DESAPARECIDOS -IL JAZZ IN ITALIA TRA I ’70 E GLI’80 – 3^ PUNTATA

E dopo un pioniere del protagonismo della batteria (Tonani), ecco Giorgio Azzolini, con cui comincia quello dei bassisti; protagonismo che negli anni seguenti lascerà il segno su molti passaggi importanti del nostro jazz.

Un uomo sempre al centro di molte situazioni: qui dovrebbe esser con la band di ‘Tribute to Someone’, un suo primo album da leader

E finalmente abbiamo una biografia che non sprofonda nell’enigma: i suoi 96 anni (!!!) Giorgio li ha vissuti quasi tutti sulla scena, anzi al centro della scena. Si inizia con una tradizionale formazione accademica (che comprende anche composizione ed arrangiamento, un vero presagio). Poi comincia l’avventura: l’ingaggio in un complesso di musica da camera che suona sui transatlantici che fanno la spola tra Genova e New York. Nei 90 (!!) sbarchi nella Grande Mela il nostro ha un solo pensiero: correre all’Apollo Theatre, al Birdland, al Blue Note. Dal 1951 in poi ascolta Charlie Parker, Miles Davis, Sarah Vaughan ed altri grandi del bebop e del cool. Anni dopo in Italia suonerà con una interminabile serie di loro : Per quanto banale possa sembrare, il jazz per me è vita. Anzi, la vita, la mia vita», dirà ancora in una delle sue ultime interviste.

1961. Il californiano Buddy Collette (già con Chico Hamilton, poi rilevato da un certo Eric Dolphy) è a Milano. Indovinate un po’ chi si prende come bassista? (non citato in copertina… grrr…)

Con un background di questo tipo non stupisce per nulla ritrovarlo come colonna del sestetto Basso – Valdambrini, la combo per eccellenza del modernismo italiano che ruppe il provincialismo dei nostri sonnacchiosi anni ’50, divenendo presto la prima ambasciatrice del nostro nuovo jazz  in Europa e nel mondo.

Ed eccoli qui i modernisti del Basso-Valdambrini nel 1962. Notare la formazione che raccoglie oltre ai due co-leader al sax ed alla tromba anche sidemen che faranno poi molta strada, come Renato Sellani, Lionello Bionda, Dino Piana ed il nostro Azzolini già in bella evidenza. Copertina azzeccatissima e di per sé eloquente…

Ma Azzolini è personaggio versatile e non certo ‘ad una dimensione’: ed ecco che lo ritroviamo autore di un metodo per basso jazz tuttora tenacemente inseguito dai praticanti dello strumento (firmerà anche un altro manuale).

Sul web ne girano copie reduci da molte battaglie….

Nel frattempo, al pari di altri jazzmen italiani di primo piano, viene spesso richiesto da grandi nomi della musica leggera, nel suo caso Ornella Vanoni, Milva, il Quartetto Cetra ecc. Questo della contiguità con la più sofisticata musica commerciale di grande successo è argomento spinoso e con risvolti amari: quasi sempre si è trattato di un rapporto a senso unico e soprattutto problematico sul piano del mancato riconoscimento del contributo dei jazzisti.

Ma non gettiamo ombre sulla bella avventura del nostro Giorgio, che sta ora entrando nei suoi anni d’oro. La sua consapevolezza teorica ed il gran mestiere accumulato anche da turnista non potevano che condurre ad un esordio da leader, del tutto inconsueto all’epoca per un bassista. Eccolo:

Siamo nel 1964. Lo spettacolare, disteso solo di sax è di Gato Barbieri (che firma anche il brano), al piano ancora Renato Sellani o ‘Pocho’ Gatti, Dino Piana al trombone, Franco Ambrosetti alla tromba e Lionello Bionda alla batteria: la scelta dei partner rivela sicuro fiuto e direi in alcuni casi autentica preveggenza. E’ tutt’altro che musica amena e  fuori dal mondo (basta notare il titolo), ma non riesco a non percepire una sua qualità solare e calda che purtroppo oggi non si incontra più: ma si sa, il jazz è un sismografo che soprattutto a distanza di tempo rivela il sentimento di fondo di un’epoca, allora decisamente diversa da quella attuale.  

