Derek, che ci lasciò il giorno di Natale

Il chitarrista Derek Bailey è morto 20 anni fa , il 25 dicembre 2005.

Non era (solo) un musicista jazz. All’inizio della sua carriera suonò jazz, insieme a molti altri stili in molti contesti — era un musicista professionista che accompagnava comici e cantanti pop, e partecipava a sessioni di registrazione commerciali e in bar e sale da ballo. Ma i suoi interessi personali risiedevano in un approccio piuttosto radicale all’improvvisazione; cercò di allontanare ogni possibile supporto stilistico e creare musica “non idiomatica” indipendente dai linguaggi convenzionali. Fu così una delle figure cruciali nello sviluppo di una scena musicale improvvisata unica nel Regno Unito e in Europa, una scena che non aveva radici nel jazz, nel blues o anche solo nell'”indeterminazione” della musica classica d’avanguardia.

Affiancato da collaboratori e partner creativi affini tra cui Evan ParkerTony OxleyHan BenninkPeter Brötzmann e successivamente Cecil Taylor e John Zorn, tra molti altri, si esibì e registrò per decenni, diventando infine una figura venerata. Proprio come aveva fatto come chitarrista più convenzionale, trovò quante più vie possibili per il suo stile unico di improvvisazione, spesso organizzando incontri in duo ma partecipando anche a gruppi più estesi.

La musica di Bailey non è assolutamente per tutti. Chiunque venga in cerca di melodia, ripetizione, ritmo standardizzato o qualsiasi altro aspetto formale convenzionale ne uscirà deluso. Onestamente, è difficile definire di che tipo di musica si tratta quando si ascolta Bailey. Eppure ti colpisce, con i suoi toni graffianti, le improvvise ondate di volume e feedback che si ritirano altrettanto rapidamente, le esplosioni seguite da lunghi droni malinconici… Sembra non esista nient’altro al mondo di simile.

Il suono della chitarra di Bailey è una massa contorta di tensione, che rende il suo atteggiamento rilassato sul palco ancora più affascinante. Suona da una posizione seduta, quasi reclinata, controllando tre pedali con i piedi. Non suona mai un insieme lineare di accordi, e nella sua musica non ci sono riff — solo flussi di note e occasionali scoppi di rumore grezzo e scioccante. A volte cade in un silenzio quasi totale, con solo qualche piccolo, quasi impercettibile segnale e graffio che indica che sta ancora andando avanti. Ma poi arriva un improvviso aumento di volume dal pedale, e una singola nota stridente o un ammasso di suoni spunta dal palco colpendo il pubblico come una palla di filo spinato aggrovigliata. Al primo (e anche secondo o terzo) ascolto, la sua musica potrebbe suonare casuale o quasi volutamente sbagliata — anche per chi pensa di aver assorbito tutti i modi diversi in cui il jazz può diventare “libero”. Il trucco per comprendere Bailey è raggiungere uno stato a metà tra concentrazione e rilassamento, così che la musica entri nella mente con tanta libertà , quanta ha influenzato la sua creazione.

Nato in Inghilterra nel 1930, Bailey iniziò la sua carriera come musicista durante gli anni di massimo splendore dello swing. Iniziò accettando qualsiasi lavoro fosse disponibile. “Suonavo per bevitori, ballerini, spogliarelliste, cantanti, animali, lottatori… Ho persino suonato per gli ascoltatori,” dice dei suoi primi anni. Ma poi Bailey capì che il jazz non era il suo futuro. “Quando avevo circa 23 o 24 anni,” spiega, “decisi che se volevo diventare un jazzista, avrei dovuto iniziare in un altro posto, in un altro momento, e forse in un’altra razza. E ero molto consapevole che il chitarrista che ammiravo particolarmente, Charlie Christian, era già morto quando arrivò all’età che avevo — e io non ero da nessuna parte.”

L’amore di Bailey per la sua musica è bilanciato dalla riluttanza a fare un qualsivoglia lavoro diurno. “Non riuscivo a guadagnarmi da vivere con questo,” dice della sua decisione di abbandonare il jazz, “e questo è sempre stato essenziale per me. Ed è stato essenziale suonare questa musica, guadagnarsi da vivere con essa. Non suonerei musica improvvisata liberamente come hobby. Non credo nella musica come hobby; è un lavoro troppo duro.”

Per riuscire in quello che molti potrebbero ritenere impossibile — guadagnarsi da vivere suonando musica d’avanguardia totalmente intransigente — Bailey ha adottato una strategia molto aperta di mente. In parole povere, suona con (quasi) chiunque. Ha accompagnato in numerose occasioni il ballerino giapponese di Butoh, Min Tanaka. Ha suonato in duo praticamente con tutti i principali batteristi del free jazz e della musica improvvisata, tra cui Eddie Prévost, Milford Graves, Han Bennink, Tony Oxley e Susie Ibarra. Ha lavorato in grandi ensemble come la Globe Unity Orchestra (diretta dal pianista Alexander von Schlippenbach) e lo Spontaneous Music Ensemble. Ha Suonatp e registrato anche in solo, anche se non è mai stata una sua scelta preferita .

