Artemis – Arboresque (Blue Note)

Artemis, il super gruppo femminile diretto dalla pianista Renee Rosnes, è una band in continua mutazione: dopo la prima uscita in settetto con la sassofonista Melissa Aldana, la clarinettista Anat Choen e la voce di Cecile Mc Lorin Salvant (“Artemis” del 2020) e la seconda in sestetto con Alexa Tarantino (“In real time” del 2023), alla terza prova si consolida come un quintetto con il nucleo base composto, insieme alla Rosnes, da Ingrid Jensen alla tromba, Nicole Glover al sax, Noriko Ueda al contrabbasso e Allison Miller alla batteria.

Musiciste che singolarmente hanno maturato carriere più che ragguardevoli, alcune con decine di produzioni a nome proprio, (Rosnes e Miller), le più giovani titolari di prestigiose collaborazioni (Jensen nelle orchestre di Maria Schneider e Darcy James Argue, Glover con Christian Mc Bride e Wynton Marsalis, Ueda con Kenny Barron e Ted Rosenthal) riunite in un progetto nato nel 2018, ricavato nelle pause di scritture molto fitte delle singole componenti, che figura oggi fra i più apprezzati e premiati nei vari contest di critici ed appassionati, oltre oceano così come dalle nostre parti.

Artemis è una band in costante evoluzione , con cambi di personale di volta in volta e potrà essere così anche in futuro – spiegava Renèe Rosnes in un’intervista a Downbeat. Fin dall’inizio il suono della band ha progredito per farsi più definito, ed oggi, quando è il momento giusto, si accende una sorta di luce laser che ci porta in una zona di conversazione dove una frase può alterare la direzione della musica. La fiducia e un’ apertura mentale in grado di comprendere reciprocamente le nostre diverse nature musicali hanno condotto a creare musica trascinante.

Ben comprensibili, quindi, le aspettative e l’attesa che hanno circondato “Arboresque” fin dagli annunci della pubblicazione , avvenuta a fine febbraio 2025, e che qui andiamo a raccontare.

Fin dal primo brano “The smile of the snake“, siamo catapultati in una dimensione sonora ben riconoscibile: l’ostinato del pianoforte introduce il tema declamato dalla tromba sordinata alla quale si affianca presto il sax, per lasciare il posto, in un climax crescente, all’assolo penetrante della tromba ed a quello astratto della Resnes, per giungere ad un finale che vede protagonista la batteria. La cura per l’equilibrio e la nitida immagine sonora balza subito in evidenza, così come il mix fra una colta e raffinata narrazione modale e la fisica, esuberante, carica ritmica che caratterizza tutto il contenuto seguente. Musica accuratamente “costruita” sul piano delle strutture, che riserva alle parti improvvisate un ruolo del tutto omogeneo all’insieme, garantendo la convivenza fra forma e libertà. “Komorebi” prosegue inizialmente in una chiave più dimessa il discorso iniziale, per accendersi presto sul piano ritmico e proseguire sotto la guida del sax e di un avvolgente solo del pianoforte sviluppato con avveduto senso architettonico: tromba e contrabbasso conducono con le rispettive sezioni soliste ad una ripresa del tema iniziale dalle tinte chiaroscurali. Il dualismo di cui sopra si ritrova in altre due composizioni originali: “Olive branch” che conclude la sequenza dei soli con un incisivo intervento della batteria e la conclusiva melodia spiralica di “Little Cranberry“, gentilmente servita da una scansione ritmica latin in aria di Pat Metheny e con un bel solo – sigillo del sax.

Su tutt’altro fronte la ballad intima e notturna “Petrichor“, condotta dalla tromba sordinata e sviluppata in una souplesse quasi onirica, mentre una pulsazione fusion attraversa “Sights unseen” con l’agilissima ritmica, gli incroci dei fiati che innalzano la temperie ed il solo al Rhodes della Resnes

FIn dal primo album una delle chiavi proposte dalla band per sviluppare la propria identità sono state le scelte legate a interpretazioni di brani tratti dal libro degli standards o da altri mondi musicali . Versioni che trasmettono in simultanea l’affetto per composizioni originali e la voglia di trasformarle nel proprio linguaggio.

Se nel primo omonimo album si trovavano in scaletta una “The Fool on the Hill” dei Beatles, e “If It’s Magic” di Stevie Wonder cantata da Cecile McLorin Salvant, oltre al classico di Lee MorganThe Sidewinder“, il secondo si apriva con “Slink,” una composizione del compianto Lyle Mays per chiudersi con “Penelope” di Wayne Shorter.

Qui si torna su Shorter con una brillante versione di “Footprints” nella quale il sax della Glover erompe in un articolato assolo a stento trattenuto nelle maglie armoniche per condurre il finale ad una dinamica coda, e si devia nuovamente verso una fonte pop come “What the World Needs Now Is Love,” di Burt Bacharach, il cui celebre tema, accennato dalla tromba, diventa poco più che un pretesto per un dialogo collettivo fra le sei musiciste ispirate dalla Dea greca della caccia.

Ve le proponiamo di seguito, nella formazione attuale ed in gran forma, in uno show di oltre sessanta minuti proveniente dal Jeystone Corner di Baltimora nel 2023.

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