E che l’orecchio di Azzolini fosse sempre ben teso sta a dimostrarlo questo altro album, è del 1966, nota bene:

«…. con la formazione in trio, Azzolini-D’Andrea-Tonani; facemmo cose tutte nostre e pensate interamente da noi senza riecheggiamenti: uno dei primi esperimenti di free jazz in Italia. (…) Soprattutto l’intento non era di sbalordire, non volevo fare qualcosa che dovesse necessariamente scioccare il pubblico. Volevo cercare di mettere a profitto la mia maturazione artistica avvenuta a seguito di una già lunga e multiforme carriera. Ho cercato di mettere a frutto delle mie nuove capacità creative, anche verso forme jazzistiche d’avanguardia». Parole da incorniciare e tener ben presenti anche oggi….. Oltre al desaparecido Tonani, qui appare un giovane Franco D’Andrea di cui Giorgio sarà sempre grande estimatore e forte sostenitore: un caso da manuale di ‘occhio clinico’.

Poteva il nostro andare per frasche nell’epocale anno 1968? Certo che no, ed ecco uscire ‘Crucial Moment’ (guarda caso…): oltre all’ormai fedele D’Andrea, vengono arruolati anche Enrico Rava (in procinto di far la valigia per New York) ed Aldo Romano (pescato in Francia) alla batteria. Anche qui il leader nato non manca un colpo. En passant, siamo ancora nell’ormai mitologico studio Fonorama, ma ora di giorno, si spera.

Ma il nuovo jazz italiano non è solo piccole formazioni: quando si ha la caratura e la mano ferma di Azzolini si riesce anche a puntare più in alto. Nel 1971 di big band jazz in Italia ce ne era una sola, l’Orchestra di Ritmi Moderni di Mamma Rai (ancora maestrina sollecita, poi matrigna dedita al lifting ….). Ancora una volta Giorgio fa sfoggio del suo prestigio ed ascendente radunando nel mitico Studio 7 di Porta Venezia a Milano  il gotha del jazz italiano di allora: quasi tutti hanno sulle spalle lo stesso solido mestiere del leader, anche loro hanno macinato turni in studio e dal vivo. E così il miracolo riesce: per una sola sessione nasce una big band che senza smagliature ed impacci affronta un programma a dir poco impegnativo: i risultati tecnici ed estetici sono  ben più convincenti di analoghi esperimenti estemporanei di oggi, ma va detto che Azzolini ed i suoi vantavano una assiduità nella pratica musicale oggi impensabile.

E’ la prima edizione del 1971, ne seguirà un’altra nel 1977. Notare la grafica distintiva dell’immagine della prima DIRE

E cogliamo l’occasione per ricordare oltre alla ‘one stand band’ da sogno anche la DIRE di Tito Fontana, un’etichetta che negli anni ’70 era di per sé un marchio di raffinata qualità: e così aggiungiamo un altro capitolo alla malinconica Spoon River della discografia italiana del periodo. Spero di sbagliarmi, ma temo che DIRE non sia stata neppur graziata da una sporadica rivisitazione in anni recenti. Quindi è ancora più prezioso questo “So What”, uno dei favoriti di Azzolini e non a caso una impegnativa pietra di paragone dello stile:

… attenti all’incipit…credo che anche quelli di ‘Kind of Blue’ avrebbero almeno inarcato il sopracciglio…un ‘So What’ orchestrale così brillante ed emozionante l’ho sentito solo dal grande Gerald Wilson nei suoi giorni migliori

La lunga avventura musicale di Giorgio si protrae sino ai primi anni 2000, ma noi chiudiamo con un album del 1975, sempre della compianta ’Carosello – Jazz from Italy’. In “The Scicluna Street” quelli della mia generazione musicale avvertono chiaramente il presentimento di cose che sulla scena del jazz internazionale stavano ancora per accadere, il nostro è sempre all’erta. In ‘Bankok’ Azzolini gioca con suggestioni esotiche con un un gusto che ad altri  è allora mancato (del dopo non ne parliamo nemmeno). Anche qui notare la compagine dei musicisti, fra cui fa capolino un altro futuro desaparecido: emerge chiaramente che allora il nostro jazz viveva in una dimensione comunitaria che consentiva fecondi incroci e scambi di ruoli, situazione che aveva poco da invidiare a quella analoga dei colleghi americani. Anche questo un ricordo del passato, ora che la scena attuale è per lo più frammentata in piccoli ducati chiusi in sé stessi come l’Italia prima di Garibaldi e Cavour. Ed ancora una volta mi raccomando: cliccate, cliccate ed ascoltate, questa musica è appesa ad un filo. Stay tuned. Milton56

P.S: per alcune citazioni sono debitore alla bella intervista comparsa su ‘Il Manifesto’ del 17/8/24 a firma di Guido Michelone

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