Porta le radici fra le stelle

Un avvolgente e magnetico groove imbastito dal basso e dal vibrafono, poi le frasi incalzanti ed evocative, quasi cerimoniali,  scandite dai fiati . Quindi una cesura, un break, che introduce una diversa e più sciolta scansione ritmica, su cui si innesta un concitato solo del flauto, accompagnato da echi dell’atmosfera iniziale, che ritorna a dominare il finale, trasformandosi in un fraseggio più esteso ed articolato.

Inizia così “Take root among the stars“,   (bellissima frase tratta dal libro The Parable of the Sower, della scrittrice afroamericana di science fiction Octavia E. Butler, attribuita al manifesto fondativo di una religione immaginaria denominata Earthseed), dei Roots Magic, gruppo fondato a Roma nel 2013. Il brano è “Frankiphone Blues” di Phil Cohran, trombettista nell’orchestra di Sun Ra a fine anni ’50,  ed è un inizio che non può lasciare indifferenti, come tutto il terzo album del quartetto italiano pubblicato dall’etichetta Clean Feed.  Un ulteriore passo in avanti rispetto al primo “Hoodoo Blues & Roots Magic” (2015) ed al successivo “Last Kind Words” (2017) in quel progetto originale e senza compromessi che si propone di accoppiare materiale del blues arcaico degli anni ’20 e ’30 ed autori quali Charley Patton, Blind Willie Johnson, Skip James, a composizioni ed approccio tipici del free jazz,  assumendo come riferimenti i nomi di Sun Ra, Roscoe Mitchell, Henry Threadgill, Pee Wee Russell, Ornette Coleman. Nelle otto tracce del disco, Alberto Popola (clarinetti), Errico De Fabritiis (saxes) ,  Gianfranco Tedeschi (basso)  e Fabrizio Spera (batteria) con gli ospiti Eugenio Colombo ai flauti e Francesco Lo Cascio al vibrafono, riescono  a rendere esplicita ed attuale, attraverso la rivitalizzazione del repertorio scelto, integrato da sezioni autografe inserite nel tessuto dei  brani, tutta la forza espressiva ed il feeling brutale di una musica amata ed omaggiata come elemento di crescita personale.

Nel disco convivono lo spirito libero inconoclasta e le informali dialettiche del free con il battito secco e le reiterazioni del blues, in un gioco dei contrasti che rende l’ascolto un’esperienza imprevedibile: ci si può esaltare per un groove ritmico ed un momento dopo trovarsi in una terra di nessuno dove il dialogo fra i fiati  è spigoloso ed urticante, oppure assecondare la distanza dalla struttura formale di un passaggio, e ritrovarsi nel brano successivo ad accarezzare con la mente una melodia baciata dal dono della grazia. Succede tutto così, in modo naturale, nello svolgimento di un racconto che attraversa le otto tracce fino alla conclusione affidata al clarinetto calato in una straniante atmosfera ambientale di “Karen on monday” di John Carter: dalle ondate free di “Humility In The Light Of Creator” di Kalaparusha e dagli incastri geometrici fra i fiati di “Still Screaming For Charles Tyler” del baritonista statunitense, che brucia poi in un intenso fuoco acceso dal sax e dal clarinetto oltre la metà del suo svolgimento, al blues tagliente e dinamico  di “Devil Got My Woman” (Skip James), introdotta dal basso di Tedeschi e chiusa nel ripiegarsi dei fiati in  un epilogo dominato dalle percussioni,  fino alle esaltanti reiterazioni ritmiche di “Mean Black Cat Blues” di Charley Patton. Poi ci sono i brani di Ornette, “A Girl Named Rainbow“, del 1978, già interpretato da Andrew Cyrille, e di SunRa, “When There Is No Sun“. Il primo, una  lenta e progressiva costruzione di un tema che, nella sua compiuta esposizione, arriva dritto al cuore. Il secondo, un viscerale riff blues che a metà subisce una metamorfosi free e prosegue in modo simbiotico  fra le due componenti, a rappresentare quasi simbolicamente l’anima di Roots Magic.

Uno dei dischi più vitali e stimolanti  ascoltati quest’anno. E bello, davvero, che questo scavo nelle radici ed ascesa fra le stelle afroamericane sia opera di un gruppo tutto  italiano.

 

 

 

2 Comments

  1. Tutti e tre i capitoli per CleanFeed sono notevoli. In quest’ultimo c’è la presenza di Eugenio Colombo, maestro romano piuttosto misconosciuto ma di assoluta grandezza. Visti in concerto due inverni fa: una macchina di ritmi e di soluzioni all’insegna della musica nera senza compromesso alcuno. Tra i migliori gruppi in Italia, e nonostante questo, purtroppo, ancora troppo poco conosciuti

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