Uno dei rapporti professionali più produttivi di Bailey — sia dal punto di vista artistico che finanziario — è stato con un altro improvvisatore radicale che è riuscito a guadagnarsi da vivere con questo: John Zorn. Bailey ha pubblicato due CD con l’etichetta Tzadik di Zorn e altri tre con Avant, l’etichetta giapponese di Zorn. Registrò anche gli Yankees con Zorn e il trombonista George Lewis nel 1983. “Non voglio generalizzare troppo su questa cosa,” dice Bailey, “perché non lo so — ma la mia impressione è che la musica possa facilmente cadere in alcune routine. Molti musicisti ci scivolano dentro il prima possibile. Zorn , al contrario, è uno di quelli che ha appiattito qualche solco.”

I dischi Tzadik e Avant possono essere intesi in due modi. L’ascoltatore può vederle come bizzarre digressioni al più ampio corpus di Bailey, oppure come prove improbabili dell’universalità della sua musica. Quest’ultima interpretazione sembra quasi paradossale, data l’assoluta individualità del suo suono. Uno dei primi è Saisoro del 1995, un trio in cui la sezione ritmica è costituita dal duo di basso e tambura The Ruins, un gruppo splatter-rock che ha registrato numerosi album . A questo seguì nel 1996 Guitar, Drums ‘n’ Bass, un CD in cui Bailey suonava insieme o sopra i pattern ritmici scorrevoli e iperattivi del drum ‘n’ bass techno. Nell’ultimo album sponsorizzato da Zorn, Mirakle del 1999, Bailey è il frontman del bassista Jamaaladeen Tacuma e del batterista Calvin Weston, una coppia nota soprattutto per il loro lavoro con Ornette Coleman’s Prime Time. Con Mirakle, il trio crea una sorta di “free funk” che non perde mai il groove senza mai prestagli tutta l’ attenzione.

Anche se si butta in quasi ogni situazione di registrazione che gli viene proposta, Bailey ascoltava raramente i dischi finiti, preferendo guardare avanti. Tuttavia ha ascoltato Ore (Arrival) del 2001 “solo per vedere se corrisponde alle mie impressioni, che erano che fosse in qualche modo piuttosto fresco.” L’album è un duo registrato con il batterista Eddie Prévost . Bailey dice del batterista: “Suppongo che entrambi stiamo cercando la stessa cosa con mezzi diversi. Quindi è stato davvero molto bello — il livello di esplorazione era piuttosto alto. Non è sempre facile ottenerlo.”

Ore è un disco affascinante e di una bellezza cruda. La chitarra di Bailey a volte sembra che venga macinata in schegge. Altre volte, sembra una gigantesca lastra di metallo strappata da mani robotiche. Prévost suona la batteria come se l’avesse scoperta da poco e non volesse fare mosse improvvise per paura di una catastrofe inaspettata e imprevedibile. (Questo è ben lontano dal lavoro di Bailey con Han Bennink, un batterista olandese che spesso sembra portare la sua batteria agli estremi fisici possibili) Bailey e Prévost si muovono l’uno intorno all’altra in ampi archi ampi durante i più di 50 minuti del disco, senza mai fondersi in qualcosa che assomigli alla tradizionale musica collettiva. Allo stesso tempo creano uno spazio tra ciò che fanno come individui, e in quello spazio c’è un pezzo vibrante di pura bellezza luminosa. Sembra proprio che sia proprio ciò che Bailey cerca da un partner.

“Deve esserci un certo grado, non solo di estraneità, ma anche di incompatibilità,” sostiene. “Altrimenti, cosa stai improvvisando? Con cosa e con chi improvvisi ? Devi trovare un punto dove puoi lavorare. Se non ci sono difficoltà, mi sembra che praticamente non ci sia alcuno stimolo nel suonare. Trovo che le cose che mi entusiasmano siano cercare di far funzionare qualcosa. E quando funziona, è la cosa più fantastica. Forse l’analogia più ovvia sarebbe la grana che produce la perla in un’ostrica, o qualcosa del genere.”

In quasi quattro decenni di improvvisazione libera ininterrotta, Derek Bailey ha ricoperto il mondo della musica d’avanguardia di perle, senza mai voltarsi indietro, ma sempre alla ricerca della prossima situazione sconosciuta o di una circostanza improbabile da cui può evocare il suo unico stile di musica bella e inquietante.

Piccola discografia consigliata:

The Topography Of The Lungs (with Evan Parker and Han Bennink)

Derek Bailey & Han Bennink (duo with Bennink)

Daedal (duo with Susie Ibarra)

Ore (duo with Eddie Prévost)

Topographie Parisienne (Dunois, April 3d, 1981) (with Parker and Bennink)

Articolo liberamente tratto, ridotto, aggiustato e tradotto da Burning Ambulance.

Photo: Gerard Rouy

Buone feste a tutti i nostri lettori !

1 Comment

  1. A tutti voi cari Amici della redazione Auguro un Sereno Natale insieme ai vostri cari.

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