I più cattivi incendiano Saalfelden

Raccontare la seconda metà del festival austriaco significa soprattutto parlare del meraviglioso concerto finale, quello dei The Bad Plus in una nuova formazione. Nati come trio, con Dave King alla batteria, Reid Anderson al contrabbasso e Ethan Iverson al pianoforte, nel corso degli anni hanno mutato più volte formazione, sostituendo Iverson con Orrin Evans, poi eliminando il pianoforte con l’ ingresso di Ben Monder alla chitarra e Chris Potter al sax tenore. A Saalfelden si sono presentati senza chitarra e con Craig Taborn al pianoforte.

Hanno presentato il loro nuovo sorprendente progetto, una rilettura del songbook del quartetto americano di Keith Jarrett. Una idea simile ma diversa rispetto all’ album di  Bradford Marsalis, che invece ha ripreso per intero Belonging, dove Jarrett suona con il quartetto europeo.

Se l’ esito del lavoro di Marsalis è interessante, quello dei The Bad Plus è, visto dal vivo, entusiasmante. I quattro musicisti non potrebbero essere più diversi stilisticamente rispetto agli originali, ma questo, direi, alla fine è un valore aggiunto che ha dato sale e spezie al risultato finale, non per niente salutato da una grande ovazione di tutta la sala. Culmine del concerto una rarefatta ed emozionante versione di un magnifico brano di Charlie Haden, Silence.

Ma se i The Bad Plus hanno rappresentato il vertice degli ultimi due giorni, altri concerti buonissimi hanno solleticato le orecchie del vostro cronista. Il sabato ha visto sul palco di nuovo Patricia Brennan con il suo vibrafono, questa volta in trio con Lillinger alla batteria e Terwijn al contrabbasso. Musica tonica, vibrante e senza sbavature.

Terminato il set mi avvicino alla Gruberhalle, un capannone industriale dismesso dove si esibisce un giovane trio norvegese, I Likes to Sleep. Resisto pochi minuti, non per la qualità della musica, decisamente accattivante ,ma per il volume da concerto rock.

Mi rifaccio subito le orecchie con una visita al parco, dove centinaia di persone si divertono con una formidabile All Stars svizzera che omaggia James Brown. Una sezione ritmica notevole, un cantante bravissimo e il gioco è fatto: impossibile non muovere il corpo, le gambe, la testa. Tutti i gruppi ascoltati nel parco sono ad ingresso gratuito e il livello è decisamente alto. Un altro benefit del festival, questo soprattutto ad uso e consumo degli abitanti della cittadina austriaca.

Mi avvio verso il Centro Congressi e dopo non molto mi pento amaramente di aver lasciato la musica di James Brown. Sul paco infatti c’è la Bezau Beatz Orchestra, praticamente il trio Genovese/Nebbia/Vogel ascoltato il giorno prima rinforzato da altri sei musicisti, ma con gli stessi risultati: grandi masse sonore, nessun tema, nessun riff, nessuna variazione rispetto al suonare tutti insieme senza sapere dove andare a parare  Naturalmente è solo il mio parere, che riflette il mio gusto, ma cadere nelle secche di un free stantio e datato può comunque ricevere applausi convinti, come puntualmente è accaduto.

Mi rifaccio, seppur parzialmente, con il quintetto di Laura Jurd, che propone una musica dalle evidenti radici irlandesi, irrobustita dalla tromba della leader e ben sostenuta dai suoi comprimari. Divertente ma troppo leggero per un festival premiato per “adventurous programming”.

Teis Semey, ascoltato il giorno precedente in diversa formazione, si conferma invece come una bella realtà, un chitarrista molto attento alla composizione e all’ arrangiamento, mai prevaricatore e dotato di idee fresche e intriganti. Chissà che qualche bolso programmatore nostrano non ne venga fulminato e ce lo proponga anche nel nostro paese, magari al posto dei soliti noti.

Ahmed è il quartetto di Pat Thomas, compatto e feroce nel proporre un unico brano, African Bossa Nova del contrabbassista Abdul-Malik. Musica tosta e inquietante resa mirabilmente.

La serata del sabato termina con Tomoki Sanders, figlio di Pharoah Sanders, anche lui al sax tenore, contornato da un giovanissimo ed eccellente quartetto. Le premesse sono buone, lasciamolo crescere e maturare, ma per ora il suono del suo strumento non ha ancora raggiunto una cifra originale anche se è interessante e godibile.

L’ ultimo giorno si apre per me con uno splendido duo in un antico palazzo storico, nonché eccellente birreria. Sul piccolo palco il formidabile John Edwars al contrabbasso e Camila Nebbia al tenore, che in questo contesto intimo e colloquiale sfodera il suo migliore set in questo festival.

Di passaggio alla Gruberhalle ascolto l’ ultima parte del set di Nothing Causes Anythings, un ottimo quartetto con Lillinger, Kranabetter, Pongrazc e Yvonne Moriel. Decisamente buoni.

Così come decisamente buona è la Sun Mi Hong Bida Orchestra, che schiera tra gli altri, due fuoriclasse come Edwars e Mette Rasmussen al fianco della batteria della leader. Un set concentrato e intenso.

Ancient to the Future è un gruppo sulla carta decisamente interessante. Accanto alla batteria di Hamid Drake c’è la chitarra di Ava Mendoza, il flauto ed il sax di Xhosa Cole e il gimbri e la voce di Majid Bekkas. Poteva essere un incontro e una fusione tra più anime, il jazz, il rock e la musica etnica, invece la bilancia si è subito spostata sulla voce e sul gimbri del musicista marocchino. Piacevole ma irrisolto, senza una identità precisa e con il sax di Cole praticamente inudibile.

In un post futuro qualche considerazione generale sul festival e sui suoi molteplici aspetti.

Tutte le foto sono di Loris Scirea. Grazie

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