Antonio Faraò- Kind of…

Ci sono musicisti che affrontano l’esperienza solista in modo estemporaneo, come una delle possibili modalità espressive, trasportando su disco o su un palco giornate di prove e tentativi concepiti individualmente in casa o nello studio, Per altri il disco solista è un traguardo importante, da affrontare con profonda responsabilità e da collocare in coincidenza con la giusta predisposizione, nell’ambito del percorso di un’ intera carriera. Antonio Faraò, pianista milanese che, volendo adottare un punto di vista provinciale, potremmo indicare come uno dei segreti meglio custoditi del jazz italiano, ma che in realtà, in oltre quaranta anni, ha suonato abitualmente con i più autorevoli esponenti della scena jazz mondiale ( dagli inizi diciassettenne con Steve Grossman e Lee Konitz , alle collaborazioni con Benny Golson, Wayne Shorter, Chico Freeman, Bob Berg, Joe Lovano, McCoy Tyner, Eddie Gomez, Jack DeJohnette, Billy Cobham, Didier Lockwood), ed ha pubblicato una dozzina di album in formazioni da lui dirette, appartiene decisamente alla seconda categoria.

E’ naturale chiedersi dopo 45 anni di musica e di vita sul palcoscenico, perchè proprio ora? E’un traguardo importante, ma anche una sfida profonda e personale per ogni pianista. Come alcuni dei miei progetti, anche questo è rimasto nel cassetto, Non ho mai sentito l’urgenza di realizzarlo, desideravo maturarlo con un certo spessore. Ora è arrivato il momento giusto“.

Registrato in Francia, paese da tempo familiare, allo Studio Sequenza di Montreuil e missato in Italia, “Kind of….“(Notes Around AG/Azzurra music) si compone di dodici episodi accuratamente selezionati per rappresentare le diverse facce dell’universo musicale del pianista, dagli standards al Brasile, da una vena lirica e poetica dai connotati del tutto personali a quello stile magmatico ed avvolgente ricco di riferimenti blues, dal fraseggio ipercinetico unito ad un magistrale controllo del tempo, che lo collocano nella scia dei propri riferimenti più significativi nella storia del jazz, da Oscar Peterson a Mc CoyTyner fino ad Herbie Hancock. “Insieme a Dado Moroni, il più americano dei pianisti italiani“, la definizione è coniata dal Direttore artistico del Festival Valle Christi di Rapallo Bruno Guardamagna, che questa estate ha ospitato il pianista con Chico Freeman in un tributo a Coltrane in gran parte riuscito grazie alle capacità espressive di Faraò.

Nel programma del disco gli standards sono collocati all’inizio, a metà ed al termine, quasi uno spartiacque fra la componente più intima e riflessiva del mondo dell’autore e quella di più estroversa comunicativa, rappresentata dalle composizioni poste nella seconda metà del disco . Faraò affronta “There will never be another you“, come “Round Midnight” e “I didn’t know what time it was” in un suo modo peculiare, quasi danzando, inizialmente, sulla struttura armonica dei brani, concedendo quindi alle parti tematiche un’attenzione discreta, priva di enfasi, per trovare, nel contesto conosciuto, spazi personali ed innovativi nei quali collocare le proprie idee di composizione istantanea. Così anche nel celeberrimo “O que sera” di Chico Barque, il pianista sembra interessato a perseguire una lettura personale basata sull’iterazione del malinconico tema.

Fra le composizioni originali della prima parte spiccano il commovente tema di “Kind of”, una melodia avvolgente e mattutina che viene mantenuta, nel suo sviluppo, in costante equilibrio fra coerenza e rottura, l’eloquente semplicità di “Pina“, le fragili ed oniriche architetture di “MT” dedicata a Mcoy Tyner , una “Ballad for four” sognante nella sua classicità.

Sul fronte più movimentato e virtuosistico del lavoro, ci imbattiamo nei gorghi ritmici e nelle labirintiche stanze di “Around“, nell’auto esplicativa “Gospello” che fatica a contenere nella tradizionale struttura le ampie escursioni sulla tastiera, nello scatenato tour de force di “My blues“. Tutti episodi che evidenziano le assolute doti tecniche del pianista messe al servizio della vivida espressività, la velocità di esecuzione con la mano destra ed il controllo della sinistra : “Suonando in solo , devo letteralmente fare tutto, usare la mano sinistra come un bassista, suonare come farebbe normalmente il contrabbasso. Devo dire che sto ancora imparando a suonare solo. Non si smette mai di imparare”.

Per concludere questo diario personale, Faraò ci conduce per due minuti “Sulle nuvole“, per ammirarlo di là in alto, circondati da note eteree, mentre affronta l’ennesima sfida con il palco, il pianoforte, la sua musica e la sua vita.

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