Selfie

Facebook mi ricorda che otto anni fa scrivevo queste poche righe, accompagnate dal ritratto che vedete in copertina:

Ultimamente esco poco, non vado più ai concerti, vedo poca gente, sto nella mia grotta ad ascoltare musica. Solo la montagna continua ad esercitare fascino su di me, e quando guardo questo mio selfie mi chiedo: non sarà che starò diventando un abominevole jazzofilo delle nevi ?

Da allora poche cose sono cambiate, in fondo solo la neve, qui a fondo valle è diventata merce rara, per il resto, per noi abominevoli, tutto scorre più o meno identico a prima. Si, è vero, mi sono concesso un trekking di una settimana a Lanzarote, ma, una volta rientrato nella grotta ho scoperto mio malgrado che la musica non mi regala più le emozioni di un tempo.

Poche, pochissime novità discografiche degne di attenzione, festival su festival che fanno a gara per sfornare il programma più insulso e ruffiano, discussioni su portali dedicati al jazz che sono interessanti per uno storico ed un musicologo ma che da semplice appassionato  provocano spesso sbadigli e sconcerto per il dileggio che sulla rete viene riservato all’opinione avversa (  https://doppiojazz.it/wp/2024/02/27/il-jazz-e-un-corpo-estraneo-guido-michelone-a-colloquio-con-marcello-piras/ ).

Umbria Jazz ufficializza il cartellone principale all’Arena Santa Giuliana, e trovare dei jazzisti diventa compito non semplice nel marasma di proposte che guardano al botteghino più che alla qualità. E’ un grosso problema, perché i media non andranno a parlare di chi suona al Teatro Morlacchi, ma si concentreranno su Raye et similia. C’è poi da aggiungere che si, al Morlacchi si esibiranno probabilmente dei buoni jazzisti, ma ad orari improbabili e in condizioni di caldo sahariano, come sempre negli ultimi tempi. Ancora i nomi non sono stati resi noti, Immagino, con grande sforzo di fantasia degli organizzatori, che pescheranno nel solito calderone di trenta/quaranta nomi che si ripetono da sempre, per non parlare degli italiani, sui nomi dei quali potrei scommettere ad occhi chiusi con un anno di anticipo. Poco da aggiungere, un appassionato deve rivolgersi ad altri lidi se vuole novità, innovazione, sperimentazione e coraggio. Solo, ecco, da contribuente mi girano molto le scatole pensando a quanto lo stato e la Regione Umbria girano a Pagnotta & C per propinarci piatti insipidi che fanno la felicità esclusivamente di commercianti, ristoratori e albergatori e di un pubblico che, a maggioranza, non è più (ne può esserlo, visti i nomi) di jazzofili.

Provo allora ad ascoltare le migliori uscite dell’anno, Ottaviano, Brandon Lewis, Surman, Vijay, Lage e pochi altri, ma non vedo un concerto dal vivo dallo scorso mese di agosto al festival di Saalfelden, e, soprattutto, non mi ritrovo più a commentare o scrivere su queste pagine. Leggo con ammirazione le cronache che Milton e Andrea scrivono dai vari festival, ma poi rientro nella caverna scuotendo la testa. Sono diventato definitivamente un ex abominevole jazzofilo.

5 Comments

    1. Controdeduzioni ben argomentate, sottolineo. La cosa singolare è che si tratta dello stesso critico/musicologo che conduceva programmi radio dapprima sul mitico Terzo Canale (oggi Radiotre Rai) con Guido Davico Bonino e poi da solo; che scriveva le introduzioni ai monumentali lavori sulla storia del jazz di Gunther Schuller nonché biografie di jazzisti ecc… Mi pare che si sia un poco involuto per usare un eufemismo. Ad ogni modo, quanto più passa il tempo tanto più mi convinco che, fermo restando l’ascolto personale, ai saggi – fatte salve alcune lodevoli eccezioni in genere frutto dell’esperienza documentata di addetti ai lavori, spesso musicisti essi stessi (il citato Schuller per esempio) – È bene preferire le interviste ai musicisti e le loro autobiografie da cui si può comprendere molto di come vivono o vivevano il jazz e di ciò che è o era attorno a loro.

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    2. Ai musicisti si deve chiedere creatività, non consapevolezza teorica (che poi porterebbe con sè anche la capacità di saperla esprimere e comunicare). Per questo trovo abbastanza ozioso e poco produttivo il dilagare di interviste, spesso ripetitive e affollate di luoghi comuni (magari suggeriti da qualche addetto alla comunicazione). Men men che meno si può chiedere ai musicisti militanti una visione complessiva e critica della scena musicale, è logico che siano concentrati su sè stessi e la propria musica. Di questa visione di sintesi, con annessa profondità storica, dovrebbero esser portatori iinvece critici e studiosi, da tempo usciti da una dimensione amatoriale ed approdati ad un approccio più rigoroso. Proprio per questo li si vorrebbe vedere più intenti a scrivere libri di meditato ed accurato approfondimento, più che a dedicarsi a querelles sul web che tendono sempre più a somigliare ai futili e chiassosi talk show televisivi. Tra l’altro i libri si vendono con un certo reddito per gli autori, il che risolve l’obiezione di Piras senza esigere trasferte in Messico per seguire i suoi corsi. Questo con la massima stima per il lavoro passato di Piras, che ora sostiene tesi molto originali che non possono poggiare solo su di un principio d’autorità. Aspettiamo qundi un suo bel libro a riguardo, ne ha scitti altri di livello in passato. My five cents. Milton56

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