Chitarre a spasso nello spazio

Simone Sessa Genetic – Space Echo (Dodicilune)

Nicola Di Tommaso Trio – Learn something new (Filibusta)

Luigi Masciari – Somewhere on my mind (Tosky)

La chitarra elettrica è decisamente lo strumento più ricorrente in numerose recenti registrazioni annoverabili nel composito panorama del nuovo jazz prodotto in Italia. I tre dischi che raccontiamo di seguito sono poi uniti dalla aspirazione, coltivata in modalità non uniformi, verso una dimensione cosmica, spaziale, nutrita tramite l’utilizzo di strumenti ed apparati elettronici applicati allo strumento principale o con esso interagenti .

Il chitarrista, compositore e didatta campano Simone Sessa, propone il primo atto del progetto Genetic, intitolato “Space Echo“, (Dodicilune records), otto brani originali in trio con Umberto Lepore al basso elettrico e contrabbasso e Marco Castaldo alla batteria.
Tutte le esperienze artistiche vissute da un musicista (ascolto,composizione, esecuzione, improvvisazione) imprimono un marchio indelebile nello spirito, nella mente, nella struttura fisica e chimica del musicista stesso: questo il concetto fondante del progetto Genetic, nato nel 2019 dalla volontà di raccontare e sintetizzare il mio vissuto musicale attraverso un linguaggio che andasse oltre il rigido schematismo imposto dall’industria discografica, cercando nell’incontro tra mondi diversi (post-rock, jazz-rock, ambient-folk, progressive, etc) una libertà espressiva, una coerenza artistica e un suono personale e riconoscibile. L’opera prima “Space Echo” è il frutto di un lungo lavoro condiviso con il batterista Marco Castaldo e con il bassista Umberto Lepore, ideali compagni di viaggio che hanno dato un fondamentale contributo non solo in qualità di strumentisti ma anche come co-arrangiatori degli otto brani proposti“.
Accorta scelta della gamma timbrica, uso strategico delle dinamiche e dei silenzi, una trama narrativa costruita tramite moduli iterativi sovente contraddetti da invenzioni estemporanee: nell’arco di quaranta minuti scarsi il trio mette alla prova la propria formula partendo da un omaggio esplicito nel titolo e nei toni apocalittici “Hadioread” , attraversando episodi assorti e contemplativi (gli arpeggi ripetuti di “Die ewige wiederkunft“, l’andamento a spirale di “Unsafe landing” ), asperità ritmiche memori di certa spigolosa new wave anni ’90( “Satie“), o di materica impronta progressive (“Genetic heritage“), miniature pop di immediata presa “Welcome to our town” ed un finale in chiave folk, “The brave traveler“, attraversato da una vivace brezza acustica che mi ha ricordato una celebre orchestra di Pinguini.

Inizia come il disco di un classico hammond trio “Learn something new” (Filibusta Records) di Nicola Di Tommaso, compositore, didatta e musicista molisano attivo sulla scena nazionale da tempo, in equilibrio fra tradizione ed innovazione: la scelta cade su una classica “Iron man” di Eric Dolphy, nella quale fanno gli onori di casa la sei corde del titolare, l’organo di Vittorio Solimene e la batteria di Matteo Bultrini. Dal secondo brano, “Holiday“, composizione originale di Di Tommaso, si intravedono nuovi orizzonti: il brano si sviluppa attraverso una introduzione ambientale, con i suoni elettronici curati da Luca Spagnoletti, per poi lasciare spazio al piano elettrico ed alla chitarra in un clima dalle marcate tinte immaginifiche ricco di spazi improvvisati.

SI continuerà su questa alternanza, alla quale si intonano anche le diverse “voci” della chitarra, filtrata dagli effetti elettronici quando affronta un brano firmato dal chitarrista Umberto FiorentinoFearless Fosdick’tune” , tratto dal cd “Things to come ” del 2002, un suggestivo tema seguito dall’ articolato intervento solista, cristallina e jazzy quando è il turno di una leggiadra ballad dal passo ritmico felpato, “Dedicated to Danilo” che vede il ritorno dell’hammond a fianco della chitarra, e di altri due numeri ispirati alla tradizione dell’organ trio, “Easy shower”e “New places“. L’ ultimo brano in programma “Nina” torna a sorvolare territori più contemporanei, con l’articolato solo di una chitarra dal timbro fattosi più aggressivo ed i breaks finali della batteria. Un lavoro, come suol dirsi, di transizione che ci lascia curiosi sulle future direzioni di Nicola Di Tommaso.

Ultimo in lista, ma solo per impaginazione, “Somewhere in my Mind” (Tosky records), terzo album del chitarrista campano Luigi Masciari, il quale dopo l’esperienza con il pianista americano Aaron Parks , propone sette nuove composizioni originali nella preferita dimensione del trio, stavolta in compagnia della batteria di Roberto Giaquinto ed alle tastiere di Jason Lindner, componente del gruppo di Donny McCaslin ed autentico mago dell’elettronica contemporanea dal gusto raffinato e creativo.

Un lavoro che parte da una base registrata per la quasi totalità dal vivo , sulla quale si è svolto un importante lavoro di sovraincisione, con apporti che ampliano la dimensione sonora del trio bassless toccando diverse coordinate.

Il mio desiderio – speiga Masciari . era quello di valorizzare il ruolo delle tastiere, per questo ho pensato di coinvolgere Jason Lindner con l’utilizzo del moog, del prophet e tutti i suoni analogici degli anni ‘70/’80 a me molto cari . Le influenze sono veramente tante e non mi sono posto limiti di genere. Sono molto felice anche dell’apporto di Roberto Giaquinto, un batterista molto versatile che ha fatto un lavoro splendido in fase di registrazione, donando leggerezza e solidità al bisogno”.

La dialettica fra le tastiere di Lindner e la chitarra di Masciari è in effetti il filo rosso del disco, declinato in un eterogeneo campionario nel quale si ritrovano le atmosfere astratte di “The blade“, l’ impronta pop elettroacustica di “Japanese cowboy“, una sognante ballad dalla presa immediata come “Flying clouds“, (ascoltate cosa inventa Lindner nel finale) , esempi di space funk come “Out of space” e “The sphynx” , un electro dub attraversato dai soli della sei corde, “Good old Joe“, per chiudere con la fusion incalzante punteggiata di pause ambientali e ricercatezze timbriche di “Monolith“.

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