Fano Jazz By The Sea è uno delle poche rassegne italiane costantemente impegnata ad offrire una vetrina al giovane jazz italiano, soprattutto quello al debutto o quasi, che altrove non si vede offrire spazi per crescere e farsi conoscere dal pubblico.
Fano gli offre una location molto suggestiva come i giardini antistanti la Rocca Malatestiana, con un bel prato e molti cuscini per accogliere gratuitamente il pubblico del Green Jazz Village, quartiere generale del festival. Il piccolo palco baciato dal tramonto ha molto fascino, ma va anche detto che l’ambiente forse non offre quel raccoglimento e concentrazione che alcune giovani band ancora un poco digiune del mestiere richiederebbero: comunque va notato che la rustica e sportiva platea di anno in anno va facendosi sempre più attenta e meno occasionale. E poi resta pur sempre una gran bella vetrina piuttosto ambita.
Quest’estate lo Young Stage fanese mi ha consentito due belle scoperte che voglio condividere con voi.
Le Giraffe di Matteo Paggi sono una sorpresa in parte già annunziata. Il trombonista si è già fatto notare nei Fearless Five, l’ultima nidiata dell’Enrico Rava talent scout: devo dire che Matteo sin dal primo ascolto mi ha colpito per la sua energia, il suo drive e l’impeccabile precisione del suo solismo. A Fano l’ho scoperto anche bella penna e soprattutto leader di livello. A fianco a lui c’erano Lorenzo Simoni al sax alto, Vittorio Solimene al piano, Andrea Grossi al basso e Andrea Carta alla batteria: un quintetto quindi, organico piuttosto articolato di questi tempi. Ho avuto la sensazione che la performance fanese fosse in qualche modo un poco ‘dopata’ dal fatto che Paggi giocava in casa: è marchigiano, anche se ormai prevalentemente vive in Olanda.
Rispetto alla clip tratta dall’album, Paggi ha sfoggiato delle audacie virtuosistiche sullo strumento che non si notano nell’atmosfera più quieta e controllata del lavoro in studio. Ma nella registrazione è evidente l’attenzione del giovane leader nel dare spazio a ciascuno dei suoi sidemen: e ce ne è ben donde, soprattutto perché l’organico rivela una bella coesione e capacità di tener dietro ad un Matteo estroverso e duttile. Senza far torto a nessuno, va detto che la front line con l’alto di Simoni fa veramente faville, anche quest’ultimo ha vaste riserve di slancio e di energia che gareggiano con quelle del leader: sono curioso di sentirlo in veste di leader alla testa di un suo quartetto a Milano nell’ambito di Atelier in concerto, facilmente sarà un’altra cartolina.
Ma prima di lasciare Paggi ed i suoi, cerco di darvi un’idea della spumeggiante dimensione live delle Giraffe, che nella clip seguente a Rotterdam hanno un’altra pianista ed un altro bassista: ma la bella chimica tra Paggi e Simoni emerge in tutta evidenza. Promemoria: le Giraffe in formazione italiana sono in cartellone al prossimo Bologna Jazz Festival, se a portata è ottima occasione di ascolto.
Quella del trio di Cesare Panizzi invece per me è stata una primizia assoluta. Le credenziali sono di assoluto rispetto: studi alla quantomai selettiva Berklee School di Boston, poi New York ed infine al rientro in Italia il Premio Massimo Urbani, un riconoscimento che da sempre non viene conferito alla leggera. Con lui Giulio Scianatico al basso e Gianluca Vescovini alla batteria.
La title track dell’album del trio
Il pianismo di Panizzi mi ha colpito subito: non mi è facile tratteggiarlo a parole, ma la prima impressione è quella di una spiccata originalità, decisamente distante dai modelli che oggi permeano i debutti della maggior parte dei suoi colleghi. Un tono caldo e tendente ai colori scuri, un fraseggio pulito e privo di enfasi e sottolineature sia nelle dinamiche che nel timbro, tutto orientato ad un nitido tratteggio dei temi e dei loro sviluppi.
E poi uno che si presenta alla platea un poco casual del Jazz Village con ‘Isfahan’ di Billy Strayhorn dà già una bella prova di coerenza e di padronanza di una profonda cultura jazzistica, entrambe cose non proprio comuni tra i nostri young cats odierni. A quanto sembra, Panizzi ha una certa inclinazione per Hank Jones (!) e per McCoy Tyner (!!!). Ma questi influssi sono filtrati da una personalità già molto matura e contraddistinta da un sobrio understatement di cui sono perfetti complici i suoi partner (e non è cosa facile).
Ma anche lui vediamolo in azione dal vivo: qui è ancora alla Berklee con due compagni di studio americani. E’ alle prese con ‘Naima’ di John Coltrane, un’impegnativa pietra di paragone, molto rivelatrice. Che dire in conclusione? Ad maiora, senz’altro, sperando che la patria ritrovata non sia matrigna con un trio di questo spessore. Voi intanto annotatevi un altro promemoria nell’agendina. Milton56
