Fine anno si avvicina, e con essa il tempo dei riepiloghi e delle Best List. Tra poco ogni sito web, ogni magazine e anche i maggiori quotidiani americani e inglesi compileranno il loro elenco dei migliori album del 2018. Primo in ordine di tempo e di rilevanza giunge il New York Times per mano del critico jazz Giovanni Russonello che stila venti nomi, quelli che a suo insindacabile giudizio rappresentano il meglio della stagione e che riporto a fine post.
Come sempre in questi casi metto le mani avanti e inizio dicendo che tutti i Top Jazz sono espressione dei gusti di chi li compila, non necessariamente rappresentano la complessità e la varietà di quelle musiche e di quei musicisti assemblati più o meno correttamente sotto l’etichetta “jazz”.
Quindi è necessario adoperare il buon senso, non scagliarsi indignati contro il critico di turno se manca il proprio beniamino nell’elenco compilato, e, ancor meglio, dare il giusto peso e la corretta importanza all’orgia di titoli e nomi che a breve ci sommergerà.
Detto questo, e giusto per contraddirmi immediatamente, leggendo la playlist di Russonello non posso non notare la mancanza di titoli e nomi decisamente importanti con la contemporanea presenza di altri, molto più sponsorizzati dal marketing e dai media ma di impatto decisamente meno congruo.
I nomi ?
Tra coloro che inspiegabilmente mancano ne citerò almeno tre:
Steve Coleman and Five Elements – Live al Village Vanguard vol. 1
J.D. Allen – Love Stone
Orrin Evans and The Captain Black Big Band – Presence
I sopravvalutati ?
Ne dirò solo uno, anzi, una: Esperanza. Grande musicista senza dubbio ma, almeno discograficamente e a suo nome, non è mai andata oltre un pop elegante e raffinato. Ottimo per sottofondi e per insonnia.
Andando al link del NYT è possibile leggere i brevi giudizi che Russonello dà ad ogni album scelto e, insieme a fotografie dei musicisti, è possibile ascoltare brani tratti dai compact ed una compilation degli stessi ascoltabile su Spotify.
- Wayne Shorter, ‘Emanon’
- Ambrose Akinmusire, ‘Origami Harvest’
- Logan Richardson, ‘Blues People’
- Esperanza Spalding, ‘12 Little Spells’
- Miles Okazaki, ‘Work’
- Sam Harris, ‘Harmony’
- Andrew Cyrille, ‘Lebroba’
- James Brandon Lewis/Chad Taylor, ‘Radiant Imprints’
- Myra Melford’s Snowy Egret, ‘The Other Side of Air’
- Justin Brown, ‘Nyeusi’
- Harriet Tubman, ‘The Terror End of Beauty’
- Allison Miller and Carmen Staaf, ‘Science Fair’
- David Murray featuring Saul Williams, ‘Blues for Memo’
- Keith Jarrett, ‘La Fenice’
- Sylvie Courvoisier Trio, ‘D’Agala’
- Makaya McCraven, ‘Universal Beings’
- Walking Distance featuring Jason Moran, ‘Freebird’
- John Hollenbeck Large Ensemble, ‘All Can Work’
- Henry Threadgill 14 or 15 Kestra: Agg, ‘Dirt … and More Dirt’
- Cécile McLorin Salvant, ‘The Window’
Link:
https://www.nytimes.com/2018/12/06/arts/music/best-jazz.html
Beh, sulle esclusioni si può convenire (ma l’eccellente ‘Presence’ di Orrin Evans è arrivato solo qualche settimana fa…) ed anche sulle sopravvalutazioni, ma la ‘NYT list’ rivela in media un notevole buon gusto e parecchia attenzione ed apertura. Tremo (o nel migliore dei casi sbadiglio… ) al pensiero di analoga lista stilata dalla Repubblica di oggi. Infine, scusino l’immodestia, ma NYT segnala parecchi dischi che il qui presente “mucchietto selvaggio’ aveva già segnalato/recensito nei mesi scorsi….. adesso che ci penso (segue). Milton56
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Suggerisco anche questa lista, diversa ma egualmente stimolante : https://www.popmatters.com/feature-best-jazz-of-2918-2622091880.html?rebelltitem=6#rebelltitem6
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