Le impressioni destate dallo sconvolgente, recente concerto italiano al festival valdostano Chamoisic di questo trio norvegese attivo da oltre quindici anni meritavano un approfondimento conoscitivo : trovare il capo di quell’incendiaria miscela di prog, rock e jazz alimentata da una formidabile macchina ritmica (il batterista Torstein Loftus ed il bassista Nikolai Hænsgle) e condotta su rotte intergalattiche dalle tastiere vintage di Ståle Storløkken suonava come una bella sfida dopo quell’ora e mezza di immersione in una musica difficilmente catalogabile. A dispetto di un’apparenza scenica ordinaria, a pochi minuti dall’inizio del concerto ci si interrogava circa l’oggetto Elephant 9 : progressive ispirato da Emerson Lake & Palmer? jazz elettrico figlio di Bitches brew” ? un’a’ attualizzzione degli esperimenti jazz dei Soft Machine? ed ancora, echi di King Crimson, momenti di improvvisazione, oasi elettroniche ambient. Per sciogliere il garbuglio abbiamo allora ripescato uno dei più recenti album del trio, “Mytichal river“, pubblicato da Rune Grammofon circa un anno fa, l’opera che ad oggi sembra avere portato al più maturo compimento la strategia operativa del gruppo, in esito ad un lungo processo avviato anni fa con le frequentazioni del Miles Davis elettrico degli anni a cavallo fra i settanta e gli ottanta, e proseguito con un’impronta ispirata alle jam psichedeliche rock jazz. Tutto ciò che era emerso nel concerto a titolo di impressione trova conferma nei concisi 36 minuti del disco, ma l’ascolto casalingo ripetuto consente di mettere a fuoco e comprendere meglio la scelta estetica operata dal trio, una sorta di risistemazione delle fonti ispirative in un complessivo disegno personale costruito in prospettiva meta temporale. Ove convivono un organo hammond utilizzato in tutte le possibili varianti rimbriche ed un’elettronica iterativa ed ambientale (le ripetute spire di “Chamber of silence”,) ampie volute progressive come quelle della title track ed una violenza quasi punk nell’approccio ritmico (“Party with the stars” , che peraltro ha un incipit palesemente crimsoniano).
In alcuni casi il processo si sviluppa nell’arco di uno stesso brano: “Heading for disperate wasteland” parte da misteriose atmosfere dark per poi dirottare a metà strada verso una sezione improvvisata condotta da un acido timbro dell’organo che ne amplia e modifica i contorni, riportandoci ai Soft Machine degli anni settanta. ” Star cluster detective” sovrappone una metronomica struttura ritmica pescata dalla mitologia kraut rock ad angolari svolte jazz rock . “Cavern of the red lion” parte da un’astratta introduzione per volare presto, sulla ostinata e rocciosa spinta ritmica, in un cosmo dai contorni elettronici.
Nelle dichiarazioni rilasciate al concerto italiano, il tastierista Storløkken ha sottolineato la propria personale passione per Joe Zawinul e Keith Emerson e “Mythical river” , per quanto azzardata ed imrpobabile possa suonare la sintesi, può essre considerata la trasposizione concreta di queste due fonti ispirative. Ma non dimentichiamo che dopo questo il trio ha prodotto un successivo cd, “Catching fire” con un altro dei suoi mentori , il celebre chitarrista Terje Rypdal. L’oggetto continua a produrre nuovi misteri che sarà un piacere affrontare.




