La serata di venerdì è fortemente penalizzata dal forfait di John Zorn, rimangono due concerti, a parte naturalmente i gruppi dei musicisti sloveni, peraltro piazzati in orari difficili e comunque sacrificabili in una visione complessiva, in cui spostamenti, caldo, stanchezza e scelte prioritarie hanno facilmente la meglio. Nella organizzazione impeccabile del festival, massimo una decina di minuti di ritardo sugli orari programmati, la pecca sta nella scelta poco comprensibile della location delle ultime due giornate. Non tanto perché all’aperto, ma perché non previsti i posti a sedere, manco fossimo ad un festival rock, con disagi evidenti per tutti (e non solo per noi appassionati agee). Oltretutto abbiamo visto teatri e sale concerti meravigliosi qui a Lubiana, non capisco questa mancanza di attenzione verso il pubblico.

La cronaca del venerdì è abbastanza semplice: in prima serata sul palco si esibisce il quintetto della cantante e contrabbassista Selene Saint Aimé, un gruppo misto con musicisti provenienti da Cuba, Guadalupe e Martinica. Un jazz semplice di sapore afro caraibico, ma nonostante la bellissima voce e le buoni doti della leader la formazione non decolla, troppo acerba e priva di mordente per incidere veramente.

Il fuoco che palesemente mancava nel gruppo di Selene, arriva travolgente con il quartetto di Immanuel Wilkins. Micha Thomas giganteggia al pianoforte e la sezione ritmica, Matt Brewer al contrabbasso e Kweku Sumbry alla batteria, spinge implacabilmente, lasciando al sax del leader gli spazi solistici, improntati ad una moderna e radicale visione post free. Great black music.

L’ultima sera propone due gruppi tra loro molto diversi ma di grande sostanza e divertimento. Se la palma per raffinatezza e qualità va a Eternal Love di Roberto Ottaviano, quella per il concerto più divertente (dell’intero festival) spetta senza dubbio al quartetto di Theon Cross.

Ottaviano dispensa una mistura di brani dei grandi del passato (Don Cherry, Steve Lacy) a originali, alterna fuoco e swing, e sorprende con un intervento vocale in stile Armstrong. Classe e intelligenza, solisti di prima grandezza che non perdono mai di vista lo sviluppo collettivo e l’armonia degli insiemi. Meritavano certamente un pubblico più caldo e numeroso, ma, ahimè, le folle accorrono solo per proposte facili e meno impegnative.

Chiude il festival il quartetto di Theon Cross, uno dei protagonisti della nuova scena londinese. Il basso tuba non è strumento facile, ingombrante e dalle sonorità cupe, ma nelle braccia di Theon diventa agile dispensatore di un ritmo infernale. Le vibrazioni del suono scuotono , incalzano e coinvolgono rapidamente il pubblico e alla festa contribuiscono l’ottimo batterista Patrick Boyle, il notevole chitarrista e bassista elettrico Nicolas Ziakras, autore di un intenso momento in solitudine, e la vera sorpresa della serata, la tenor sassofonista Chelsea Carmichael, dispensatrice di un suono caldo e pulito e di assoli pregevolissimi.

Di Cross è difficile dire qualcosa di nuovo, la sua fisicità è impressionante così come la facilità della gestione dello strumento. Richiamati a gran voce, piazzano un bis terrificante su un tempo reggae che fa muovere gambe e ciondolare teste a tutti i presenti.

Concludendo, l’esperienza del festival è stata di gran lunga positiva, così come la conoscenza di una città bella, giovane e accogliente. Jeff Parker la proposta più sorprendente, Theon Cross la più divertente. Wilkins, Eternal Love, Lakecia Beniamin e il trio con Agusti Fernandez le altre punte della sessantaquattresima edizione del festival .

E come sempre grazie
"Mi piace""Mi piace"