Nel corso di un trentennio, il compositore e trombettista norvegese Nils Petter Molvær ha consolidato il ruolo di pioniere e riferimento del connubio fra jazz e le varie branchie della musica elettronica talvolta riassunto nella curiosa denominazione di nu jazz, genere nel quale il paese nordico sembra avere assunto un ruolo di capofila, grazie alla parallela attività di musicisti come Bugge Wesseltoft e la sua etichetta Jazzland. Un percorso sviluppato sia in forma collettiva – a partire dalle prime esperienze di inizio anni ottanta nell’ambito del gruppo Masqalero (con Tore Brunborg, Jon Christensen e Arild Andersen) e nel nuovo millennio con l’avventura Food (con Thomas Stronen, Iain Ballamy e Christian Fennesz) – che attraverso una ventina di pubblicazioni a proprio nome . Uno dei capisaldi del genere, tenuto a battesimo, così come le opere dei gruppi sopra citati, dalla ECM di Manfred Eicher nel 1997 , è l’album “Khmer”: con la complicità di musicisti provenienti da mondi musicali decisamente distanti dall’estetica in allora attribuita all’etichetta tedesca quali Bill Laswell ed Eivind Aarset, il trombettista introduceva elementi ambient, ritmiche hip hop, scratching di un dj a fianco delle melodie elettronicamente modificate della propria tromba. Un esperimento coraggioso, frutto di una visione senza confini della propria musica che forniva materiale utile all’infinito gioco dei remix e rielaborazioni da parte di DJ e scultori sonori presenti sulla scena del fine secolo. Difficile, prima di allora, prevedere che un brano pubblicato su un album tergato ECM potesse essere pubblicato in versione remix.
Il tempo ed una coerenza di sguardo mantenuta ferma nel corso dei decenni trascorsi, all’interno di un catalogo ricco di titoli interessanti al netto di qualche iterazione, paiono aver dato ragione alle intuizioni di Molvaer, il quale, lo scorso anno, ha ricevuto una commissione da parte del festival norvegese di Bergen, Natjazz, per ripercorrere, insieme ad alcuni fedeli compagni di navigazione alcune delle principali tracce della propria storia, partendo da quel famoso titolo di fine anni ’90.
“Khmer live in Bergen” (Edition records) riporta quell’esperienza live, condivisa con il chitarrista Eivind Aarset, i batteristi Rune Arnesen e Per Lindvall, i campionamenti live di Jan Bang, il basso di Auden Erlien e gli interventi di DJ Strangefruit, una piccola celebrazione per l’autore che riprende il titolo ma non tutto il contenuto del famoso album del 1997. Un brano di “Khmer“, “Song of sand“, inaugura il programma, avvolgendo immediatamente l’ascoltatore con la propria ritmica hip hop circolare, il basso possente, il timbro velato dall’elettronica della tromba: a metà del brano entra la deflagrante chitarra di Aarset con un assolo astratto e dissonante, e tutti gli elementi sono così in scena. La loro combinazione, insieme agli interventi coloristici ed ambientali dei samples tiene banco per tutta la durata dello show, alternando momenti di densa frenesia ritmica, profonde scansioni dub e spazi più lirici e rarefatti. Fra i primi spiccano le atmosfere surriscaldate dai dialoghi fra la tromba e la chitarra in “Platonic years“, le vibranti barriere erette da basso e batteria per gli incisivi interventi della tromba in “Vilderness“, un’agile tiro funk che man mano si indurisce e colora di black in “Solid Ether“, dall’album omonimo del 2000, finendo per dare vita ad una colorata e collettiva jam session. Il fantasma di Bill Laswell abita le montagne dub di “Ligotage“, fre le cui vette si aprono scorci della forth world music di Jon Hassel, e l’andamento circolare del basso avvolge anche la conclusiva melodia di “Maja“, tratta dall’album del 2023 “A certainty of tides“, registrato con la Norvegian Radio Orchestra.
“Kakonita” solo per tromba e chitarra e “On stream“, con una minimale base ritmica, sono due ballads che testimoniano la sensibilità e le capacità evocative di Molvaer in contesti lirici ed intimi.
“Tiøn“, infine, raggruppa in meno di tredici minuti tutte le componenti citate: inizio introverso, interrotto da sottili motivi elettronici, decisa svolta ritmica con l’ingresso di basso e batteria, con il motivo prima accennato che si inserisce nel groove, e poi virata verso un beat dance che si colora gradualmente di percussioni assortite, dei labirintici interventi della chitarra e dell’assertivo fraseggio della tromba, fino a riportare il climax in una dimensione collettiva avvolgente dal quale emerge una nuova melodia disegnata dal leader.
Molvaer dirige con maestria la complessa architettura sonora in campo, imprimendo la direzione collettiva e scolpendo con il proprio strumento dal timbro del tutto particolare, linee melodiche che attraversano e sferzano l’impianto complessivo. Un disco difficile da ascoltare fermi.
Un intero concerto dedicato a Khmer nel 2023 a Colonia
