una certa democrazia dell’accesso: cosa tutt’altro che ovvia e scontata, e che continua a fargli segnare altri punti nel mio rating personale.
Ma veniamo alla sostanza musicale. Che dire di ‘Strata East: The Legacy Begins”? Che è fatta maledettamente bene, a mio avviso.
Innanzitutto, il lato tecnico: ho avuto modo di disporre dell’antologia in un formato digitale di alto livello e di ascoltarla su dispositivi adeguati, ed il risultato del lavoro di restauro è di gran qualità. I master di Strata lo richiedevano in modo particolare: musiche dense e dai prevalenti colori scuri, organici spesso estesi ed inediti, registrazioni perlopiù autogestite dai musicisti affidandosi per economia a studi di non eccelso livello. E questo per tacere della qualità mediocre delle pochissime e saltuarie ristampe che nei decenni successivi hanno interessato solo pochi titoli di questo catalogo.
Ed ora veniamo alle prime impressioni a caldo sulla musica. Quello della compilation è un ascolto immersivo, al punto che sembra di esser in presenza di album unico, che pur nella grande varietà delle voci sembra rivelare concezioni ed inclinazioni comuni. Come hanno notato alcuni acuti commentatori d’Oltreoceano, è possibile che si debba riaprire il capitolo della storia del jazz degli anni ’70, che sinora ha quasi totalmente ignorato quello che appare come un vero movimento con voce molto distinta e direi nettamente dissonante rispetto alle realtà musicali dell’epoca successivamente canonizzate (e non si parla solo di quelle documentate dall’industria discografica ufficiale).
L’assoluta libertà garantita dalla Tolliver & Cowell inc. ai propri compagni di strada conferma che questa convergenza era spontanea e basata su una chiara condivisione di intenti musicali e non solo. Un movimento che tra l’altro sembra anticipare di alcuni decenni caratteri ed inclinazioni di quella che si ritiene la ‘cutting edge’ di oggi.
Altra cosa che colpisce immediatamente è il ricorrente aleggiare della figura di Coltrane: una personalità che viene vista come imprescindibile punto di riferimento intellettuale e morale. E forse proprio per questo è assente ogni indulgenza allo stucchevole ‘coltranismo’ di maniera diffuso all’epoca e che in seguito per diversi anni a venire ha proiettato un cono d’ombra sulla figura e l’opera del maestro di Hamlet. Una profonda e sentita elegia a meno di dieci anni dalla sua scomparsa.
Altra avvertenza a cui ho cercato di attenermi anch’io nella scelta delle clips: guardiamo anche oltre i brillantissimi exploit dei padroni di casa Tolliver e Cowell, e scopriremo le voci di molti musicisti che nonostante il loro valore riconosciuto sono rimasti ai margini della ribalta (anche qui in Europa). Si parla di Billy Harper, Clifford Jordan, i fratelli Heath, il Bill Lee padre del regista Spike ed autore della lodatissima colonna sonora di ‘Fa la cosa giusta’ del figlio, ed altri che vi lascio scoprire da soli.
Tra l’altro si rinvengono qui le radici più profonde ed autentiche di quello ‘spiritual jazz’ di cui oggi si parla tanto (e forse anche troppo): la citazione più ovvia è quella per Pharaoh Sanders, presente con questo brano che risale addirittura al 1969
Ma tra tanti pregi anche l’antologia ha un unico neo: la mancanza di brani di Gil Scott Heron, uomo scoperto e valorizzato da Strata, che ha pubblicato i suoi veri capolavori. Ma si sa, è destino delle etichette indipendenti lavorare per il Re di Prussia: sicuramente i diritti di ‘Winter in America‘ saranno ora sotto chiave nella cassaforte di qualche major del disco: sono proprio curioso di vedere se avranno il coraggio di risfoderare le taglienti requisitorie in musica di Gil in questi tempi di fake reality che ne avrebbero tanto bisogno….. Milton56
…attivate i sottotitoli… 😉
