Per lungo tempo, Susan Alcorn ha vissuto una doppia vita. Di notte, suonava nelle sale da ballo e negli honky-tonk di Houston, in Texas; di giorno, si rintanava da sola per studiare jazz d’avanguardia e improvvisazione libera. Il suo strumento preferito, la pedal steel guitar, era associato al country e al western ed era praticamente sconosciuto in altri generi. Alcorn tenne separate le sue esibizioni professionali dalle sue ossessioni private finché, per caso, i ruoli si invertirono. Al momento della sua scomparsa, nel gennaio del 2025, aveva reinventato sia se stessa che il suo strumento, dimostrando che la pedal steel poteva essere adattata a qualsiasi stile musicale.
Alcorn nacque a Cincinnati, Ohio, e trascorse la sua giovinezza in diverse città dell’Est e del Midwest: Allentown, Pennsylvania; Orlando, Florida; e Chicago, Illinois. Era un’ascoltatrice vorace fin da bambina, con gusti che spaziavano dai Beatles a Brahms, fino a John Coltrane ed Edgard Varèse. Crescendo, suonò diversi strumenti, ma si ritrovò attratta dagli strumenti a corda a scorrimento: prima la chitarra a collo di bottiglia, poi la chitarra hawaiana, infine il Dobro. Infine, a 20 anni, Alcorn vide un suonatore di pedal steel esibirsi in un club di DeKalb, Illinois. Dal suo punto di osservazione, le corde non si vedevano; sembrava che la barra scivolasse magicamente nell’aria, evocando note dal nulla. Andò subito a comprarne uno.
La pedal steel guitar è uno strumento strano, difficile da suonare e difficile da imparare. È dotata di pedali e leve a ginocchio da azionare mentre la mano destra pizzica le corde e la sinistra fa scorrere una barra lungo il manico orizzontale fretless. Negli anni ’70, non esistevano manuali di istruzioni, né corsi nelle scuole di musica, e pochissimi insegnanti disposti ad accettare studenti. Come donna, Alcorn ha dovuto affrontare ancora più ostacoli. “C’erano alcuni uomini che suonavano, ma la cultura attorno a quello strumento e alla musica country, soprattutto nell’area di Chicago, era quella di chi conosceva e non voleva condividerla”, ha dichiarato a The Wire nel 2020. Così ha imparato da sola, affidandosi al suo orecchio e alla sua determinazione, ripetendo gli assoli di pedal steel sui suoi LP preferiti di musicisti come Buddy Emmons, Lloyd Green e Jimmy Day.
Nel 1981, Alcorn si trasferì a Houston e trovò subito lavoro. I bravi chitarristi pedal steel erano rari, e la mania per la musica country seguita a Urban Cowboy (1980) di John Travolta fece sì che i concerti fossero numerosi. Anche la città era in piena espansione, finché le possibilità di concerti andarono’ in crisi. Un calo dei prezzi del petrolio alla fine degli anni ’80 fece sì che la scena culturale di Houston iniziasse a risentirne. Alcorn trovò lavoro come supplente per compensare la mancanza di entrate nella scena country. Si ritrovò a dedicarsi ai suoi interessi più eccentrici nello studio personale del suo strumento. Un incontro chiave avvenne nel 1990, quando Alcorn fu una delle prime studentesse dei ritiri di Deep Listening di Pauline Oliveros. Dopo questo incontro, “Ho iniziato a vedere la nota stessa come solo un aspetto di qualcosa di molto più ampio, che includeva gli armonici, le sovrapposizioni, i silenzi”, spiegò in seguito .

Un momento chiave della carriera di Alcorn arrivò nel 1997, durante una serie di concerti a Houston chiamata 12 Minutes Max , in cui i musicisti erano invitati a esibirsi a loro piacimento, senza restrizioni, per 12 minuti. Alcorn improvvisò sulla pedal steel senza alcuna preparazione. La trovò una rivelazione. “Era come suonare nuda, senza un posto dove nascondersi: niente altri musicisti, niente musica, progressioni di accordi, armonie, ecc. Ed è stato allora che ho capito che questo era ciò che volevo fare”, ha dichiarato in un’intervista . Quel breve concerto è stato un punto di svolta. In seguito, la sua vita da musicista dal vivo nei bar dei cowboy dell’East Texas sarebbe stata eclissata da una crescente reputazione internazionale come innovatrice nella musica sperimentale e free improv.
A metà degli anni 2000, Alcorn aveva ormai esaurito le possibilità musicali che poteva offrire Houston. Il suo saggio del 2006 “The Road, the Radio, and the Full Moon” offriva un brillante tributo alla scena country degli anni ’80, nonché un feroce attacco ai media che tifavano per la guerra in Iraq . Fortunatamente, trovò un lavoro come insegnante a Baltimora che le permise di immergersi completamente nel lato più sperimentale dei suoi interessi musicali. Dalla sua nuova base, Alcorn iniziò a suonare su e giù per la costa orientale, stringendo contatti con figure chiave dell’improvvisazione, del free jazz e del rock. La sua lista di collaboratori presto includeva luminari di generi che non potrebbero essere più lontani dalle sue radici nel western swing: Joe McPhee e Ken Vandermark ; Chris Corsano e Bill Nace ; Leila Bordreuil e Ingrid Laubrock .
Negli ultimi 25 anni, Alcorn ha rivoluzionato la pedal steel guitar, trasformandola da un’anomalia al di fuori della musica country in uno strumento autonomo, adattabile a molti altri generi. La pedal steel, come ha ripetuto per tutta la sua carriera, è ancora agli inizi, con tutte le sue possibilità ancora inesplorate. Alcorn ha immaginato le numerose direzioni che potrebbe ancora prendere: “Di notte, a volte sogno cose che non sono immediatamente realizzabili, almeno per me”, ha detto a The Quietus . “Un koto di pedal steel , un gong di pedal steel, una steel guitar in ottone, un’orchestra di gamelan di pedal steel in cui ogni corda è un tamburo diverso, cose del genere”. Siamo ancora lontani dal realizzarne il pieno potenziale, ma nessuno ha fatto più di Susan Alcorn per espandere gli orizzonti della pedal steel guitar.
“La musica che suono e che suono da anni si sviluppa fondamentalmente in quattro direzioni: la composizione e la registrazione della mia musica, l’adattamento di brani avventurosi scritti da altri che mi parlano in modo personale, l’improvvisazione libera con musicisti affini e le collaborazioni con musicisti più emarginati, ai margini della musica e della società, che hanno cose importanti da dire”, ha detto Alcorn a proposito del suo lavoro. Di seguito, una selezione dei suoi album per ciascuna di queste categorie, in ordine cronologico.
Fin qui il ritratto scritto da Matthew Blackwell, e da me tradotto , sulle pagine di Bandcamp. Un vero invito alla conoscenza di questa straordinaria e poco conosciuta musicista. Nel link che trovate a seguire la versione in lingua inglese dell’articolo e la guida all’ascolto di sette album che vedono Susan protagonista. Bun ascolto, vi assicuro ne vale la pena.
https://daily.bandcamp.com/lists/susan-alcorn-pedal-steel-album-guide
