(ancora) Musica del nostro tempo

E’ la seconda volta nel giro di pochi mesi che viene pubblicato un disco con un titolo rivolto a collegare la musica contenuta al periodo attuale. Prima, anche se con prospettiva temporale più ampia, “Music from the early 21st century ” (RareNoise records) del trio Jamie Saft, Nels Cline e Bobby Previte,  ora questo “Music of our times” (Moon June records) a nome del polistrumentista inglese Gary Husband e dello specialista di touch guitar tedesco Markus Reuter. Che sia frutto di circostanze  casuali o dell’esigenza diffusa di fissare nella storia anche con le note questi periodi o mesi terribili, è materia di interpretazione. Di sicuro il caso (ed il Covid 19) ha giocato un ruolo determinante nella genesi di questo disco, improvvisato nello studio NK sound di Tokio il 3 marzo 2020 in una session estemporanea pomeridiana all’alba della pandemia mondiale ed all’indomani della notizia dell’annullamento del tour asiatico degli Stick Men, spin off dei King Crimson di cui Husband e Reuter sono membri, insieme a Tony Levin e Pat Mastellotto. Appresa la notizia della sospensione dei concerti,  l’inarrestabile manager della Moon June, Leonardo Pavkovic che accompagnava il gruppo, non si è perso d’animo ed ha allestito, con l’aiuto di addetti ai lavori locali, una seduta di registrazione con un sontuoso pianoforte, la chitarra e l’elettronica di Reuter. Il risultato, se restiamo fedeli al titolo, è una visione all’opposto di quella di Saft e co., sebbene entrambe le registrazioni abbiano in comune la natura totalmente improvvisata, e rappresentino nel modo più naturale e fedele il sentire del momento dei musicisti:  là un universo sonoro popolato da vulcani eruttanti elettricità e psichedeliche visioni,  qua una pianura  ambientale percorsa delle rarefatte ed effettate note del pianoforte di Husband e dai dialoghi con la discreta e sottile chitarra di Reuter. Musica che trova un suo ritmo, nella assenza di pulsazione, nella reiterazione ricorrente delle frasi melodiche (Colour of sorrow), nell’alternanza fra silenzi e spazi sonori saturati da un’avvolgente elettricità, (Music of our times)  in un generale clima di assorta e profonda concentrazione in cui nasce anche “White horses“,  dolente omaggio al chitarrista inglese Allan Holdsworth scomparso da poco. Solo al termine, con la conclusiva “Illuminated heart” il clima di tensione tende a rasserenarsi, con il pianoforte che conduce un andamento narrativo più fitto, lasciando sul terreno palline di mollica blues e jazz.  Molti i riferimenti proponibili, dai lavori ambient di Brain Eno e David Sylvian alle avventure di Eno in duo con Robert Fripp, fino ad alcuni episodi del Keith Jarret più rarefatto. Ma lo spirito libero ed intimo che alimenta  questo lavoro, forse favorito dalle circostanze di tempo e spazio, traspare all’ascolto in modo evidente, connotando “Music of our times” come esperienza unica. Forse irripetibile.

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