Le avventure di un altro Duke

Si dice che a volte il destino di una persona risieda nel nome. Quello di Columbus Calvin Pearson Jr., nato il 17 agosto, 1932 ad Atlanta, sembra invece essere stato indirizzato da uno zio talmente appassionato di jazz e di Ellington da assegnare al giovane nipote studente di pianoforte il celebre nomignolo. Duke Pearson, in realtà, dopo alcuni anni di studio alla tastiera, avebbe preferito dedicarsi agli strumenti a fiato, ed in particolare alla tromba che accompagnò anche, con la militanza nella banda , il suo servizio militare intorno al 1953. Poi un incontro con il pianista Wynton Kelly e, pare, alcuni problemi di dentatura, congiurarono per un ritorno definitivo al pianoforte. E su quei tasti Pearson crebbe e trascorse la sua breve ma significativa carriera, chiusa nel 1980, a neanche cinquant’anni, in conseguenza della sclerosi multipla.

Fu compositore, interprete, session man, direttore di orchestre e produttore per la Blue Note, ma forse qualcosa di più, creatore dell’immagine e del suono dell’etichetta statunitense, succeduto in quel ruolo ad Ike Quebec e rimasto in carica per un decennio buono, fino all’uscita di scena dei fondatori Lion e Wolff ed alla vendita del marchio alla Liberty Records. Un percorso avviato nella natia Atlanta ed in Florida prima di trasferirsi a New York, ingaggiato dal Jazztet di Art Farmer e Benny Golson e lì notato da un Donald Byrd veloce ad intuire il suo dono come organizzatore sonoro, tanto da affidargli gli arrangiamenti di un disco storico come “A new perspective“, (1963), esperimento che affiancava un settetto con la tromba di Byrd, il sax di Hank Mobley, la chitarra di Kenny Burrel ad un coro di otto elementi. Pearson non sedeva al piano, occupato da un giovane Herbie Hancock, ma firmava la maggior parte delle composizioni, inclusa quella che sarebbe diventata una delle più famose, “Cristo redentor”, e soprattutto era responsabile del formato musicale lucidamente organizzato combinando hard bop, soul e blues in una miscela che diventerà presto una sorta di marchio di fabbrica, suo e di molti episodi della Blue Note.

Parlando di brani celebri composti da Pearson non si può, peraltro, trascurare questa “Jeannine“, incisa per la pirma volta in trio con il bassista Thomas Howard ed il batterista Lex Humpries nel 1961 nel suo “Bags groove“(Black Lion).

Musica così basilare nella sua chiarezza, calore e direzione melodica, che è destinata a non invecchiare“: la definizione del critico Nat Hentoff accompagna le note di copertina di uno dei lavori più conosciuti pubblicati a nome di Pearson “The Right touch” (1967) in cui mi sono imbattuto di recente, e che rappresenta il pretesto di questo piccolo excursus dedicato all’altro Duke. Ma, in ordine cronologico, va prima almeno citato, fra i suoi lavori, “Wahoo!” del 1964, una session in sestetto con Byrd, James Spaulding e Joe Henderson, nel quale le composizioni lineari ed impregnate di blues del titolare, insieme alla conclusiva “Fly, little bird fly” del trombettista, rappresentano un più che eloquente esempio della musica “quietamente sorprendente” partorita dalla mente del Nostro. Menzione particolare per una estesa “Bedouin” il cui tema avvolto dalle sabbie del deserto offre buoni spunti al sax di Henderson ed al flauto di Spaulding. 

The right touch“, registrato nel 1967 da un ottetto che vanta oltre al piano di Pearson, la tromba di Freddie Hubbard, i saxes di Stanley Turrentine, Jerry Dodgion, e Spaulding, il trombone di Garnett Brown, il contrabbasso di Gene Taylor e la batteria di Grady Tate, è, però, forse l’episodio più emblematico delle capacità di leader e di organizzatore sonoro di Duke Pearson.

Fin dall’iniziale “Chili peppers“, è chiaro che ci si divertirà, ci saranno fiati a rincorrersi su temi funky, temi costruiti con una lucida ed innovativa visione, una tavolozza timbrica ben assortita, assoli ispirati, ed una esuberanza ritmica che mantiene la temperatura spesso in zona rossa.

Make it good” alterna una sezione swingante in piano trio agli scenari hollywoodiani disegnati dalla sezione fiati, con lo stile essenziale ed efficare del leader in evidenza e la tromba di Hubbard che soffia sulle braci blues del pezzo fino alle battute finali in collettivo. “My love waits” è una ballad su ritmo di bossa nova dedicata alla moglie di Pearson, scritta in un periodo di lontananza forzata: l’intervento della tromba di Hubbard ed il piano solo successivo costruiscono un’atmosfera di malinconico romanticismo che fotografa in modo esemplare il mood del compositore. Il momento più ritmicamente esuberante è “Los malos hommes“, proposta nella ristampa su cd del 2006 in due versioni, con una melodia in sedici battute che lo stesso Pearson definiva “difficile da suonare per la diteggiatura richiesta“: al centro del brano un solo di Grady Tate che è impossibile ascoltare con le mani ferme. Chiudono il disco il down home blues di “Scrap iron“, con grande spazio alle escursioni del sax di Turrentine, ed il tema circolare vagamente monkiano di “Rotary“, nella quale trovano posto un sincopato solo del trombone di Brown, le affidabili geometrie di Turrentine ed il pianoforte di Pearson impegnato in esercizi di essenzialità. Un album che nel tempo ha acquisito lo status di riferimento di un periodo della storia del jazz, grazie alla qualità ed all’equilibrata architettura su cui è fondato. Per gli amanti del vinile, disponibile anche nella serie Tone Poet della Blue Note di oggi.

Un altro dei grandi amori di Pearson fu quello per la musica latina, propiziato da un viaggio in Brasile nei primi anni ’60 in tour con la cantante Nancy Wilson, ben testimoniato da una raccolta del 2003 della Mosaic Record che ripropone pezzi editi (gli album “The Phantom , “It could only happen to you” , “I dont’care who knows it” , “How insensitive” e la raccolta di brani natalizi “Merry ole soul“) ed alcuni inediti, al fianco di Bobby Hutcherson, Airto Moreira, Frank Foster e Ron Carter fra i molti. Praticamente gli ultimi lavori di Pearson prima di dedicarsi all’insegnamento ed alla conduzione di big bands, accompagnando spesso i cantanti Carmen MC Rae e Joe Williams. E prima di una scomparsa che arrivò troppo presto.

2 Comments

  1. Wahoo! che bello alzarsi tardi la domenica e leggere di Duke Pearson e inondare la casa di blue note sound. è effettivamente un nome piuttosto sottovalutato, anche quando si fa la conta degli eroi Blue Note ce ne ricordiamo sempre in ritardo. Musicista da conoscere, o da riscoprire, assolutamente, per me il suo Wahoo! è un capolavoro tout court e pure questo gli va molto vicino.

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    1. È più che opportuno questo ricordo di Duke Pearson, un musicista che più di che dimenticato si può ben definire ignorato. Uno che ha passato molto tempo organizzare musica, purtroppo più quella degli altri che la sua. “Essenzialità”: qualità in cui Pearson eccelleva e che ha sempre costituito la più inconfondibile cifre del miglior jazz. Lezione che oggi dovrebbero rammentare molti ascoltatori professionali e parecchi musicisti. “Wahoo”, una delle tante gemme sepolte lasciateci da Duke: facciamone sentire almeno un assaggio:

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