Pat Metheny – “Dream box”

Ricordo distintamente, alla fine degli anni ottanta, di avere ascoltato in diretta uno sbeffeggiamento dei dischi del Pat Metheny Group di quel periodo da parte di alcuni, evidentemente, ex -fans. Era l’epoca di ” Still Life (talking)” , “Segret story” e, qualche anno dopo, “We live here”. “E’ diventata musica per ascensori di hotel di lusso“, se non vado errato, era quel responso lapidario espresso fra le mura di un negozio di dischi. Pur patendo qualche vocalizzo e qualche “Last train home ” di troppo, non ho mai condiviso quei giudizi, ed ho continuato a seguire le tracce di Pat nella speranza di ritrovare la magia di opere come “80/81” o “Travels“; il periodo successivo ha registrato, per il sorridente chitarrista di Kansas City , una costante scalata a vette creative sempre più ambiziose, dai dischi con Joe Scofield , Charlie Haden e Jim Hall alle collaborazioni con Brad Meldhau, dal trio con Larry Grenadier e Bill Steward all’invenzione dell’Orchestrion, ed allo stupendo live del 2009 con Gary Burton, Steve Swallow ed Antonio Sanchez, dal gruppo Unity alle recenti produzioni del progetto “Side Eye” a fianco di più giovani colleghi. Una vera valanga di produzioni, complessivamente giunte, con l’attuale Dream Box“, (modern recordings) ad oltre quota cinquanta.

Il nuovo album, con titolo che allude alternativamente al soprannome della chitarra hollow body e ad una scoperta di vecchi brani in un folder dimenticato, quasi una scatola dei sogni, appunto, è il quinto di chitarra solista per Pat, ed è un lavoro poco assimilabile ai precedenti. Se “New chautaucqua” del 1979 era un campionario dei mondi a venire di un giovane one- man band e “Zero tolerance for silence” (1994) un radicale esperimento noise, le due raccolte dedicate alla chitarra acustica, “One quiet night” del 2003 e “What’s it all about” del 2011, si presentavano principalmente come collezioni di covers di celebri brani di altri autori. Qui protagonista assoluta è invece la chitarra elettrica, e sei dei nove brani sono originali di Pat, due standards, “I Fall in Love Too Easily” di Jule Styne , “Mourning of the carnival” ovvero “Manha de carnival ” di Luis Bonfà ed Antonio Maria, ed una cover, “Never was love “ del pianista di Kansas City Russ Long.

Partiamo proprio da quest’ultima per farvi ascoltare, nel confronto con l’0riginale, come Pat riesca a trasformare un soft funky pop da bordo piscina in un raffinato e sognante brano ricco di tutte le nuances cui ci ha abituato il suo stile.

Il brano è anche uno dei più movimentati di un album che si apre e si chiude con due composizioni dai titoli evocativi e dai toni profondamente melanconici : “The waves are not the ocean“, con la sua melodia trattenuta ed il canto altissimo dell’assolo, e “Clouds can’t change the sky“, costruita su un tema elaborato seguito da successivi ricorrenti accumuli armonici che ispirano immagini oniriche. “From the mountains” esplora zone ancora più scure, con una struttura a due voci, arpeggio e solista, che esplicita in modo suggestivo le capacità narrative della chitarra. Quindi la tipica melodia metheniana di “Ole & Grad“, quasi un archetipo di molte altre composizioni già ascoltate, ma qui riportata nella sua struttura essenziale, ornata di un assolo che oscilla fra velocità e sospensione, poi la tenera, quasi sussurrata, invocazione di “Trust your angels” con il suo incedere ellittico, e quindi una “P.C. of Belgium” dall’incedere ostentato ed iterativo.

Infine i due standards. “I fall in love too easily” evoca la vena profondamente intimista delle celebri versioni di Bill Evans o Chet Baker, nonostante Metheny dichiari di essersi ispirato alle molte interpretazioni di Miles Davis, e “Mourning of the Carnival” rispetta molto fedelmente il tema originale del film “Orfeo Negro” (1959 di Marcel Camus, un veicolo per la diffusione mondiale della bossanova), per aprire poi ad una incandescente seconda metà popolata di assoli e di blues .

Un disco che richiede ripetuti ascolti per penetrare le sottili strategie interpretative dell’autore, spesso articolate su piani paralleli o intersecati, e che ripaga con uno sguardo ravvicinato sull’essenza dell’arte di Pat Metheny.

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