“Cosa significa “jazz italian style”? Per rispondere basterebbe guardarsi alcuni estratti su You Tube del programma Fine serata da Franco Cerri (1971) dove il chitarrista in uo studio televisivo arredato come un moderno salotto di un alloggio milanese accoglie da perfetto padrone di casa tanti ospiti eterogenei che hanno in comune l’amore per il jazz: tranquilli jazzman, eleganti signore, maliziose ragazze, facoltosi professionisti, quasi una replica dieci anni dopo, della dolce vita felliniana.
E tra Fellini, Luttazzi e Cerri si tratta di un decennio fondamentale per l’italian style di un jazz efficacemente moderno che transita dall’elite verso le masse: di li’ a poco le serate e l’alloggio di Cerri si trasformeranno negli happening e nelle piazze di Umbria Jazz affollata non di ricconi, fighette e snob, ma di giovani, fricchettoni, arrabbiati, marxiti, femministe, in cerca di identità forti anche mediante la musica afroamericana divulgata dallo stesso Cerri.
Guido Michelone, Jazz Sound 1920-2020
Impagabile la selezione di video dell’articolo, tra l’altro ci fa toccare drammaticamente con mano lo scadimento degli standard di qualità del servizio pubblico (?) radiotelevisivo. Mi permetto qualche chiosa, soprattutto per i più giovani: nella foto di testa l’uomo al piano è Piero Angela, grande giornalista e divulgatore scientifico, con un passione mai sopita per il pianismo jazz. Aggiungiamo un’altra pennellata al ritratto d’epoca: Cerri divenne un volto di immensa notorietà grazie al fatto di essersi prestato come testimonial per una fortunata campagna pubblicitaria. Per anni è stato l’ ‘uomo in ammollo’ che immerso vestito di una camicia immacolata pubblicizzava un famoso detersivo. Probabilmente era stato scelto per la sua ‘aria americana’, e soprattutto per l’elegante nonchalance con cui si prestava alla surreale situazione dell’ammollo. Per anni milioni di persone lo hanno visto a bagno nel detersivo in tv e su manifesti affissi ovunque, e probabilmente pochissimi hanno mai saputo che si trattava di un grande e raffinato musicista. Questa vicenda dimostra l’ironia e la creatività con cui quella generazione di jazzmen che tennero a battesimo la rinascita di questa musica negli anni del secondo dopoguerra amministrava la sua figura pubblica ed anche la sua capacità di portare anche in altri campi il disinvolto understatement che è una delle componenti genetiche del jazz (e che tra l’altro lo rende tendenzialmente indigesto al dominante senso comune italiano) . Il confronto con certo ossessivo ed impostato presenzialismo odierno (cosa di pochissimi, si intende…) è anche qui tristemente istruttivo. Ah, dimenticavo: Cerri ha sempre desiderato diventare un grande bassista, ma l’imperscrutabile Provvidenza del Jazz lo ha voluto invece chitarrista. Per nostra fortuna. Milton56
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Cerri ha ricordato qualche anno fa che quel programma fu chiuso dopo una sola stagione.
La RAI non si smentisce mai in fatto di jazz.
Fece anche qualcosa con il figlio, lo sfortunato Stefano, alla TV dei ragazzi tra il ’73 e il ’74. Per quanto riguarda, mi avvicinò al jazz.
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BLUES PER GAETANO
Incrociando la propria storia di musicista e docente con quella più che secolare della musica afroamericana, Gaetano Liguori accompagna il lettore, con eleganza e leggerezza dâesposizione, in un percorso che attraversa il jazz in maniera originale e al tempo stesso puntuale ed esauriente. Questa vertiginosa espressione artistica che si è evoluta con rapidità novecentesca, viene doverosamente affrontata secondo una prospettiva culturale che esamina i suoi snodi cruciali, coniugando le informazioni riguardanti le epoche stilistiche che si sono succedute, i profili dei suoi virtuosi protagonisti, i nuovi orizzonti teorici, le rivoluzioni estetiche. In ognuno di questi passaggi il pianista e compositore esamina e sottolinea il ruolo fondamentale ricoperto dal jazz nelle tormentate lotte di emancipazione sociale, di cui è stata la più irrequieta ed identitaria tra le colonne sonore possibili. Questa sensibilità umanistica ha nutrito la lunga esperienza artistica di Liguori che pertanto si iscrive al filone del jazz militante, quello che sta irriducibilmente dalla parte delle rivendicazioni sociali. Una posizione tuttâaltro che teorica o passiva, ma esposta generosamente con il contributo palpitante dei propri contenuti musicali, sempre presenti laddove è necessario sostenere una causa giusta con passionalità . E le pagine di questo libro sono illuminate dal nucleo inesauribile di questa passionalità che fa di Gaetano il più partenopeo dei milanesi, ma con risvolti di intraprendenza progettuale che lo distinguono altresì come il più milanese tra i partenopei. A proposito di Milano, lâaneddotica che Gaetano intercala ai passaggi più musicologici senza sentimentalismi, ci fa respirare quellâaria di fantasia al potere che attraversava le sue strade durante gli anni â70, animando le università , sconvolgendo le fabbriche, intrecciandosi con il fumo delle sigarette in locali affollati di giovani. Unâaria ossigenata dal jazz che stava scrivendo la storia del costume di unâepoca, con una vitalità generazionale ancor poco documentata. Per questo corposo concerto di circostanze, La mia storia del jazz, non è unâaltra storia del jazz che si aggiunge alla preziosa biblioteca raccolta intorno a questo affascinante soggetto. à invece una storia âaltraâ sul Jazz, raccontata da un artista che lâha vissuta e la vive da protagonista, sapendola elaborare con intuizioni di pensiero, finezza di erudito, esattezza di accademico, custodendo la gioia irrazionale del bambino in estasi per un blues dedicato a Dracula, mentre nella casa straripa il profumo indimenticabile del ragù domenicale preparato dalla nonna.
M° Franco Finocchiaro
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