L’aurea mediocrità

Lo scorso anno Alex Britti, Simple Minds, Fiorella Mannoia, Noa. Quest’anno va meglio ma siamo sempre dalle parti dell’usato sicuro, senza offesa per i molti bravi musicisti invitati, per non dire poi di una linea programmatica del festival che è semplicemente assente.

Pare un affastellamento di nomi messi insieme alla rinfusa e con un solo occhio di riguardo, quello degli incassi. Va tutto bene per fare contento il botteghino, un pò meno per uno sguardo sulla contemporaneità della nostra musica.

Difficile comprendere a quale titolo, se non per attirare un pubblico pagante che con il jazz ha poco a che vedere, compaiono i nomi di Damien Rice o dei Jethro Tull.

Questi ultimi non dicono niente di nuovo da mezzo secolo, e anche allora erano una imitazione di jazzisti che ad onta della loro vera originalità erano molto più sfortunati in quanto a guadagni.

Insomma, a conti fatti siamo nella aurea mediocrità che contraddistingue la maggior parte dei festival. Ovviamente non leggerete mai un commento simile su nessun media dedicato, e d’altro canto nei commenti su Facebook prevale largamente l’entusiasmo per “l’ottimo cartellone”. De gustibus, naturalmente, ma spettatore avvisato….

5 Comments

    1. Pensavo di non aver toccato la proverbiale suscettibilità dei musicisti italiani, invece mi sbagliavo, come leggo sui commenti al post in Fcbk. Eppure mi sembrava di essere stato chiaro: non una critica mirata ai musicisti quanto alle scelte del cartellone. Un cantante pop, un gruppo rock del paleocene, uno sconosciuto gruppo di ignota classificazione. Il tutto mischiato a ottimi jazzisti con una logica difficile da comprendere. Poi, sempre su Fcbk, mi si chiede di proporre nomi, visto che pare disdegni i prescelti. Bè, e mi ripeto lasciando volutamente fuori gli italiani a scanso di duelli rusticani, stimo molto DeeDee e la Reeves, bene gli Snarky, ma avete presente quali sono i nomi più nuovi e interessanti del panorama americano? Bene, a Pescara e non solo, non pervenuti. Per dettagli sfogliare i programmi di Lisbona, Novara, Saalfelden, eccetera….

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  1. Ricordo uno sdegnato e in fondo persino divertente in taluni passi reportage di Polillo, finito poi nel suo “Stasera jazz” , sul festival di Newport del ’69.
    Certo purismo non mi ha mai convinto e mi pare che anche qui in Europa, dove siamo più inclini alla compartimentazione a tenuta stagna, il buon Claude Nobs a Montreux, peraltro già negli stessi anni di Newport, se ne curasse poco.
    Il cartellone di Pescara cerca più prosaicamente di raggiungere pubblici diversi per età ed interessi e pur constatando una certa mediocrità di fondo, allinea alcuni artisti di tutto rispetto soprattutto nella parte femminile.
    Il contesto italiano fatica a uscire da una dimensione piuttosto provinciale dove, banalmente, si conosce poco la scena americana attuale così estremamente composita. Per cui sarà ben difficile che a Pescara (e non solo lì) potremo mai ascoltare il San Francisco Jazz Collective, Mary Halvorson o Anat Cohen.
    Tutto sommato c’è ben di peggio, se pensiamo che nel Basso Piemonte in una rassegna che si fregia della parola jazz si esibiranno la prossima estate Niccolò Fabi e Carmen Consoli con Marina Rei.

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  2. In ordine sparso (vado a memoria, ne salterò qualcuno) Rita Marcotulli, Dee Dee, Dianne Reeves, Snarky Puppy, Marcus Miller, Gabriele Mirabassi, Roberto Gatto: se questa è mediocrità, ben venga. Con il massimo rispetto, l’unica critica che potrei in parte condividere è la scarsità di proposte “di avanguardia”, fermo restando che vecchio è (anche) bello… E semplicemente non andrò ad ascoltare Damien Rice, forse sì i Jethro Tull… Spesso mi sono imbattuto, nella mia lunga carriera, in festival cervellotici con proposte molto programmatiche e… altrettanto noiosi.

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  3. Certo, se si sfogliano gli annali di questo festival (uno dei più antichi d’Italia, 1969), si trova ben altro. Ricordo una calda serata del 2007 in cui sul paalco sfilarono in una volta sola Meldhau/Metheny, la big band di Tolliver ed addirittura Ornette Coleman. Però bisogna considerare l’onda lunga del trentennio di omologazione televisiva che ha orientato il pubblico verso proposte di più agevole leggibilità. Pubblico che d’altra parte sta anche invecchiando….. Le proposte ‘di nicchia’ richiedono ambienti raccolti e dedicati (non certo le grandi arene estive), ed anche un pubblico consolidato che non si crea in poche serate estive, ma con un paziente e continuo lavoro di semina. Sul versante dei musicisti, va poi osservato che nell’avanzare proposte di ricerca bisogna aver la sensibilità di entrare in sintonia con il pubblico che di volta in volta ci si trova davanti (di qui la necessità di ambiti raccolti e protetti) e soprattutto presentarsi sul palco con realizzazioni compiute. Come diceva un musicista italiano cui offrirei volentieri una cena se mi ricordassi chi è, “gli esperimenti si fanno a casa, sul palco si va con i risultati….” Milton56

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