Mingus and Monk revisited

Due recenti pubblicazioni dell’etichetta Caligola records rivelano, casomai ce ne fosse bisogno, quanto la musica di Charles Mingus e Thelonius Monk abbia ancora da offrire alla creatività ed alle pulsioni espressive di musicisti contemporanei. “Mingus revisited” del duo Giovanni Maier e Matteo Alfonso e “Plays Monk” del Koro almost brass, gruppo di soli fiati composto dalla tromba di Fulvio Sigurtà, dal sax alto di Cristiano Arcelli, dal trombone di Massimo Morganti, dalla tuba di Glauco Benedetti e dal corno francese di Giovanni Hoffer, sono uniti, oltrechè dalla data di pubblicazione, dall’idea di affrontare repertori così conosciuti ed autorevoli con un approccio che riesce ad essere innovativo ed a produrre, da quelle basi frequentate da tutti i jazzisti chissà quante volte, ancora musica nuova.

Il duo pianoforte e contrabbasso di Alfonso e Maier si ritrova dopo un decennio dalla pubblicazione di “Naked songs“, pubblicato da Palomar, l’etichetta del contrabbassista membro di Enten Eller ed Eternal Love , applicando il proprio trattamento definito a “bassa risoluzione” a nove brani, fra celebri e meno conosciuti, del contrabbassista di Nogales : il risultato è “ciò che rimane dei capolavori del grande compositore e contrabbassista afroamericano dopo la scrematura armonica a cui li abbiamo sottoposti. La strategia con la quale è stato deciso di personalizzare il suo repertorio è infatti la stessa che Mingus ha adottato nella versione originale del brano “Pithecantropus Erectus”: dopo un tema che si snoda attraverso diverse sezioni armonicamente difformi, l’improvvisazione viene sviluppata su una struttura armonica molto semplice e scarna, di poche battute. Questo approccio permette maggiore libertà d’azione e possibilità di “fuga” da un contesto musicale tradizionale”.

Una formula che riesce ad unire lo sguardo rispettoso ed ammirato per il materiale originale alla grande capacità creativa e comunicativa dei due musicisti, che non fanno per nulla rimpiangere organici più ampi o diversi contesti strumentali. La musica vola libera e potente fin dalle prime note di “Dizzy Moods“, con l’agile pianoforte, il contrabbasso dal suono perentorio e la loro comune carica espressiva che giocano con la dimensione del tempo, introducendo nell’andamento blues del brano alcune piccole deviazioni .

La scelta interpretativa caratterizza tutto il programma seguente, dai brani più famosi come “Duke Ellington’s sound of love” resa in una affascinante veste essenziale e lontana dalla magniloquenza, o “Orange was the colour….”, con il tema affidato all’archetto e valorizzata da un dialogo ricco di pathos fra i due strumenti, a quelli meno conosciuti come “Nouroog“, dalla cristallina cantabilità, o la conclusiva “Eclipse“, attraversata da una vena di mestizia.

Contribuiscono all’affresco complessivo il dinamismo swing di “East coasting” e di “Jump Monk“, (quest’ultima con un solo “espansivo” del contrabbasso), una moderata spinta free talora emegente, (“Celia”) , il vertiginoso motivo con inserti monkiani di “Free Cell block F, Tis Nazi U.S.A.” nella quale si staglia la versatilità stilistica di Alfonso.

Un duo che diverte ed emoziona, da cui ci auguriamo di ascoltare presto altre buone nuove.

Per introdurre il loro primo album, dedicato alla musica di Thelonious Monk, il Koro Almost Brass si è affidato alle parole di uno fra i più autorevoli studiosi del mondo jazz Stefano Zenni che così descrive l’operazione nelle note di copertina – “La musica di Monk è fatta di frantumi. Non è una musica intera che, una volta andata in pezzi, rimane distrutta. Eèinvece una musica che nasce frammentaria, ogni singolo brano è costituito da tanti frammenti separati, che a volte risuonano distanti e altre volte sono in qualche modo concatenati. Questo gruppo – e in particolare l’arrangiatore Cristiano Arcelli – ha compreso che le costellazioni di Monk sono mobili: i frammenti possono essere staccati e ricomposti, spostati e diversamente collegati, senza che l’identità delle composizioni ne esca compromessa”. Anzi, questa operazione di smontaggio e rimontaggio – resa agevole dalla natura stessa del quintetto, grazie ai suoi ruoli intercambiabili – rivela nuove prospettive, illumina angoli inediti, collega dettagli affini. La musica di Monk ne esce così ricomposta e rinnovata, ma al tempo stesso confermata nella sua natura più profonda.

Trattamenti originali, secondo la logica dell’operazione, di grandi classici come “Bemsha swing“, letteralmente ri -costruita e con una coda inedita, “Epistrophy“, dall’irresistibile carica ritmica “a fiato”, “Worry later“, resa in una vasta gamma di variazioni che sfiora anche la dimensione sinfonica.

Reflections” e “Round Midnight ” rappresentano il lato più lirico del repertorio, che mette in luce la sensibilità dei solisti, in particolare il sax di Arcelli, la tromba di Sigurtà ed il corno di Hoffer che nel secondo brano attraversa con un solo la sezione improvvisata prima dell’estatica ripresa del tema.

La chiusura è affidata al ramificato arrangiamento di “In walked Bud“, e ad una lettura collettiva e cubista di “Rhythm A Ning“.

Un viaggio inedito nella musica di Monk che, grazie alla preparazione ed alla sensibilità dei protagonisti, apre anche ampi spiragli su diversi stili ed epoche, componendo un panorama che abbraccia idealmente l’intera storia del jazz.

Il Koro Almost Brass dal vivo sempre alle prese con Monk in una lettura di “Evidence” non compresa nel cd

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.