La sostituzione etnica

Piano piano il dissenso aumenta, le voci fuori dal coro si fanno sempre più pressanti e numerose, il tradimento della storia originaria di Umbria Jazz è palese, il business impera, i media pascolano nell’ ignoranza musicale, e così come sostiene il ministro dell’ Agricoltura Francesco Lollobrigida, sta avvenendo la sostituzione etnica: non più jazzofili , solo pubblico generalista di bocca buona per eventi di indubbio impatto numerico ma di scarso significato musicale .

E, come diceva Leonard Feather, “gli affari sono affari, il jazz è arte, e raramente le due cose si incontrano.” A Perugia non si incontrano da troppo tempo.

Per un jazzofilo la rassegna perugina offre da molti anni praticamente gli stessi protagonisti pescati da un elenco di non più una trentina di nomi. Poche o nessuna novità, nessuna ricerca di quanto di nuovo avviene di qua e di la dell’Oceano. Ovvio che a colpi di Mika, di Kraftwerk e di epigoni similari se non peggio, un appassionato volga lo sguardo altrove, anche parecchio seccato dal trito ritornello che vuole bardi, nani e ballerine richiamare folto pubblico per poi proporre con gli incassi realizzati jazzisti di vaglia e nuovi nomi emergenti ( ma quali, ma dove, ma chi? I sempiterni Bollani, Rea, Mehldau, Marsalis, e per carità , nessun pollice verso, anzi, ma per fortuna esiste anche altro, ma tocca rivolgersi ai pochi festival degni di tal nome che sanno dragare il nuovo e proporre con coerenza e impegno).

Le cronache del concerto di Dylan si spaccano tra l’ adulazione a prescindere e la cruda realtà di un menestrello passato dall’ invocazione dello stop alla guerra allo stop ai cellulari degli spettatori, quasi temendo che questi, annoiati e impossibilitati dal decifrare il canto del vate, alla lunga gli preferissero chattare sui social.

In questo periodo leggo su Fcbk programmi di (cosiddetti) festival jazz che sfiorano il comico e/o sfondano il noioso. Eppure i commenti sono improntati ad un entusiasmo degno di miglior causa. E noi pochi che ci permettiamo di sollevare obiezioni veniamo immediatamente bollati come puristi. Che dire, perdonate la presunzione, a questo punto meglio puristi che sprovveduti (musicalmente parlando, e forse non solo…)

Qualche cronaca da UJ dal sito Doppio jazz, uno sguardo diverso e poco incline ai peana incondizionati:

https://doppiojazz.it/wp/2023/07/15/con-stewart-copeland-allarena-santa-giuliana-aumenta-la-frattura-tra-umbria-e-jazz/

https://doppiojazz.it/wp/2023/07/08/bob-dylan-allarena-santa-giuliana-di-perugia-no-jazz-no-groove-no-party/

https://doppiojazz.it/wp/2023/07/11/mika-a-umbria-jazz-quellinsopportabile-leggerezza-dellessere/

https://doppiojazz.it/wp/2023/07/09/un-inno-a-bollani-per-la-sua-performance-a-umbria-jazz/

P.S. vediamo se l’amico Milton trova nelle mie parole un ulteriore assist per l’impolitico. Io scommetto di si …

2 Comments

  1. Non conoscevo il blog Doppio Jazz. Per me è stata una piacevole sorpresa vedere il nome di Michelone e e leggere i commenti pungenti di Verrina Cataldo, finora a me sconosciuto.
    Come gìa scritto altre volte, è da tempo immemore che i festival jazz sono diventati sempre più trasversali. Tuttavia, senza lasciarsi prendere dalla nostalgia che contiene qualche elemento di travisamento a volte, un conto erano i Colosseum di Greenslade, Heckstall-Smith e Hiseman nel ’69 a Montreux o persino il blues elettrico di Johnny Winter a Newport o le serate blues ancora a Montreux con Buddy Guy, Bobby Bland ecc… altro sono Mika o “dinosauri” a fine carriera come Dylan: nel primo caso vi è comunque una contiguità che può legare i diversi momenti di un cartellone e sovente una propensione creativa alla contaminazione che qualche fecondo frutto lo ha prodotto; nel secondo o siamo di fronte alla sempiterna riproposizione di artisti avvolti dal “mito” o di furbi professionisti del marketing musicale con qualche talento, ma spesso accuratamente costruiti per andare incontro a gusti semplici se non addirittura grossolani, senza che vi sia neppure il tentativo di salire sul piano della complessità musicale fornendo stimoli di curiosità.

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  2. No, caro Rob, l’assist cade nel vuoto. Il sottoscritto e l’Impolitico sono ancora sotto l’effetto di due magiche notti romane per ritornare su Umbria Jazz Summer, ormai irrimediabilmente una causa persa. L’unica cosa che ancora mi brucia sono i soldi pubblici che puntellano i suoi cachet milionari che rischiano di schiacciare l’edizione invernale di Orvieto che ha ancora qualcosa da dire (e che già nell’ultima edizione ha patito tagli e restrizioni). Quanto a voci fuori dal coro, preferisco quella pacata e basata su argomentazioni oggettive di Luigi Onori (che essendo giornalista professionista e non blogger ha ben altri condizionamenti e vincoli: cosa che rende ancora più fragorosi i suoi silenzi e le sue motivate critiche esplicite).
    https://ilmanifesto.it/a-umbria-jazz-tre-festival-in-uno-per-50-anni-di-musica
    Milton56

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