La notte del sabato prevede in successione due quartetti, Lux di e con Myra Melford e Rob Mazurek con Fabrizio Puglisi, Chad Taylor e Ingebrigt Haken Flaten.Per quanto la stanchezza si faccia sentire, le due performance sono di valore assoluto.

Inizia il gruppo della Melford, con Allison Miller alla batteria, Scott Colley al contrabbasso e Dayna Stephens ai sassofoni, e subito si avvertono le geometrie e la compattezza che contraddistinguono le composizioni delle due musiciste. Straripante la Allison, magnetico Colley, la Melford è perfetta regista mentre a Stephens è delegato il compito di voce principale. Grande set.

Anche il quartetto di Mazurek è in serata di gran spolvero, il leader fa un uso limitato a poche battute delle consuete elettroniche e ci regala un concerto acustico di rara bellezza e pregnanza, con lunghi assoli alla tromba. Puglisi si rivela spalla ideale e la sezione ritmica è semplicemente mostruosa.
L’ultimo giorno del festival offre alla mattina un ricco ventaglio di concerti gratuiti. Per battere il chiodo finché è caldo ci dirigiamo verso una antica birreria, ancora funzionante, sita in un palazzo risalente al 1400. La protagonista è sempre lei, Zoh Amba, l’autentica mattatrice di questa edizione del festival. Si presenta in duo, con il contrabbassista Nick Dunston e, come ormai ho imparato, elargisce un set di rara potenza emotiva e sonora. Per qualche informazione in più su Zoh rimando gli interessati all’articolo a lei dedicato: https://traccedijazz.com/2022/10/29/breve-ritratto-di-zoh-amba/

Il pomeriggio /sera vede altri quattro concerti in programma. Il primo è per i 18 elementi dell’orchestra di Ralph Mothwurf, giovani musicisti austriaci che eseguono partiture e arrangiamenti del leader. Fresco e ben suonato.
L’incontro tra Michiyo Yagi e Hamid Drake purtroppo non è centrato e lascia il tempo che trova. I due si cercano ma solo alla fine trovano un parziale terreno comune. Troppo diverse le culture musicali di provenienza, entrambi volano ma su piani differenti e non riescono a stabilire un contatto duraturo.

Ancora Zoh Amba, questa volta in trio, lo stesso dell’ultimo album, Bhakti, con il funambolico Micah Thomas al pianoforte e Chris Corsaro alla batteria. Si passa da toni arroventati a momenti pensosi in un battibaleno, con un dialogo fittissimo senza respiro.

La degna chiusura del festival è affidata al nuovo quintetto di Dave Douglas. Nuovi temi, molto belli, nuovi compagni di avventura, tra cui spiccano Joey Baron, il solito trascinatore alla batteria, e la voce possente di James Brandon Lewis al tenore. Un po’ intimidita, e forse penalizzata inizialmente da una scorretta amplificazione, Marta Warelis si è via via rinfrancata ben sorretta dall’agile Nick Dunston al contrabbasso. Un concerto potente e raffinato che prelude all’uscita del nuovo album.

All’uscita dall’Auditorium gli organizzatori, il personale e i volontari formano una lunga doppia fila che accoglie gli appassionati con un lungo applauso. Momento bellissimo.
Qualche conclusione finale: il festival ha una lunga storia, molto è cambiato dagli inizi, ma non la coerenza e lo spirito di innovazione e ricerca. Nessun nome preso da pop o rock con la solita scusa dell’allargamento dell’utenza. Non c’è n’è bisogno.
Il pubblico ha risposto decretando un sold out ad ogni concerto, pure a quelli gratuiti sparsi tra la cittadina e le varie locations. Grande anche la partecipazione femminile, in tutto paritaria.
Molto riuscite le idee di coinvolgere la popolazione con concerti gratuiti e di generi diversi nel parco lungo il fiume, nonché i continui flash mob e il food street sapientemente distribuito.
Veniamo alle note dolenti: se è vero che il pubblico ha risposto con continui tutto esaurito, è purtroppo anche vero che la stragrande maggioranza è in età da pensione o ben oltre. Quando la mia generazione sarà passata, per la musica jazz gli spazi si restringeranno ulteriormente, ed è meglio non immaginare come.
Parafrasando ironicamente la celebre frase di Alessandro Baricco, tanto citata quanto profondamente sbagliata, “se non sai cos’è, allora applaudi”, noto che il pubblico ha dispensato applausi più o meno caldi in maniera egualitaria sia ai concerti più riusciti, la stragrande maggioranza, sia ai pochi deludenti. Difficile capire se si tratta di generosità a priori o di scarsa comprensione dell’accaduto.

Lei è bravissima, meravigliosa.
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